
Che ci troviamo di fronte a una svolta epocale nella civiltà umana, tutti lo avvertiamo, più o meno lucidamente: come mai in passato, oggi l’individuo cerca di costruirsi da sé, insofferente a ogni limite, sia esso la tradizione o la natura. Una sorta di mutazione antropologica sta cambiando le strutture profonde dell’umano, esito sempre più appariscente della postmodernità. Giuliano Zanchi ne illumina il meccanismo coerente, implacabile e potente nei suoi diversi risvolti, da quello scientifico a quello economico, politico ed estetico. Di fronte a questo sogno estremo di emancipazione, la coscienza cristiana si sente profondamente turbata. Essa oscilla tra un rifiuto arroccato sulle vestigia di un passato glorioso e una resa spesso inconsapevole allo spirito del tempo. La grande bussola del Concilio Vaticano II, che negli anni Sessanta aveva restituito slancio e idealità a un cattolicesimo alle prese con le sfide moderne, sembra aver perso le sue capacità magnetiche. Eppure il credente sa di non poter restare umano separandosi dalla storia. Semplicemente perché il Dio di Gesù Cristo ad essa si è legato per sempre. I discepoli pertanto accompagneranno queste «prove tecniche di manutenzione umana» con una cordialità non acritica, mettendo in gioco la propria antica sapienza a proposito dell’umano: «La presenza cristiana», ci ricorda Zanchi, «è chiamata, proprio mentre la civiltà sembra impegnata in un lungo esodo verso mete ancora incerte, a riaffermare la sua irrinunciabile affezione per una forma comunitaria della vita evangelica impiantata nel cuore dell’esistenza comune, umilmente a fianco della costruzione umana collettiva, decisa a scegliere sempre per propria dimora il luogo dove gli umani hanno le loro case, la loro vita, le loro speranze».
Giuliano Zanchi, licenziato in Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, è Segretario generale della Fondazione «Adriano Bernareggi» di Bergamo. Si occupa di temi al confine fra l’estetica e la teologia. Ha pubblicato Lo spirito e le cose (Vita e Pensiero, 2003); La forma della chiesa (2005); Nella luce dell’essere: conversazioni sul caso Van Gogh (2005), Il destino della bellezza (2008), Salomone e le formiche. La legge di tutti i giorni (Vita e Pensiero, 2010), Il Genio e i Lumi. Estetica teologica e umanesimo europeo in François-René de Chateaubriand (Vita e Pensiero, 2011).
Se c’è una cifra in cui il nostro tempo si riassume emblematicamente, è il drammatico venir meno dell’orizzonte della speranza: la vita appare schiacciata sul presente e sulle sue necessità, il futuro ha cessato di rappresentare una promessa capace di mobilitare desideri, energia, prospettive di azione. In un tempo di crisi radicale come quello che stiamo vivendo, il cristiano non può sottrarsi a un compito, quello di tenere viva la speranza, essenziale alla qualità umana stessa dell’esistenza. Ma la speranza non è facile da vivere, per nessuno, neppure per un cristiano. Essa infatti chiede lo sguardo lungo, cioè il coraggio della pazienza, che sa sopportare e non si lascia piegare da nessuna difficoltà. L’uomo paziente è l’uomo che si muove entro ampi orizzonti e sa attendere a lungo, come il contadino, dopo la semina. La speranza è affidata a un terreno la cui vitalità è nascosta. L’attesa è lunga, ma anche certa. Il cristiano fonda infatti la sua speranza nella memoria del Dio di Gesù Cristo: il seme del suo Regno è deposto nella terra della storia umana e certo porterà frutto. Questa visione di fondo ispira il libro di Bruno Maggioni, le sue riflessioni sugli aspetti fondamentali del cristianesimo, pensate per aiutare la lettura evangelica di questo tempo difficile, in cui i cristiani sono chiamati a vivere e testimoniare una speranza che non delude.
Bruno Maggioni è nato nel 1932 a Rovellasca (Como) e dal 1955 è sacerdote della diocesi di Como. Ha studiato Teologia e Scienze bibliche all'Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico di Roma. E' docente di Introduzione alla Teologia presso l'Università Cattolica di Milano.
Autore di numerosi libri, con Vita e Pensiero ha pubblicato: Le parabole evangeliche (1992), Padre nostro (1995), La pazienza del contadino (1996), La brocca dimenticata (1999), Davanti a Dio (2 voll., 2001-2002), Il seme e la terra (2003), Un tesoro in vasi di coccio (2005), Come la pioggia e la neve (2006), Come l'erba che germoglia (2009).
Dio ha ancora un posto in un mondo disincantato come il nostro, in una cultura in cui la fede, quando ancora suscita qualche interesse, è considerata un segno di immaturità emotiva e intellettuale? E se quel posto esiste, come trovarlo? Come vedere le tracce del volto di Dio nell'esperienza umana? In questo suo ultimo saggio, Roger Scruton, filosofo inglese che ama parlare all'uomo contemporaneo, vuole rispondere all'indifferenza religiosa che ormai permea l'Occidente, guidandoci nella scoperta di quello che perdiamo appiattendoci su un mondo di oggetti, chiuso da un orizzonte ristretto e privo di senso, quando non calpestato e sfigurato. Attraverso una lettura colta e del pensiero filosofico e scientifico così come dell'espressione artistica dell'Occidente, prendendo esempi dalla pittura, dalla musica, dall'architettura e dai più popolari capolavori letterari, Scruton ci fa trovare le tracce del divino nel nostro mondo. Non il Dio remoto e inarrivabile dei filosofi, non l'insieme di cause senza finalità dell'universo scientifico, ma la "presenza reale" nella nostra vita quotidiana di una realtà irriducibile al mondo degli oggetti, qualcosa che riconosciamo con sicurezza come nostra esperienza fondamentale. È la percezione del nostro essere 'io' di fronte a un 'tu', l'incontro tra soggetti che si riconoscono come qualcosa di più che esseri viventi inseriti nel ciclo naturale descritto dalla scienza.
Il volume raccoglie gli Atti del Convegno Esperienza religiosa tenutosi presso la sede milanese dell'Università Cattolica il 17 e 18 novembre 2011 e organizzato nell'ambito del Progetto "Filosofia ed esperienza religiosa" promosso dal Dipartimento di Filosofia e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana. Per assicurare l'autonomia della ricerca razionale e per proteggere l'ambito religioso e della fede cristiana dai riduzionismi razionalistici è bene tenere ferma la distinzione tra filosofia e religione (e teologia). Ma vi è una seconda attenzione, legittima e completiva della prima, che merita di essere accuratamente indagata: l'unità della vita e l'atto dell'uomo credente o, più in generale, dell'uomo che cerca la verità e il senso della vita. Infatti la distinzione (anche dei saperi) trova il punto di unità nell'uomo e nella sua tensione al raggiungimento del suo fine ultimo. Queste alcune delle convinzioni dei promotori del Progetto "Filosofia ed esperienza religiosa", con le quali sono in gioco l'identità e la vita del singolo e della collettività. Tuttavia esse non hanno impedito - e anzi hanno alimentato - il confronto stretto con altre tradizioni di pensiero, nella consapevolezza che la dialettica, quanto più è intelligente e appassionata, tanto più conduce avanti nella conoscenza della verità.
C'è sicuramente qualcosa di miracoloso, a pensarci bene, nel ritmo del tempo di Gesù e della sua rivelazione. Una rivelazione che si fa quasi tutta per strada: a passo d'uomo. Per prendere la misura dell'uomo, e assimilarne tutti i dettagli, il Figlio incarnato visse anni e anni fra le donne e gli uomini del fazzoletto di terra che aveva scelto. Perché la sintonia e l'assimilazione dell'umano vogliono tempo. Il tempo lavora l'anima e fa la differenza. Allo stesso modo, la Chiesa ha le sue stagioni migliori quando accetta di andare a passo d'uomo. Non più veloce, non più piano. Cercando di avere tenuta di strada, sguardo acuto sul solco e mano ferma all'aratro. Se vuole capire la terra deve abitarla, riconoscerne i profumi, saperne la vita. Nel trovare, o ritrovare, questa sapienza partecipe e senza affanno ci guidano i testi di PierAngelo Sequeri qui raccolti. Testi spesso molto brevi, che accompagnano occasioni del tempo dell'uomo e del cristiano, mettendole in risonanza con i tempi di Dio. Perché se il discepolo, il testimone viandante, va a passo d'uomo, seguendo il suo Signore, cammin facendo imparerà l'uomo. Saprà decifrare segni per altri impercettibili. Segni in cui si formano legature di Dio che sfidano il tempo. Autentici miracoli o piccole tracce. E a volte, le due cose coincidono.
Pregare con il Salterio, nello stile d'Israele, di Gesù, della Chiesa primitiva e dei Padri - come ormai da cinquant'anni il Concilio Vaticano II propone di fare - è impresa esaltante e impegnativa. Bene lo sanno tutti coloro che ne hanno fruttuosamente abbracciato la pratica confidando nel fatto che "una comunità cristiana perde un tesoro incomparabile se non ricorre al Salterio, mentre scopre in sé una forza insospettata, quando lo ritrova" (Dietrich Bonhoeffer). In questa prospettiva si pone il libro raccolto e curato da Maria Ignazia Angelini e Roberto Vignolo - già curatori nella stessa collana di "Un libro nelle viscere. I salmi, via della vita" (2011) - nel quale si cerca di accompagnare i lettori a una maggiore familiarità con i salmi, così che ognuno arrivi a pregarli "come se lui stesso ne fosse l'autore" (Cassiano). Questo invito a entrare attraverso la porta del Salterio "nei paesaggi dell'anima" - come recita l'evocativo titolo del volume - si snoda mettendo a fuoco alcune attitudini spirituali fondamentali che caratterizzano certi salmi: fiducia (Sal 23 e Sal 56), penitenza (Sal 50 e Sal 51), memoria (Sal 77). Ma si sofferma anche a richiamare le modalità in cui tradizioni ecclesiali antiche - in particolare la tradizione siriaca e quella dei padri del deserto - sollecitavano a "mettere il tuo cuore nel tuo salmo", per poi addentrarsi nella tematica più generale e cruciale dell'amore di Dio. Il libro è dedicato al cardinal Martini (1927- 2012).
Come vivere nella città degli uomini sapendo che la vera casa è altrove, nei cieli? Che rapporto intrattenere con il mondo: fuggirlo o contribuire alla sua trasformazione? A tali interrogativi si trovarono a rispondere i membri delle prime comunità cristiane, "convertiti" chiamati a prendere le distanze dal passato e dai suoi costumi, definendo così i tratti di una nuova società, 'altra' rispetto a quella dei pagani e dei giudei, eppure profondamente intrecciata alla cultura urbana che era stata terreno fertile per la diffusione del cristianesimo nel mondo greco-romano. Questo non facile compito sta alle origini della nascita di una specifica morale, in cui l'osservanza dei precetti biblici e neotestamentari si fa codice per l'intera comunità, straniera nel mondo ma saldamente unita a Cristo e, mediante Lui, a Dio. È precisamente nella vita concreta delle prime comunità che Meeks rintraccia gli aspetti più significativi della morale cristiana nel periodo decisivo della sua formazione, dalla morte di Gesù al secondo secolo dopo Cristo. Con un approccio attento a porre in relazione la dimensione teologica e il costume, l'esegesi testuale e l'indagine sociologica, Meeks illumina una realtà complessa, fatta di credenze, sensibilità, percezioni, pratiche. Ne descrive il linguaggio, i valori, i fattori di aggregazione, i concetti portanti - la carità, il celibato, le relazioni tra i due sessi, la concezione dell'autorità, il senso delle cose ultime...
"Anima neppure troppo sotterranea di queste pagine è la convinzione che la vita cristiana ordinaria dà da pensare alla fede, provocandola a nuove attenzioni, destinate a loro volta a rifluire sulla vita e a riconfigurarla. Vita "ordinaria", appunto, ma non per questo scontata, semmai gravida di un senso che attende di venire alla luce. Il libro di Cesare Pagazzi si concentra su un aspetto a tal punto ordinario e abituale della vita cristiana da apparire quasi ovvio: il legame fraterno. L'ovvietà è favorita dal carattere universale del fenomeno e dal fatto che, almeno per i cristiani, la fraternità spesso appare a tal punto scontata da provocare scandalo quando mostra il proprio volto affaticato e, per certi versi, perfino oscuro. Appropriandosi dello sguardo che le Sacre Scritture gli rivolgono fin dall'inizio, il vincolo fraterno è presentato qui nella sua "non-ovvietà", anzi nel suo aspetto drammatico che mette in gioco l'immagine della vita, di Dio e quindi la fede. Ben lontana dall'enfasi illuministica (unità, uguaglianza, fraternità) e da una certa retorica "intraecclesiale", la Bibbia riconosce alla fraternità innanzitutto la caratteristica della prova (Caino e Abele, Giuseppe e i fratelli...) che porta alla luce la paura della morte e i suoi malcelati sintomi. Prima di essere questione di buona educazione o generica carità, il legame fraterno è una prova della fede."
Il volume raccoglie gli Atti del Convegno nazionale «Religione e fede nell’età postsecolare » (Milano, 21-22 novembre 2012), organizzato nell’’anno della fede’ dal Progetto «Filosofia ed esperienza religiosa», il gruppo di lavoro promosso dal dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI. Nei due precedenti convegni, «Filosofia e mistica» ed «Esperienza religiosa», si è indagato il ‘soggetto religioso’, nel tentativo di evidenziare le categorie fondamentali del ‘fare esperienza religiosa’ come base teoretica, con cui affrontare anche la più vasta problematica del religioso. Abbiamo così voluto rivendicare la specificità della riflessione filosofica sul religioso e insieme l’interesse per un lavoro interdisciplinare. Frutto di questo disegno è questo terzo convegno: un’analisi delle pratiche della religione e della fede in un’età enigmatica, la post-secolare, insieme segnata dal più radicale relativismo e dal cosiddetto ‘ritorno di Dio’. Dalle interpretazioni dei dati delle più recenti e più grandi ricerche sociologiche, condotte dai sociologi F. Garelli, C. Lanzetti e L. Allodi, passando attraverso l’appassionata disamina della fede rintracciata nei chiaroscuri del mondo della vita — nei romanzi italiani del primo decennio del secolo XXI (G. Langella), nel vissuto femminile (P. Ricci Sindoni) e in alcune voci ebraiche (I. Kajon) —, si approda alla domanda cruciale sulla ragionevolezza della fede, a cui si tenta di rispondere con ragioni filosofiche, destreggiandosi tra il labirinto del desiderio e la sfida della finitezza e del non senso (M. Borghesi, R. Madera, G. Palumbo).
Giuseppe Colombo, membro del dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica e della Facoltà di Scienze della Formazione, è professore di Filosofia morale e di Forme e modelli del pensiero filosofico all’Università Cattolica, sede di Brescia. È il coordinatore del Progetto «Filosofia ed esperienza religiosa». È noto per i numerosi studi sulla filosofia italiana del Novecento (La filosofia come soteriologia: l’avventura spirituale e intellettuale di Piero Martinetti, Vita e Pensiero 2005) e per le indagini di antropologia filosofica (dal volume Conoscenza di Dio e antropologia, Milano 1988 ai saggi Agire religioso e fede, in Prospettiva dell’azione e figura del bene, Milano 2008 e Generative Fiduciality and Experience, in Understanding Human Experience: Reason and Faith, Bern 2012).
Più che mai nella nostra epoca, priva di fondamenti e legami affidabili, l’esperienza del tempo è diventata problematica: tendiamo a concentrarci sul presente, dimenticando il passato e faticando a generare futuro, come se volessimo rimuovere lo scorrere inesorabile del tempo. Eppure questa è da sempre esperienza universale dell’umano: i nostri giorni, uno dopo l’altro, «passano in fretta e volano via», dice un salmo. Le luminose meditazioni di Pietro Bovati su alcune figure bibliche dell’attesa (come Giovanni Battista o Maria di Nazareth) muovono da questa fondamentale consapevolezza della caducità della vita, che però non ha come esito obbligato la rassegnazione malinconica o la ricerca avida di ogni fugace soddisfazione. Il vivere nel tempo può infatti colorarsi di toni diversi: la gratitudine per il passato, l’apprezzamento cordiale del presente, la fiduciosa disposizione verso il futuro che ci viene incontro. Questa sapienza che gusta il tempo assegnatoci è possibile perché i giorni dell’uomo, da quando il Figlio è venuto tra noi, sono anche i giorni di Dio, aperti al compimento di ogni promessa e speranza. È quanto la nascita di Dio dentro la trama della storia umana le dischiude, infallibilmente e senza pentimento.
Pietro Bovati, gesuita, è stato per molti anni docente di Esegesi e teologia dell’Antico Testamento al Pontificio Istituto Biblico di Roma. Dal 2008 è membro della Pontificia Commissione Biblica. Tra i suoi libri: Ristabilire la giustizia. Procedure, vocabolario, orientamenti, Roma 2005; «Così parla il Signore ». Studi sul profetismo biblico, Bologna 2008; Parole di libertà. Il messaggio biblico della salvezza, Bologna 2012.
Il volume offre l'edizione critica di alcuni testi teologici e filosofici di dom Robert Desgabets, benedettino cartesiano vissuto nel Seicento. Gli opuscoli sono editi prendendo per base le raccolte manoscritte conservate nella Biblioteca municipale di Epinal. Essi approfondiscono attraverso la prospettiva agostiniana e cartesiana il tema del rapporto e della collaborazione tra ragione e fede, con particolare attenzione ai misteri della Trinità, dell'Incarnazione e della trasmissione del peccato originale, oltre che alle tematiche della grazia, della predestinazione, della giustificazione e della natura degli angeli. Gli inediti, brevemente contestualizzati e corredati da un essenziale apparato di note, sono preceduti da un saggio introduttivo che, oltre a restituire il quadro storiografico di riferimento, contribuisce a illustrare l'apporto gabetiano ai dibattiti teologici, filosofici e scientifici del XVII secolo.
L'odierna trasformazione inedita della svolta antropologica pone all'elaborazione del "nuovo umanesimo" l'esigenza di articolare un nuovo assetto del religioso in chiave filosofico-teologica. A questa elaborazione contribuisce la ricerca qui presentata, che poggia sullo scavo approfondito e scientifico dei testi del Beato Antonio Rosmini. Da questa attenta analisi emerge una forma propria di metafisica della pro-affezione, che porta all'evidenza l'esperienza della coscienza stessa come originariamente etica perché assolutamente affettiva (e viceversa). Questo approccio, senz'altro originale, in quanto, tra l'altro, approfondimento coerente della teoria della coscienza credente di Pierangelo Sequeri, articola intrinsecamente le connessioni epistemologiche dei saperi e delle scienze, anche umane, e perviene alla ricomprensione della cifra unitaria della mutazione epocale della post-modernità, individuandola nella coscienza morale riflessa, intesa come giudizio speculativo di un giudizio pratico.