
Se "dire grazie" è un'esperienza quotidiana, traspare in essa quel "grazie originario" che accomuna tutti gli uomini: davanti al mistero della vita, oppure - religiosamente - di fronte alla grandezza di Dio. Massimo Giuliani ne ricava i tratti universali e il significato etico-filosofico a partire da una fenomenologia che spazia dall'obbligo di gratitudine verso i genitori al rapporto fra il provare tale sentimento e l'esprimerlo, dal riconoscimento che il popolo ebraico conferisce ai giusti delle nazioni alla benedizione giudaica dopo il pasto. Nella Bibbia l'esclamazione di gioia e di riconoscenza per eccellenza è hallelujah, "date lode a Dio": Paolo De Benedetti mostra come tale espressione, attraverso i testi ebraici e quelli cristiani, giunga a noi come un grido dal cuore, che nasce dall'esperienza e risuona in tutto il creato, educandoci a un dialogo costante con Dio.
Come si tramandarono i ricordi sulla figura di Gesù? Perché tali memorie rimasero fissate in narrazioni biografiche? Quali fasi condussero alla formazione dei quattro Vangeli e alla loro canonizzazione in Scrittura? A questi quesiti, e ad altri ancora, tenta di rispondere Santiago Guijarro Oporto, il quale traccia le tappe di un percorso che descrive la genesi e il processo di formazione dei Vangeli, a partire dalla tradizione orale - nata in Terra d'Israele dall'interazione tra Gesù e i suoi discepoli e seguaci e sviluppatasi negli anni successivi alla morte del Cristo e alla scomparsa degli apostoli (30-70 d.C.) - fino alla composizione vera e propria di narrazioni appartenenti al genere letterario biografico di chiara provenienza ellenistica (dalla fine del i secolo d.C. a metà del ii). Tra esse furono poi selezionati quattro scritti (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), considerati maggiormente portatori dell'evangelo - la "buona notizia" - che vennero distinti dagli altri e messi in relazione tra loro in seno alle comunità cristiane. La ricostruzione di questo lungo processo getta le basi per nuovi interrogativi e nuove indagini, per meglio comprendere la scelta di un genere - che ha condizionato anche l'interpretazione di ciò che era narrato - e l'identità di Gesù.
Luciano Monari, teologo e biblista, ci accompagna alla meditazione sul capitolo 2 del libro di Geremia, alla scoperta dell'idolatria e della sua vacuità.
"Aver fiducia" è una disposizione dello spirito che si riflette in gesti ed espressioni della vita quotidiana e permette di interagire nel mondo con adattabilità e saggezza. è una virtù antropologica - che sorge da un'esperienza universale: l'essere stati, durante l'infanzia, oggetto di cure e amore in uno scambio gratificante - e anche teologica: la fede in Dio e la fiducia divina nell'uomo sono, secondo le tradizioni religiose, modello di ogni vera relazione. Una varietà di significati presentata da Massimo Giuliani attraverso una fenomenologia dell'atto di fiducia - e della sua mancanza -, che trova espressione nella letteratura greca e nella. Bibbia, nel pensiero ebraico anche dopo Auschwitz, nei rapporti tra giudaismo e cristianesimo. Paolo De Benedetti mostra come nelle Scritture la fiducia che l'uomo ripone in Dio segua alla fiducia che Dio per primo ha riposto nell'uomo: la storia della salvezza può essere vista come la ricerca di una vicendevole corrispondenza tra questi due amen, "ci credo e mi affido".
Risalgono all'ultimissimo periodo della vita di Karl Barth i testi qui raccolti, tra cui uno incompiuto che stava redigendo la sera prima di morire, il 9 dicembre 1968. Tre brevi scritti e due interviste minori se paragonati alla mole dell'opera barthiana, ma in grado di condensare alcuni temi della sua riflessione teologica colti nella prospettiva più matura della sua attività: il "cristocentrismo", l'ottimismo teologico - qui curiosamente accostato all'opera di Mozart -, l'estrema libertà di pensiero che lo ha sempre contraddistinto, il vivo interesse ecumenico. Questo in particolare divenne predominante proprio nelle ultime testimonianze di Barth, che rappresentano il suo testamento spirituale: la coesistenza fra le Chiese, accentuata da una sempre maggiore eterogeneità del contesto sociale, non si limiti a essere benevolente, ma sia il punto di partenza per la ricerca della loro unità.
Del libro profetico di Giona, contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, fa eco la domanda che Dio rivolge al profeta: "non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra?". L'incapacità dei pagani di discernere fra bene e male rinvia al tema della giustizia, che sta alla base dell'ebraismo. Attraverso il commento a questo libro biblico, la riflessione sui concetti di giustizia e colpa, sulla dimensione messianica, sul tema della lamentazione, e l'esposizione delle "novantacinque tesi" su ebraismo e sionismo, i cinque testi (1917-1923) di Scholem qui raccolti fungono da guida per comprendere l'essenza del giudaismo. Pagine che fanno luce sulla prospettiva teologico-filosofica dell'autore, che conduce dall'analisi delle fonti e della storia ebraica allo studio della Qabbalà, la sua fondamentale tradizione mistica.
Questo discorso del 1843 è uno sviluppo del concetto di "edificante" successivo a La prospettiva della fede e si presenta come un commento alle parole dell'apostolo Giacomo: "Ogni dono buono, ogni dono perfetto è dall'alto". Queste introducono alla controversa questione della "teodicea" come coniugare il bene proveniente da Dio e il male del mondo - declinata dal filosofo danese in chiave "esistenziale", spiega Umberto Regina nell'Introduzione, ripartendo dalla caratteristica distintiva dell'uomo: l'esistenza. L'uomo in quanto esistente ha un rapporto edificante con Dio: rispetto all'Eterno si innalza senza mai unirsi completamente. All'idea, avanzata da alcuni filosofi moderni, di una compromissione di Dio nell'imperfezione del mondo Kierkegaard risponde con il salto della fede, somma possibilità donata all'uomo per vincere sul male.
Sulla poco considerata e dimenticata virtù della pazienza, Eberhard Jüngel e Karl Rahner aprono, in questo libro, orizzonti nuovi. "La pazienza è il lungo respiro della passione. Della pazienza ha bisogno ogni passione. La vera pazienza è sempre una passione filtrata nell'interiorità" scrive Eberhard Jüngel. Così il teologo di Tubinga approda già nel nucleo centrale delle sue riflessioni: le proprietà, l'essenza appassionata di Dio e la pazienza del suo amore. Alla "pazienza con se stessi" si dedica e la descrive quale arte della perseveranza nella tensione Karl Rahner: "Chi trova realmente la pazienza intellettuale con se stesso, sarà anche tollerante con il prossimo e non e non si comporterà come se egli stesso fosse la verità assoluta in persona". Un libro che - nella sua profondità teologica e onestà intellettuale - mette in risalto la pazienza, come vero presupposto alla tolleranza e come un'importante strada verso una migliore umanità.
Un volume di spiritualità, sul modello della meditazione monastica degli antichi Padri della Chiesa: in preciso riferimento alle Scritture, l'autore commenta i temi della speranza e del perdono, quanto mai attuali.
L'idea di messia nel pensiero ebraico antico e moderno subisce vari slittamenti semantici, di origine storica e teorica. Il teologo e l'ebraista, con le loro proprie tonalità, ne illuminano alcuni: dapprima si rintracciano i nomi del messia - da quello personale e mistico-escatologico a quello collettivo incarnato nell'età messianica e in Israele - attraverso la Bibbia e le fonti giudaiche (midrash, Talmud, chassidismo, Illuminismo ebraico e sionismo); poi, in chiave fenomenologica, si delineano possibili percorsi, per così dire, messianici nella filosofia, nella musica, nella letteratura. D'altra parte, il messia, architrave che unisce e divide ebrei, cristiani e musulmani, si presta a una riflessione non solo religiosa e spirituale ma esistenziale: nella coscienza del tempo - quale appare nel Qohelet ma anche nella letteratura europea più secolarizzata - irrompe la dimensione dell'attesa, capace di porre domande anche a un non credente.
Incontriamo la Chiesa sorella ortodossa curato da Laura Gloyer, responsabile del Segretariato Attività Ecumeniche per la zona di Brescia, presenta un ritratto lineare della religione ortodossa, che rappresenta la più importante presenza di cristiani non cattolici in Italia, con quasi due milioni di fedeli: la storia, la teologia, la spiritualità, la liturgia e il canto, come icona sonora. La testimonianza di eminenti voci della Chiesa romena, greca e russa e di studiosi aperti al dialogo permettono di accostarsi a questa realtà e contribuire così ad una convivenza consapevole ed includente, nella nuova Europa.
È dalla crisi della preghiera che Hans Küng parte in questo aureo testo. Una crisi esita, insieme, della secolarizzazione e delle domande inevase di giustizia di fronte al male e al dolore innocente. Ma proprio il continuo riproporsi di questi interrogativi è per Küng la condizione per scoprire il senso universalmente umano della preghiera: «La preghiera può trasformare l'uomo, ma l'uomo dovrebbe trasformarsi anche nella sua preghiera. La preghiera è qualcosa di vivente, può crescere, maturare, diventare matura. [...] Anche la preghiera deve diventare adulta, deve essere lo specchio, l'espressione dell'intera personalità. Da come uno prega si capisci che uomo egli è».