
Come parlare della Chiesa? La tradizione teologica cattolica, prima che nell'epoca moderna desse il primato alla categoria "società", aveva fatto uso di immagini, anche mediante un'interpretazione allegorica della Sacra Scrittura e il ricorso ai miti ellenistici. Il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha ripreso l'antica ecclesiologia grazie anche alla descrizione della Chiesa come mistero. Il teologo gesuita statunitense Avery Dulles (1918-2008), insignito del titolo cardinalizio pochi anni prima della morte, è diventato punto di riferimento per il tentativo di introdurre in teologia il metodo dei modelli mutuato dalla riflessione scientifica, in particolare da Thomas S. Kuhn. Con esso intende mostrare che l'accostamento alla realtà storica di matrice trascendente (la Chiesa, la Rivelazione) si può realizzare solo mediante una pluralità di metafore, che il teologo deve cercare di coordinare in modo da giungere a un modello euristicamente più comprensivo, capace anche di indicare percorsi di rinnovamento. Si tratta di un tentativo, degno di attenzione, di fare teologia in dialogo metodologico con il sapere scientifico. (Giacomo Canobbio).
Fin dall'antichità risuona il dilemma:perché Dio ci fa o ci lascia soffrire? Se il non credente attribuisce le ragioni della sua sofferenza all'essenza della condizione umana, alla responsabilità delle persone, all'incompiutezza del mondo; per colui che crede l'interrogativo diviene un quesito di difficile risoluzione. Il libro, partendo dalla tradizione cristiana, elabora una riflessione critica che esclude le più comuni risposte: Dio non ci punisce dalle colpe, non educa tramite la sofferenza, non rende partecipi della salvezza del mondo. Di fronte al male sono possibili atteggiamenti diversi: dalla negazione dell'esistenza di Dio, alla rivolta nei suoi confronti; la protesta e la resa; fino a quello più sapiente, l'accettazione del limite e l'affidamento al Mistero, che è la vera cifra della realtà di Dio.
Giacomo Canobbio è docente di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale. Tra le sue pubblicazioni per Morcelliana: Dio può soffrire? (2006); Chiesa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua ricezione (2007); Il destino dell'anima. Elementi per una teologia (2009); Laici o Cristiani? Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico (2017); Fine dell'eccezione umana? La sfida delle scienze all'antropologia (2018); Quale riforma per la Chiesa? (2019).
Si è spesso osservato che la distinzione paolina tra «spirito» e «lettera», articolata per la prima volta all'interno di un celebre, enigmatico passaggio della Seconda lettera ai Corinzi, starebbe alla base di tutta la riflessione europea sull'idea di traduzione. Ma che cosa intendeva dire l'apostolo, quando affermava che «la lettera uccide, mentre lo spirito dà vita»? Per capirlo, questo libro propone di avviare una doppia indagine archeologica: da una parte, rileggendo Paolo alla luce dei dibattiti moderni sul concetto di traduzione, e dall'altra mostrando come la storia di questi stessi dibattiti non si possa comprendere senza un richiamo alla figura paradigmatica dell'apostolo. Scopriremo allora che religione e traduzione, come argomentava già Benjamin, sono così intimamente legate da non potersi quasi concepire l'una senza l'altra, e che è l'intera parabola di ebraismo e cristianesimo ad apparire segnata, fin dalle origini, da un complesso e interminabile intreccio di esperimenti di traduzione.
Fin dal loro apparire, nel 1534, i Paradossi di Sebastian Franck suscitarono sconcerto per la loro radicalità: ad avere la forma del paradosso sono la teologia stessa e la Scrittura, un paradosso in conflitto con tutto ciò che il mondo crede. Di qui l'andamento dialettico dell'opera: il vero Cristo, il Cristo interiore, lo Spirito, non ha bisogno delle Chiese storiche, ovvero non ha bisogno di libri, cerimonie, culti. Il Nuovo Testamento stesso è pensato da Franck non come un libro, una legge, bensì come lo Spirito santo che parla all'uomo interiore, all'uomo completamente distaccato. Affermazioni che nella loro paradossalità, anche stilistica, riprendono temi della mistica speculativa di Meister Eckhart e inaugurano quella corrente della cultura europea che va sotto il nome di "pensiero religioso liberale". Non a caso Pietro Martinetti ebbe a scrivere: "Sebastian Franck è la più grande figura religiosa del cristianesimo moderno. Egli ha un intuito profondo della realtà: anche nella storia religiosa sa gettare uno sguardo penetrante, sicuro, sereno, obiettivo. Egli solo ha saputo sottrarsi, restando cristiano, alla schiavitù del biblicismo, che egli rimprovera anche agli anabattisti, e resistere al sogno di restaurare il cristianesimo apostolico [...] Non dobbiamo perciò meravigliarci se egli rimase solo.".
Il testo ha il compito di introdurre e presentare le coordinate fondamentali - l'abc - del discorso teologico cristiano cattolico, fornendo gli strumenti essenziali per riflettere criticamente sul messaggio del Vangelo, che trova in Gesù il compimento della rivelazione di Dio e dell'uomo. Da qui i quattro nuclei tematici: le radici della relazione tra l'uomo e Dio; la Bibbia e la teologia cristiana; la storia di Gesù di Nazareth; le grandi coordinate della relazione tra Dio e l'uomo alla luce della proposta di Gesù. Una guida al discorso teologico, pensata per coloro che vogliono avvicinarsi alla Parola della fede, attraversando la biblistica, la scienza delle religioni e la filosofia.
Le pagine del Qohelet e del Cantico dei cantici, due brevi libri sapienziali della Bibbia, offrono al lettore una penetrante riflessione sull'esperienza umana del domandare, del cercare e dell'amare. Tutto passa, eppure qualcosa resta, permane, dura: l'esperienza della precarietà di una bolla di sapone, fragile e luminescente nell'effimero del suo istante; l'esperienza di un amore che sfida il limite della morte, perché in esso avvampa una fiamma segreta; l'esperienza di un corpo che diviene paesaggio da attraversare, architettura da abitare, nei giorni dello splendore e nelle notti della nostalgia.
Nella storia dell'umanità la morale ha formato un binomio inscindibile con la religione. Tuttavia, nella cultura e nelle società occidentali moderne, le teorie etiche hanno concepito la morale in modo autonomo rispetto alla religione, oscurando o rimuovendo il suo fondamento teologico, al punto da legittimare la tesi di "un'etica senza Dio" nel dibattito pubblico. In quello accademico, poi, si moltiplicano le spiegazioni naturalistiche della morale che tengono in scarsa o nulla considerazione la religione. L'intento del libro, che tiene conto anche del recente dibattito anglo-americano sul tema, è quello di ricongiungere morale e religione a partire dalla visione teistica del mondo: una visione filosofica e al tempo stesso religiosa che riconosce l'esistenza di un Dio onnipotente, onnisciente, perfettamente buono, creatore del mondo. La tesi sviluppata è che un'etica su basi religiose, lungi dall'essere superata e inattuale, è in grado di offrire una giustificazione e una motivazione della morale che è più convincente di una secolare e di rappresentare, all'interno del pluralismo etico contemporaneo, una chiara alternativa al relativismo e al nichilismo morale.
La fortuna di questo saggio, pubblicato per la prima volta nel 1967, è dovuta ad almeno due motivi. Per un verso, coglie lucidamente la natura particolare dell'intreccio tra religione e politica negli Stati Uniti, legata certo al cristianesimo protestante e puritano dei padri fondatori, ma anche in grado - come dimostra l'analisi dei discorsi presidenziali - di trascendere il dato confessionale, rivelandosi un potente fattore inclusivo e di coesione morale. Per un altro verso, proprio questa peculiarità fa sorgere un problema più generale di confronto, per analogia ma anche per differenza, con la situazione europea. Il fatto che oggi si ritorni a parlare di "religione civile" a vari livelli - riguardo sia al generale processo di sacralizzazione della politica sia ai cambiamenti nel frattempo intervenuti negli Stati Uniti come in Europa - dimostra la classicità di queste pagine, che ci parlano ancora oggi e nel contempo riflettono problemi e situazioni profondamente diverse da quelle attuali.
Nel 1960, accompagnando l'ascesa alla Presidenza del primo cattolico, John Kennedy, sospetto in vasti settori dell'opinione pubblica protestante perché la Chiesa cattolica sembrava limitarne l'autonomia, il padre gesuita John Courtney Murray pubblicò We Hold These Truths - Catholic Reflections on the American Proposition, la raccolta dei propri scritti. In essa, a partire dal diritto costituzionale americano, proponeva di assumere pienamente la libertà religiosa come principio da valorizzare e non come male da tollerare. Kennedy si ispirò a Murray anche in un celebre discorso a Houston di quello stesso anno che ebbe particolare risonanza politica ed ecclesiale, anche ad anni di distanza. La prima apparizione italiana del testo (Morcelliana, 1965) intendeva accompagnare i lavori del Concilio Vaticano II ed in effetti ebbe un'influenza decisiva sulla Dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae anche grazie ai rapporti di lunga data dell'autore con Paolo VI. Oggi, in concomitanza con l'ascesa alla Presidenza di Joe Biden, secondo cattolico dopo Kennedy, vede la luce questa nuova edizione, con una premessa e una nota biografica e bibliografica di Stefano Ceccanti, nella convinzione che alcune intuizioni di fondo del testo e della Dichiarazione possano avere ancora un significato.
Da una piccola cittadina della Baviera alla cattedra di san Pietro: così si snoda la vita di Joseph Ratzinger, teologo e accademico, arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga, divenuto poi cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e dal 2015 romano pontefice, dopo i quasi trenta anni del polacco Giovanni Paolo ii. Custode della dottrina, Ratzinger assume la guida della barca di Pietro con il nome programmatico di Benedetto XVI, nel mare agitato di una Chiesa cattolica scossa da forze conservatrici e spinte progressiste, per poi lasciare il timone al papa venuto dal Sud del mondo, con la rinuncia al ministero petrino «ingravescente aetate». Dal 2013 la sua presenza inedita di "papa emerito", con la bianca veste, tra le mura della Città del Vaticano, apre le porte a nuovi interrogativi e prospettive: quale bilancio e quale futuro per la Chiesa del ventunesimo secolo? Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. [...] per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005. (Benedetto XVI)
"L'Etica di Romano Guardini rappresenta non solo una «sorta di sintesi» del suo pensiero, ma un grande affresco in cui troviamo rappresentata con rara chiarezza ed efficacia le dimensioni morali dell'esistenza e le grandi figure dell'etica filosofica e teologica. L'Etica è uno sguardo sulla vita concreta, in un costante confronto con i classici del pensiero occidentale, con la rivelazione cristiana e con la storia dell'Occidente sfociata nei totalitarismi e nel dominio della tecnica. È la vita concreta dell'uomo a suscitare l'attenzione e la riflessione di Guardini, che si accosta con discrezione alle realtà più profonde con la preoccupazione di chi è interessato più a comprendere che a giudicare. Scevra da moralismi così come da ogni tentazione semplificatrice, l'etica guardiniana ha il sapore di un invito a dare sempre nuova forma umana alla vita, nella tensione - spesso drammatica - tra la realtà oggettiva del bene e l'incancellabile richiamo della coscienza." (Michele Nicoletti e Silvano Zucal). Premessa di Franz Henrich.