
«L’uomo riceve il sentimento di Dio». Antonio Rosmini ci lascia in eredità l’intelligente suggestione di prendere sul serio la dimensione interiore della rivelazione. Ciò implica un attento sguardo sull’atto di fede capace di ri-conoscere il senso (significato e orientamento) dell’uomo nel suo riferirsi a Dio che sempre lo precede perchè lo abita. Dio nella sua «realità» più vera – e quindi più affidabile – si rivela in un “sentimento fondamentale credente” che è già “sentimento” di salvezza e che porta in sé un’irresistibile vocazione all’amore. Il saggio propone, quindi, un nuovo capitolo del manuale di teologia fondamentale che renda ragione di una fede cristologica ridefinita dal suo “ministero soteriologico”.
Fino al IV secolo la filosofia non si era fermata su quella che è l'esistenza personale: partita esaminando l'esterno, la natura, le cose, in seguito aveva elaborato un duplicato del mondo sensibile con un altro mondo, che di quello sensibile era l'archetipo e il modello. Senza dubbio, i dotti e i sofisti si erano occupati pure del problema umano; ma non avevano notato che il mondo interiore differisce da quello esterno in maniera essenziale, e lo avevano descritto desumendo la terminologia dal mondo della natura o da quello dell'astrazione. Quando sorsero le polemiche sulla Trinità e sul Logos incarnato, si dovette tradurre la fede degli apostoli con il linguaggio dei Greci, che era diventato il linguaggio della gente istruita, e si dovettero attribuire significati nuovi a sostanza, ipostasi, natura, persona, relazione. In tale contesto si sviluppa il pensiero di Gregorio di Nissa, che diede alla relazione il significato interiore che oggi anche noi vi attribuiamo. Insieme all'approfondimento del significato dei nomi divini di Padre, Figlio e Spirito, e quindi delle relazioni immanenti alla natura divina, egli diede significato alla dimensione interiore dell'essere umano creato a immagine di Dio: come in Dio vi sono relazioni eterne e immutabili, così nell'uomo e nella donna le relazioni acquistano la prospettiva di una dimensione che li muta interiormente, li nobilita o li appesantisce, li manipola o li divinizza. Lo studio qui presentato offre una disanima delle correlazioni presenti nel padre cappadoce tra lo sviluppo della teologia trinitaria e l'analisi dell'interiorità umana, fino a identificare un prima e un dopo rispetto alla scoperta dell'amore eterno che unisce e distingue il Padre e il Figlio nell'essenza dell'unico Dio, fino alla formulazione di un'antropologia trinitaria.
«Un comandamento nuovo vi do: che vi amiate gli uni gli altri; come io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Il comandamento nuovo rappresenta la caratteristica specifica e la novità più profonda di tutto l’ethos cristiano e, addirittura, il suo «vertice» (cf. MD 7). Come mai, allora, esso non è trattato in maniera chiara e ampia nella riflessione teologica tanto che si potrebbe dire che questo specifico comandamento di Gesù sia passato quasi inavvertito lungo i secoli? Convinti della sua centralità e della sua importanza per la vita cristiana, il libro analizza questo studio sul pensiero di Chiara Lubich e sulla sua proposta di vita centrata sulla prassi del comandamento nuovo. Da questa prospettiva è possibile prendere, poi, spunto per approfondire il valore di tale comandamento come fondamento per un possibile orientamento esistenziale.
Una rilettura dei tre dimensionali del tempo (visione, memoria, attesa) che Agostino pone in evidenza nelle sue Confessioni. Sulle tracce di una ontologia trinitaria della temporalità, quale possibilità di un ripensamento teologico del tempo in chiave trinitaria, muovendo da un piano relazionale in cui può darsi l'apertura e l'incontro dell'umano e del divino.
La ricerca dell’uomo si colloca tra impossibilità e desiderio, tra oscurità e luce. L’espressione remotio obscuritatis (il rimuovere l’oscurità, del titolo), fatta propria da Tommaso d’Aquino, sintetizza in sé questa doppia valenza della relazione: l’incontro con Dio desiderato dall’uomo, e possibile soltanto nell’oscurità, viene attuato in pienezza da Dio stesso grazie alla rimozione di questa oscurità. Si tratta allora di cogliere ciò che di paradossale è contenuto in quest’espressione e di percorrere le due linee di indagine che da qui possono aprirsi: da una parte chiedersi in cosa consista questa oscurità e perché le tenebre caratterizzino la nostra esperienza del divino, dall’altra che tipo di negazione o rimozione avviene nel momento in cui accediamo effettivamente alla vera conoscenza di Dio grazie a Dio stesso.
Il saggio inscrive nella natura Trinitaria della Chiesa in uscita l'esercizio del Diritto Canonico come progetto regolativo ideale che persegue lo scopo di proporre una risposta al male nell'ottica di una giustizia rigenerativa. La sentenza e la pena, in questa prospettiva, possono essere concepite, grazie alla mediazione penale, come istanze dinamiche aperte e generative. I punti focali da cui origina questa originale lettura con una concreta proiezione legale sono l'ontologia trinitaria e il concetto di norma missionis.
Il concetto di intentio ha occupato finora un posto molto particolare negli studi agostiniani proprio a motivo delle posizioni divergenti esistenti tra gli studiosi dell'interpretazione del suo status epistemologico. La posizione prevalente è quella di trascurare il significato conoscitivo dell'intentio per il suo legame con gli atti volontari (volontà, desiderio, amore, ecc.), mentre l'altra posizione consiste nell'identificarla con il concetto moderno di intenzionalità. In questo contesto complesso, la presente ricerca si dedica a raggiungere il significato fondamentale dell'intentio per descrivere semanticamente l'uso del termine, per via induttiva, analizzando le sue occorrenze nei dialoghi filosofici (prima parte) e nel De trinitate (seconda parte). Per tale strada, sulla base del concetto agostiniano di intentio, che costituisce la struttura conoscitiva dell'anima, e riflette quella ontologica, si giungerà a chiarire il nesso dinamico della conoscenza sia con l'amore sia con l'essere stesso dell'anima, dimostrando infine la correlazione conoscitiva e ontologica tra l'anima e la Trinità.
Due millenni di cristianesimo non sono bastati per fare emergere pienamente il significato della rivelazione che «Dio è amore». In questo volume collettivo, un gruppo di giovani filosofi e teologi si interroga su questo significato e sull’apporto della spiritualità carmelitana nelle sue figure, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Teresa di Lisieux ed Edith Stein, alla teologia dell’amore contemporanea con la speranza di contribuire a una Weltanschauung cristiana.
La teologia che si fa pensiero pulsante e soteriologicamente coerente è un pensare nella relazione. L'esigenza di ripensare l'ontologia a partire dal dio uni-trino si accredita come una delle sollecitazioni più attuali e profetiche per la teologia. L'intuizione di questo saggio guarda alla relazione come chiave di volta per la presentazione di una via, concreta ed epistemicamente fondata in Cristo, per giungere a una proposta di rinnovamento in tal senso praticabile.
La questione antropologica è oggi più che mai urgente in tutti gli ambiti. Che cosa è l'uomo? Meglio, chi è l'uomo? Varie sono le risposte, spesso tra loro inconciliabili. Eppure il presente e il futuro dell'uomo, nonché del pianeta in cui vive, dipendono non poco dalle risposte di cui si occupa l'antropologia teologica. In tale orizzonte il volume presenta in particolare il pensiero di Chiara Lubich, offrendo alcune novità dal punto di vista metodologico e contenutistico. Dopo un'introduzione sulla persona e l'opera letteraria della Lubich, vengono esaminati i contenuti più importanti della sua concezione antropologica, alla luce della specifica metodologia dell'autore: una "metodologia dall'interno", che si differenzia da quelle che la tradizione teologica ha definito "dall'alto" o "dal basso". Ne deriva la constatazione di quanto pertinente sia per l'antropologia della Lubich l'attributo a essa associato di "trinitaria".
Tutta la creazione è un inno alla risurrezione del verbo che si è fatto carne. Il libro si muove tra due fuochi: da una parte la relazione singolare di gesù con l'abbà, la declinazione dell'alterità della sua coscienza filiale, la profondità della sua libertà; dall'altro la risurrezione di gesù come principio della speranza e del dono della fra(e)eternità, per la novità dei legami più forti della morte generati tra noi dalla parola fatta carne. Un'originale e promettente prospettiva cristologica che s'inscrive, in sintonia con le linee tracciate dalla veritatis gaudium, entro l'orizzonte dell'ontologia agapico-trinitaria dischiusa dalla rivelazione.
Si può ancora parlare di "metodo" dopo il Novecento? La società italiana di studi lonerganiani (sislon) si è posta la domanda, avviando una ricerca sui plurimi aspetti storici, antropologici, epistemologici del metodo, per esplorarne possibilità e validità. Il libro presenta saggi che si addentrano in tematiche forse complesse, ma non meno affascinanti per chi si lasci incuriosire dal termine "trascendentale" e dal suo pluriverso filosofico e teologico. Dopo una prima investigazione sul "trascendentale" nel pensiero di J. Maréchal, K. Rahner, J.B. Lotz, l'attenzione degli autori si focalizza sul pensiero di B. Lonergan e il suo metodo trascendentale, affrontato da diverse prospettive.

