
Al fine di navigare meno pericolosamente in questa epoca di transito, in questo volume Giuseppe Colombo scandaglia le proposte dell'universale antropologico dell'umanesimo classico e del post-umano. Entrambe, quando definiscono il 'genere uomo', presumono di formulare un giudizio universale pacificante. L'antico e il nuovo Edipo conosce l'essenza dell'uomo e annienta la Sfinge, il caos: sapere è potere. Quando però si tratta di passare dalla conoscenza del genere astratto a quella del singolo concreto, la riduzione antropologica dell'universale (l'essenza 'eterna') al particolare (l'uomo in carne e ossa 'finito') si incarica di 'esistenzializzare' e 'personalizzare' il male, la sofferenza, la morte. Viene allora annientata la presunzione di conoscere e dominare il proprio io e il proprio destino. L'Edipo trionfante si rovescia nell'Edipo annichilito. S'impone allora una radicale rivisitazione dell'universale antropologico.
A venticinque anni di distanza dalla prima edizione il saggio di Pierangelo Sequeri appare di immutata attualità: è diventato un classico, un longseller. Il segreto di questa vitalità sta nel suo attestarsi sul nucleo centrale del cristianesimo, che rischia di essere perso di vista in un tempo confuso come il nostro. Questo saggio può essere considerato come una riflessione, geniale e originalissima, sullo sguardo di Dio e su ciò che esso suscita nell'uomo. A tale sguardo, per definizione, è impossibile sottrarsi: è una buona notizia o una scoperta inquietante? Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, avverte il sentimento della possibile ambiguità di Dio: dietro un volto in apparenza buono e promettente, egli ne cela forse uno preoccupante e minaccioso. Questo sospetto alimenta la paura, perché ci fa sentire nudi ed esposti a un occhio che scruta implacabilmente la nostra inadeguatezza. E così che l'esperienza religiosa universale immagina Dio, al modo di un Faraone strapotente, nello stesso tempo e senza criteri apprezzabili prodigo di favori e dispensatore di disgrazie. È la religione della paura e dell'assoggettamento servile. Gesù dissipa le nebbie di questa ambiguità con un'inaudita folgorazione sulla verità di Dio, quella che spesso ci si rassegna a considerare pura illusione: Dio, fin dalla creazione del mondo, e dopo ogni colpa, è passione inestinguibile e tenera cura per l'uomo. È questa, e solo questa, l'intenzione di Dio che il Figlio rivela restituendo al desiderio di vivere poveri, ciechi, zoppi, lebbrosi e peccatori. Fino alla misura colma della morte in croce per riscattare dalla loro schiavitù i devoti della religione della paura. Gratuità senza riserve, pura grazia la cui accoglienza è questione di vita o di morte.
Una fedele lettrice della Bibbia ne incontra due figure tra le più note, Noè e Giuda: il risultato è un libro che ci conduce a riscoprire quanto abbiano da dirci ancora i due popolarissimi personaggi della Scrittura. La storia di Noè, di grande potenza immaginifica con quell'arca carica di animali sballottata dalla furia del diluvio, rivela tutta la sua realistica urgenza in questo nostro tempo in cui la grande potenza tecnologica mette l'uomo in condizione, come mai prima, di distruggere la terra. E il tradimento di Giuda, da parte sua, ci interroga sulla perdizione massima - tradire un amico, tradire Dio - e sulla sua terribile soluzione. Pur nella diversità di contesto narrativo, queste storie ci sembrano parlare entrambe di un destino di colpa e di tragica maledizione, di un collasso della speranza. E invece Teresa Bartolomei fa dei due protagonisti delle 'figure in cammino' verso la luce della Parola, capovolgendo la loro sorte e convertendo il nostro sguardo. La teologia della maledizione del diluvio viene confutata - Dio non punisce - e rovesciata nella teologia dell'ecocidio, vera e propria teologia della seconda creazione. L'uomo ha distrutto il suo ambiente, la casa che gli era stata donata, ma Dio gli propone una nuova forma di convivenza, che passa dal coinvolgimento attivo dell'uomo. Davanti alla minaccia di un ecocidio fatto di alterazioni climatiche, consumo dissennato delle risorse naturali, riduzione della diversità biologica, Dio propone a Noè e a tutti noi di salvare la vita del pianeta costruendo nuovi habitat, nuove arche, nuovi modelli di vita individuale e collettiva. Allo stesso modo, Giuda ci viene restituito come 'figura' - cioè come luogo teologico di rivelazione - di ogni uomo che consegna Dio scambiandolo per una manciata d'argento, di godimento, di vanità, di dominio. Figura della condizione umana prima di essere redenta da quell'unico uomo che non tradisce, che non consegnerà mai Dio al male, ma che si lascia anzi consegnare al suo posto: Gesù Cristo. Una lettura vertiginosa del testo biblico, che ce lo svela come una straordinaria scuola di umanità, un viaggio nel cuore dell'essere umano nel suo dialogo con Dio.
L'individuo deve ricrearsi la fede con un atto di decisione; perché la fuga, non più la fede, esiste oggi come mondo oggettivo. La fuga davanti a Dio è un pamphlet scritto nel 1934, in piena epoca nazista. In un clima storico in cui si assiste all'affermarsi dell'industrialismo e del dominio tecnologico della macchina, del culto futuristico della velocità, al disfarsi dei legami sociali, alle mattanze dei totalitarismi e delle guerre mondiali, Picard descrive la fuga dell'umanità dalla divinità, dal fondamento dell'essere, dal paradigma stesso dell'esistenza. La sua diagnosi è netta: «Nel mondo della fuga l'uomo non esiste come singolo essere delimitato, ma come coacervo di sensazioni, volontà e azioni continuamente mutevoli». La critica di Picard risuona oggi lungimirante e visionaria. La sua analisi della mobilità inesausta, dell'accelerazione della vita e del continuo cambiamento dei rapporti tra gli esseri umani individua problematiche sollevate da filosofi come Morin, Baudrillard, Virilio, Debord. La sua descrizione del dissolvimento dell'oggettività e dell'avvento di una realtà virtuale e fantasmagorica costituita da grumi di materiali informativi fluttuanti in un continuum di immagini, ci ricorda la società liquida di Bauman e il dominio planetario della rete. La lezione di Picard oggi assume un valore particolare in riferimento al cuore stesso delle sue riflessioni: ricentrare l'essere umano intorno ad alcuni nuclei essenziali e imprescindibili, per riconoscere il mondo come donazione, ma anche per riaffermare le ragioni neglette di un principio di umanità da opporre alle forze omologanti che oggi sembrano imporsi su scala planetaria. Come scrive Hermann Hesse nel testo che lo accompagna: «Molte sono le ragioni che rendono importante questo libro... È un'opera spaventosa e confortante allo stesso tempo, ma lasciamo che il libro parli da sé.
I Tre dialoghi e il racconto dell'Anticristo sono l'opera 'ultima' di Solov'ëv, l'apice e forse la ritrattazione di tutta la sua precedente riflessione. In queste pagine, scritte poco prima della morte, la fiducia nella storia viene sostituita da una più drammatica interpretazione del divenire terreno. Se nei Tre dialoghi il bersaglio polemico di Solov'ëv è costituito soprattutto dal cristianesimo mutilo di Tolstoj, il Racconto dell'Anticristo è un testo che continua a inquietare per la chiaroveggenza con cui ci rivela il volto - o, meglio, uno dei volti - dell'Anticristo nell'epoca moderna. Il suo Anticristo irrompe in una storia umana desacralizzata, svuotata di orizzonti trascendenti, agendo nel vuoto, in una frammentazione orizzontale di religioni, culture, popoli, accogliendo ogni aspetto del reale ma spogliandolo al tempo stesso del suo significato essenziale. In questo senso l'Anticristo di Solov'ëv, portatore di un'ideologia conciliatrice, 'inclusiva', capace di una quasi infinita capacità di allontanamento dalla Verità, appare particolarmente attuale e minaccioso oggi, nell'odierno deserto del senso e dei valori.
Sulla scena della storia, e soprattutto in questo nostro tempo disincantato e disorientato, sono tanti i momenti di buio che fanno parlare di morte di Dio, di silenzio divino, di notte della fede. Auschwitz, Hiroshima, i gulag, il terrorismo, la pandemia, ma anche l'esperienza dei dolori personali, l'angoscia del vivere quando il caos e l'assurdità sembrano avere la prima e l'ultima parola: tutto questo può portare a concludere che Dio sia lontano, nascosto. O che non esista. E, d'altra parte, le certezze delle routines spirituali, la verità rigida dei fondamentalismi, ma anche l'entusiasmo di una fede troppo facile finiscono per sfociare in una chiusura che impedisce di assaporare un vero incontro con Dio e con gli altri che lo cercano magari senza esserne consapevoli. Di fronte a questo stallo oggi più che mai evidente, Tomás Halík torna a invitarci a un cambio di prospettiva. Dio è mistero, e sia l'ateismo sia la fede intransigente mostrano l'impazienza di risolverlo. Troppa impazienza. Perché di fronte a un mistero occorre soffermarsi sulla soglia, serbarlo nel cuore come Maria nel Vangelo, attraversare il deserto e l'oscurità come Israele nell'esodo. Occorre avere «pazienza con Dio», che ci viene incontro nell'attesa, perché Lui per primo è paziente con noi, crede in noi. È qui che Halík ci parla di Zaccheo, il piccolo pubblicano che cerca confusamente Gesù ed è sorpreso dalla fiducia del Signore che lo chiama per nome e si invita alla sua tavola. E ci chiede di riconoscere gli Zacchei di oggi, quei 'cercatori' non credenti o credenti in un modo diverso che come noi sono in viaggio, qualcosa li attira, accanto a loro passa qualcosa di fondamentale. Forse dimostreremo allora la vicinanza di Dio cercando insieme a chi cerca, interrogandoci insieme a chi domanda, facendo di questi Zacchei i nostri prossimi. Uscendo dalle porte chiuse delle nostre certezze per andare insieme dove Dio ci precede e ci aspetta.
Il malessere che attraversa le società avanzate è profondo ed esteso. Si percepisce la necessità di un cambiamento radicale. La svolta non è desiderata solo dai giovani; ora sono anche adulti e anziani ad avvertire che un grande rinnovamento è necessario. Scossa da molte crisi, la Chiesa cattolica ha voluto mettere al centro della propria attenzione i millenials, fermandosi e lasciandosene interrogare durante il Sinodo dei Vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Questo libro mostra come i frutti di quel confronto vadano oltre i confini ecclesiali e diano da pensare a credenti e non credenti di ogni età. Questioni di primo piano sono poste da una nuova prospettiva: economia, lavoro, sessualità, potere, reciprocità uomo-donna, preghiera, decisioni da prendere, comunità. Nei giovani papa Francesco ha indicato «l'adesso di Dio», la sua visita che scombussola e riapre la storia. Il nuovo irrompe, infatti, se lasciamo che la realtà ci smuova. C'è un soffio cui esporci, un respiro da ritrovare, come una seconda nascita. Tutto può davvero cambiare.
Apparsi sul quotidiano «Avvenire» nel periodo che va dal 1990 al 2008 e finora inediti in volume, gli interventi ora raccolti in Da Oriente offrono un originale autoritratto di Olivier Clément, il teologo ortodosso la cui esperienza si è rivelata fondamentale nel promuovere l'amicizia tra le Chiese. A dieci anni dalla scomparsa dell'autore, i temi del dialogo ecumenico, dell'identità europea, della ricerca di nuove forme di spiritualità e del legame inscindibile fra teologia e arte (di straordinario interesse le riflessioni critiche su Jean-Paul Sartre e Pablo Picasso) non hanno perso nulla della loro attualità e, anzi, si presentano in modo ancora più significativo e urgente nel contesto di questi anni, come dimostrano per esempio le annotazioni che Clément tempestivamente dedica all'insorgere del fanatismo religioso. «Il Vangelo e i Padri sono le bussole che hanno orientato il cammino di questo autentico "visionario" cristiano», scrive nella Prefazione Enzo Bianchi, che attraverso la Comunità monastica di Bose è stato tra i primi a introdurre in Italia il pensiero di questo grande maestro del nostro tempo. Una testimonianza 'da Oriente', illuminante oggi più che mai.
La venuta alla luce di un figlio appare subito agli occhi della madre e del padre come un lieto evento, per il quale esprimere gioia e gratitudine. In fretta però la vita del figlio propone loro anche molti compiti, e impegnativi. In prima battuta il nuovo nato accorda all'avventura della vita un credito spontaneo e incondizionato: esso 'costringe' i genitori stessi a una rinnovata speranza. In seconda battuta, la speranza del figlio appare possibile soltanto a condizione di una sua scelta, che è come una seconda nascita. La prima nascita, dalla carne e dal sangue, non ha bisogno di scelta. Ma la vita da essa inaugurata propone poi momenti di prova, e quindi la necessità di decidere. L'alternativa radicale è tra le due vie: credere alla promessa degli inizi oppure no, esigere le prove. Le condizioni per decidere sono predisposte fin da subito dai genitori stessi, prima ancora di rendersene conto. essi hanno scelto la vita per il figlio e appaiono ai suoi occhi come naturali testimoni della speranza. Ma della speranza essi devono poi rendere ragione, attraverso tutta la loro vita. La domanda del battesimo, che molti genitori oggi ancora rivolgono alla Chiesa, ha obiettivamente questo senso: chiedere un aiuto per iniziare il figlio alla verità del vangelo di Gesù. Queste pagine di Angelini intendono accompagnare i genitori nel loro difficile ma appassionante impegno di consegnare al figlio una speranza, quella che prende avvio sotto il segno del battesimo. Così la loro cura apparirà riflesso della cura che il padre dei cieli non farà mancare nel corso della vita.
In questi testi, scritti tra il 1964 e il 1993, il grande studioso francese, instancabile 'viaggiatore' di differenti mondi interiori ed esteriori, delinea un itinerario appassionato alla ricerca di un modo nuovo di pensare e di vivere la singolarità dell'opzione cristiana. Il cristiano contemporaneo, egli dice, si ritrova privo di certezze cui poggiarsi, non ha più il facile appiglio di istituzioni e pratiche consolidate: una situazione che condivide con l'«uomo comune» che de Certeau ha messo al centro di tutta la sua opera, l'uomo ogni giorno posto di fronte alla sfida del quotidiano, comune ma mai banale, anzi creativo, unico e speciale nell'intercettare l'esperienza concreta, la vita. E allora, come può quest'uomo, questo cristiano, trovare e percorrere il «sentiero non tracciato» che lo porti a pensare la sua fede e a inserirla positivamente nella società in cui vive? Immaginando i mondi possibili a partire proprio dal reale in trasformazione che si offre ai suoi occhi, prendendosi il rischio dell'incontro con la povertà non solo fisica, ma soprattutto spirituale: povertà di luoghi di identità religiosa, psichica, sociale; povertà come carattere ormai distintivo anche del credente contemporaneo. Perché è a quel punto che la «debolezza del credere» mostra la sua forza, evoca gesti e parole nuove per dar carne alla fede nell'oggi, suscita quel desiderio insaziabile e quella speranza senza pari che ci salva, nello scorcio di Novecento di de Certeau come nel nostro tempo di transizione radicale. Riproposti qui in una nuova edizione italiana, questi testi diventano allora per noi parole profetiche provenienti da un'intelligenza abbagliante, da un pensiero incisivo che non fa sconti alle facili consolazioni e convenzioni del discorso religioso, ma va dritto all'essenziale. Al fuoco, alla passione che devono agitare l'esperienza di fede. Prefazione di Stella Morra.
Nei giorni in cui più imperversava la pandemia da coronavirus, una delle menti più lucide del cattolicesimo contemporaneo ha tenuto una sorta di diario teologico, le cui pagine folgoranti sono state come distillate dalla gravità del momento. Non una retorica scontata - e quindi irritante in un tempo inedito come questo - ma parole e pensieri originali, potenti e persuasivi. Interrogato da un evento estremo, che impone la domanda della morte a dispetto di ogni sua rimozione, Sequeri ci restituisce l'essenziale di Dio, degli umani e della loro indistruttibile relazione. Uno sguardo penetrante che tocca l'anima, come quello di medici e infermieri, che prendendosi cura del corpo dei malati hanno raggiunto il loro spirito e quello di noi tutti. «Uno sguardo umano cambia la vita - e persino la morte». Ci siamo abituati a sguardi distratti, superficiali se non astiosi, nella frenesia delle nostre vite. Ora però abbiamo forse imparato a riconoscere la profondità e la potenza di uno sguardo buono, quello che ospita in sé la nostra fragile condizione umana. È lo stesso sguardo di Dio che vuole bene alla sua creatura e sa commuoversi davanti alle sue ferite. Tutte le pagine di questo prezioso libretto ci parlano della tenacia e della affidabile compassione del Dio di Gesù, misteriosa radice di ogni fiducia e speranza, anche quelle più esili. Ne saremo all'altezza? Impareremo a nutrire ogni giorno sguardi buoni per chi ci sta accanto, per l'altro che incontriamo, per la comunità umana a cui apparteniamo?
Una lettura troppo spiritualizzata di Gesù e del Vangelo ci ha resi forse poco sensibili agli aspetti concreti della sua vita e del suo messaggio. Ma singolare è la quantità di situazioni nelle quali Gesù si preoccupa del cibo o invita a mangiare o partecipa a cene e banchetti. Gesù propone e vive il banchetto come l'immagine più alta del Regno di Dio, accetta inviti o si fa invitare ai banchetti e con i suoi insegnamenti ne rivoluziona le ritualità convenzionali. Di capitolo in capitolo gli autori ci conducono tra i banchetti vissuti o raccontati da Gesù nei Vangeli. Non si tratta di una semplice esegesi dei testi, ma di un'ermeneutica partecipe, disponibile a farsi interrogare dal testo e a porgli continue domande, rileggendolo nella nostra attualità. Il titolo Venite a mangiare con me prende spunto dall'ultima pagina del Vangelo di Giovanni che racconta del pasto di Gesù risorto con gli apostoli, all'alba, sulla riva del lago. Fu l'ultimo incontro con i suoi, quasi un sigillo della sua compagnia con gli uomini che nella convivialità trovava il suo simbolo più intenso. Quel momento di condivisione del cibo fu anche l'alba di un nuovo inizio per i discepoli. Così accade nella nostra esperienza, quando accogliamo, ascoltiamo, dialoghiamo nell'incontro: torniamo a essere umani.