
Se, come afferma il teologo russo Pavel Evdokimov, "non è la conoscenza che illumina il mistero, il mistero che illumina la conoscenza", c'è un rapporto profondo fra l'indagine sul mistero dell'inconscio umano - cara alla psicologia - e quella sulle profondità abissali del mistero divino, così come esso si è rivelato agli uomini in Gesù Cristo - cara alla fede e alla teologia cristiana. Il primato dell'ignoto sul già visto e sul già posseduto pone sia la psicologia sia la fede in una singolare condizione di povertà, la quale si traduce nell'esercizio dell'interrogazione, dell'ascolto e dell'umiltà, aprendo a fecondità irraggiungibili per un pensiero che voglia presuntuosamente comprendere e spiegare tutto. Fede pensante e analisi psicologica, cammini spirituali aperti alle profondità divine e percorsi psicoterapeutici verso le profondità dell'umano, scoprono così la ricchezza di una vicinanza in passato per lo più ignorata e spesso trascurata. Un libro che, nella sua essenzialità, schiude nuovi orizzonti di ricerca.
Se "dire grazie" è un'esperienza quotidiana, traspare in essa quel "grazie originario" che accomuna tutti gli uomini: davanti al mistero della vita, oppure - religiosamente - di fronte alla grandezza di Dio. Massimo Giuliani ne ricava i tratti universali e il significato etico-filosofico a partire da una fenomenologia che spazia dall'obbligo di gratitudine verso i genitori al rapporto fra il provare tale sentimento e l'esprimerlo, dal riconoscimento che il popolo ebraico conferisce ai giusti delle nazioni alla benedizione giudaica dopo il pasto. Nella Bibbia l'esclamazione di gioia e di riconoscenza per eccellenza è hallelujah, "date lode a Dio": Paolo De Benedetti mostra come tale espressione, attraverso i testi ebraici e quelli cristiani, giunga a noi come un grido dal cuore, che nasce dall'esperienza e risuona in tutto il creato, educandoci a un dialogo costante con Dio.
Come si tramandarono i ricordi sulla figura di Gesù? Perché tali memorie rimasero fissate in narrazioni biografiche? Quali fasi condussero alla formazione dei quattro Vangeli e alla loro canonizzazione in Scrittura? A questi quesiti, e ad altri ancora, tenta di rispondere Santiago Guijarro Oporto, il quale traccia le tappe di un percorso che descrive la genesi e il processo di formazione dei Vangeli, a partire dalla tradizione orale - nata in Terra d'Israele dall'interazione tra Gesù e i suoi discepoli e seguaci e sviluppatasi negli anni successivi alla morte del Cristo e alla scomparsa degli apostoli (30-70 d.C.) - fino alla composizione vera e propria di narrazioni appartenenti al genere letterario biografico di chiara provenienza ellenistica (dalla fine del i secolo d.C. a metà del ii). Tra esse furono poi selezionati quattro scritti (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), considerati maggiormente portatori dell'evangelo - la "buona notizia" - che vennero distinti dagli altri e messi in relazione tra loro in seno alle comunità cristiane. La ricostruzione di questo lungo processo getta le basi per nuovi interrogativi e nuove indagini, per meglio comprendere la scelta di un genere - che ha condizionato anche l'interpretazione di ciò che era narrato - e l'identità di Gesù.
La doppia valenza del termine "potere" come possibilità di azione propria degli esseri umani e come forza posseduta da alcuni su altri è già di per sé indice della ricchezza del concetto scandagliato in queste pagine. Si profila una differenza tra il potere come possibilità di agire e come forza regolatrice della società: se il primo appartiene all'ordine della creazione e quindi è attuazione dell'umano, il secondo è introdotto quale mezzo necessario a sanare una condizione prodotta dal peccato. Da qui il paradosso del potere: necessario, ma fonte di seduzione demoniaca, tanto da essere stato oggetto di tentazione per lo stesso Gesù nel deserto. Riconducendo le possibilità del potere al loro limite sia nativo sia indotto dalla condizione storica, è possibile far luce su questa tematica qui colta da diverse prospettive: antropologica ed etica, teologico-politica, ecclesiastica. Vengono illustrate le valenze del potere come verbo e mostrati le radici e il fine antropologici del potere, le virtù di chi lo esercita e il suo fondamento a partire dalle forme di "resistenza" che lo rendono possibile. Si riflette poi sulla concezione della regalità quale manifestazione del potere divino, sulla pertinenza della derivazione teologica del potere, sul significato delle preghiere liturgiche in occasione delle incoronazioni medioevali. A uno studio del pensiero di Ricoeur sul potere, segue un'analisi del senso ecclesiale degli strumenti canonici...
Luciano Monari, teologo e biblista, ci accompagna alla meditazione sul capitolo 2 del libro di Geremia, alla scoperta dell'idolatria e della sua vacuità.
Questo libro costituisce un esempio di filosofia della religione propriamente detta: interrogandosi su una questione peculiare della teologia - quella del "peccato originale" nella tradizione ebraico-cristiana -, non si propone né di sostituirsi a essa offrendo un fondamento razionale alla rivelazione, né tantomeno di imitarla svolgendo la ricerca nell'ottica della fede. Tenta invece un'interpretazione propria, mostrando come con tale tematica la religione affronti, seppur con intenti e esiti diversi, problemi analoghi a quelli della filosofia. Ecco che il racconto biblico della cacciata dal Paradiso terrestre - con cui si sono confrontati tra gli altri Kant, Hegel, Benjamin e Heidegger - si rivela luogo privilegiato per lo studio del nesso fra libertà, relazione e male: in Genesi 3 la libertà viene istituita e consegnata ai paradossi che contraddistinguono i tentativi di pensarla in una prospettiva relazionale, nella quale il male emerge come patologia della relazione. Se l'approccio religioso offre importanti elementi di stimolo e di chiarificazione all'indagine filosofica, il filosofo può sorprendersi - nel suo pensare a un "Dio possibile" - di riuscire a rischiarare alcuni aspetti della stessa tradizione religiosa.
M. Cangiotti, Necessità e limiti della mediazione. Prospettive: M. Ferraris, Realismo positivo. L'invito che ci viene dal mondo D. Marconi, Genealogia del nuovo realismo F. Botturi, Realismo morale P. Pagani, Phainesthai. Note su essere e pensiero V. Fano - S. Matera, Realismo scientifico e vincolo fenomenologico M. Alai, Realismo, idealismo e agnosticismo. Una prospettiva epistemologica P. De Vitiis, Nuovo realismo ed ermeneutica M. Giuliani, Il realismo rabbinico C. Dotolo, Rivelazione e realtà C. Zuccaro, Può la teologia morale non essere realista? Figure e confronti: E. Baccarini, La questione dell'oggetto nella fenomenologia G. D'Anna, Nicolai Hartmann. Realismi e ontologia L. Grion, La critica di Bontadini al new realism anglo-americano S. Bignotti, Realismo e idealismo in Emanuele Severino. Un'identità problematica G. Cotta, La realtà dell'altro. Individualismo, relazionismo e relazionalità Materiali: T.W. Adorno, Kant: due concetti di cosa (a cura di I. Bertoletti) P. Aubenque, Relatività o aporeticità dell'ontologia? Da Quine ad Aristotele (tr. di I. Bertoletti).
Pochi giorni prima che Hitler diventasse Cancelliere, Martin Buber, una delle figure più autorevoli dell'ebraismo tedesco, partecipò a un convegno insieme a relatori nazionalsocialisti, neo-nazionalisti e antisemiti, in cui discorso teologico e fede politica finirono fatalmente per sovrapporsi. L'incontro fu organizzato da Jakob Wilhelm Hauer, ordinario di Indologia all'Università di Tubingen, di lì a poche settimane non solo fervente sostenitore della dittatura, ma anche informatore dei servizi segreti di Himmler. La partecipazione di Buber al convegno e l'adesione di Hauer al nazismo diedero luogo a un significativo intreccio biografico. A distanza di ottant'anni riemergono dagli archivi documenti che permettono di ricostruire - anche grazie ad altri scritti coevi (come la disputa con il teologo cristiano Karl Ludwig Schmidt), carteggi inediti e fotografie d'epoca - un'intricata vicenda rimasta finora ignorata. Una vicenda, non priva di contraddizioni e ambiguità, che pone in una nuova luce lo stesso essere e pensarsi ebreo di Buber, sulla base di una riflessione teologico-politica che nasce calandosi all'interno di un clima culturale, nella Germania fra le due Guerre, ostile all'integrazione ebraica nella nazione tedesca.
Sommario: De Gasperi e la prima guerra mondiale (a cura di Giuseppe Tognon).M. Mondini, La genesi del nostro mondo. La Grande guerra italiana tra Europa e Trentino; M. Cau, "Una svolta della storia". De Gasperi e la Grande guerra. Interculturalità. Scontri e incontri di culture e civiltà (a cura di Giuseppe D'Anna e Stefano Santasilia) G. D'anna - S. Santasilia, Premessa; L. Bruni, Economia e interculturalità; G. Cacciatore, Nuovo umanesimo e filosofia interculturale; A. Ciccozzi, Interculturalità, critica postcoloniale, immigrazionismo; C. De Angelo, Immigrazione, diritto e interculturalità. I tribunali islamici in Gran Bretagna; R. Diana, Interculturalità e storia. Elementi per un'etica delle migrazioni; C. Dieskmeier, Libertà, interculturalità ed éthos globale; G. Di Palma, Un esempio di lettura interculturale della Bibbia: Paolo; F. Fanizza, Interculturalità e gentrification; R. Fornet-Betancourt, Interculturalità e religione. Appunti per un'interpretazione interculturale della crisi del cristianesimo in Europa; M. Kaufmann, Esiste un diritto umano all'identità culturale?; I. Loiodice, Interculturalità a scuola. Per una formazione al dialogo e alla condivisione "oltre i confini"; M. Marianelli, "Chaque religion est seule vraie". Il modello weiliano come paradigma di un umanesimo interculturale; G. Pasqualotto, Dalla filosofia comparata alla filosofia interculturale; S. Reding Blase, Oltre l'assimilazionismo indigenista...
"Credo che la forza della Ecclesiam suam consista nell'aver saputo ricondurre all'essenziale fede e vita cristiana sul tema della parola. Certamente, la parola di Dio, la rivelazione, da cui soltanto discende la capacità della Chiesa a parlare e annunciare, a comunicare e testimoniare. Ma poi, in particolare, il parlare umano, il parlare della Chiesa. Proprio questa concentrazione sulla parola, sul messaggio, sul dialogo, esprime al meglio la vocazione della Chiesa e cerca di rendere la Chiesa a un tempo 'più divina' e 'più umana', in piena rispondenza al Cristo, parola di Dio fatta carne, uomo che ha parlato come nessun altro uomo mai." (dall'Introduzione di Enzo Bianchi)
"La rivelazione di Dio è attestata in un libro, la Bibbia, che è anche letteratura: in essa si possono trovare molteplici generi letterari, che rispecchiano il modo abituale di comunicare. Nel corso del tempo questa 'biblioteca' è diventata la fonte di ogni comprensione del mistero di Dio nella sua manifestazione agli umani. Dalla letteratura biblica sono sorte nuove forme letterarie per dire il medesimo mistero. Anzitutto la teologia nelle sue diverse articolazioni, che si è modellata in forma ora poetica, ora narrativa, ora argomentativa. Se nella tradizione scolastica si è prestata attenzione soprattutto a quest'ultima modalità, non sono mancati teologi che hanno richiamato la necessità di dare spazio alla poesia e alla narrazione. Il libro di Ballarmi dà conto dei tentativi di dire l'evento della rivelazione secondo i molteplici registri dell'espressione umana. Infatti, rinchiudere il Mistero nella sola argomentazione sarebbe ridurlo alla misura della ragione privandolo della ricchezza del sentimento". (Giacomo Canobbio)