
Una lettura del libro più dibattuto della Bibbia, il Qohelet, che ne tocca i temi speculativamente più difficili, da parte di una di una voce del pensiero filosofico contemporaneo, a confronto anche con Kierkegaard.
Sergio Quinzio fu sempre afferrato dal "pensiero della fede", come confutazione assoluta del dubbio che si concretizza nella decisione di ritenere imponibile confrontare la fede con altro da sé. Tale concezione emerge nelle scelte compiute per redigere questa antologia biblica. Il primo criterio adottato da Quinzio è di mostrare come la visione della Bibbia sia globalmente differente da quella della filosofia greca. La ragione sta nel fatto che la seconda cerca di spiegare il mondo così com'è e quindi di adeguare il comportamento umano alle leggi che lo regolano; la prima è tutta sorretta dall'ansia della redenzione, la quale comporta vedere l'orrore del lato mancante presente nel mondo e sperare nel riscatto messianico della realtà nel suo insieme. Il secondo criterio è stato quello di cavalcare la parzialità: lo si è fatto nella direzione di presentarla come "provocazione, dal momento che si è cercato di mettere in luce specialmente gli aspetti del testo di solito meno visti, più facilmente elusi e addolciti", è quindi "sembrato utile [...] insistere su ciò che all'interno dell'orizzonte biblico rivela difficoltà e suscita problemi"; ad esempio il tema - filosofico - della violenza e della giustizia di Dio. Un approccio che intende cogliere istanze autentiche rimaste sostanzialmente estranee alla ricerca biblica, la quale è, per la massima parte, orientata in senso scientilico-esegetico. letterario-narrativo o spirituale.
DESCRIZIONE: Scrutando dentro le "ragioni di Giuda", Gustavo Zagrebelsky esplora uno dei territori più inquieti del pensiero cristiano, proprio perché vi è in gioco la libertà della creatura rispetto ai disegni del creatore. In Giuda si condensano, come una sterminata letteratura ci conferma, tutte le ombre del cuore umano: il suo sogno di bene e la sua capacità di male, il baratro della disperazione e il sogno della redenzione, la deformità del tradimento - l'affronto più grande alla creatura che si offre inerme - e la domanda più radicale su Dio, se cioè la sua misericordia sia tale da poter accogliere e perdonare anche il colpevole più ripugnante.
(dalla Premessa di Gabriella Caramore)
COMMENTO: Da parte del noto giurista una originale interpretazione del tradimento di Giuda alla luce delle categorie di colpa, pentimento e perdono.
GUSTAVO ZAGREBELSKY è presidente emerito della Corte Costituzionale. Per Einaudi ha pubblicato: Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia; Il crucifige e la democrazia; Imparare democrazia. Presso la Morcelliana: La leggenda del Grande Inquisitore
DESCRIZIONE: Da tempo la ricerca storico-religiosa e antropologica ci ha insegnato che la mitologia non è una prerogativa del mondo greco, e soprattutto che il “mito” – quale forma del pensiero espressa mediante la figura e il racconto – è almeno in certi casi emblematici la maniera forse unica possibile per dare rilievo ai temi nodali dell’esistenza umana, per rappresentare quanto vi è di enigmatico nel rapporto dell’uomo con ciò che sta al fondo dell’esperienza, con Dio. Vi sono però culture religiose, come quelle di tipo monoteistico a cominciare dal giudaismo, che sono refrattarie al pensare mediante il mito perché ciò è giudicato incompatibile non solo con la loro visione di Dio, ma anche e soprattutto con il ruolo in essa svolto dalla morale.
Il mito tuttavia si può scorgere nella preistoria del testo biblico, e talvolta riconoscere come materiale inerte riciclato in un lavoro redazionale che comunque ne ha provveduto a neutralizzare o a snaturare il significato originario in vista di finalità diverse. Un esempio quanto mai interessante di questo lavoro demitizzante della Bibbia è fornito proprio dal racconto sul giardino di ‘Eden – con i suoi protagonisti, Dio Adamo ed Eva, e i suoi eventi, il peccato e la cacciata – alla cui indagine è dedicato questo libro.
COMMENTO: Il racconto del Paradiso terrestre e del peccato originale in una innovativa lettura filosofica, nella quale la relazione tra Dio e il Serpente assume nuovi significati.
ALDO MAGRIS insegna Filosofia della religione all’Università di Trieste. Tra le sue pubblicazioni: Carlo Kerényi e la ricerca fenomenologica della religione (Milano 1975), L’idea di destino nel pensiero antico (Udine 1984-85); Plotino (Milano 1986); Fenomenologia della trascendenza (Milano 1992); presso la Morcelliana: La logica del pensiero gnostico (1997); Il Manicheismo. Antologia dei testi (2000), La filosofia ellenistica. Scuole, dottrine e interazioni col mondo giudaico (2001); Nietzsche (2003).
In quest'opera, l'autore offre una lettura del racconto del Giardino dell'Eden come quella della chance di immortalità a breve termine accessibile all'uomo, ma rapidamente perduta. Alcuni studiosi dell'Antico Testamento già da tempo hanno riconosciuto che l'interpretazione tradizionale del racconto su Adamo ed Eva non può reggere se sottoposta a un'analisi rigorosa del testo. Tuttavia, essi non sono riusciti a formulare un'interpretazione alternativa che rivaleggi con la forza della lettura tradizionale o che risulti importante per un'ampia gamma di questioni d'esegesi biblica e di teologia. La nuova interpretazione di James Barr è probabile susciti scalpore fra i tradizionalisti e rallegri quanti sono insoddisfatti del pensiero tradizionale. Centrale per il libro l'accento posto sulla funzione dell'idea di immortalità, comunemente concepita come un tardo apporto greco e non biblico nel pensiero cristiano. La riflessione sull'immortalità porta anche a una riconsiderazione dell'idea che della morte attesta la Bibbia ebraica, di quella dello sheol, il mondo infero per gli Ebrei, e di quella dell'anima stessa. L'autore mette in evidenza l'importanza del tempo per la Bibbia ebraica e il concetto della "lunghezza dei giorni", mostrando che la minaccia non era rappresentata tanto dalla morte in sé, quanto dalla modalità del suo accadere.
DESCRIZIONE: L’«amore di Dio», in virtù dell’ambivalenza del genitivo (soggettivo o oggettivo), può indicare tanto il chinarsi dell’alto verso il basso proprio dell’agape divina, quanto il dirigersi del cuore umano verso il proprio Signore.
Il comando di amare rivolto dal Signore al proprio popolo ha un riferimento, antico e pregnante, al linguaggio della politica del Vicino Oriente e soprattutto, come sempre quando si evoca un patto, il soggetto interessato è collettivo.
È altrettanto certo che un mal diretto amore di Dio può andare contro l’uomo: da sempre la valutazione del martirio, anche quando si tratta di una violenza subita, è posta su un sottile crinale in cui pochissimo spazio la separa dal primato di un amore di Dio che dovrebbe riuscire a valere più del sangue versato. Tuttavia questo martirio è tutt’altra cosa dalla declinazione dello pseudo-martirio terrorista, ma anche nell’aberrazione resta traccia di un’ambivalenza più antica: nei Maccabei si manifesta la resurrezione dei morti come l’unico premio adeguato per chi offre al Signore la vita del proprio corpo; nell’islam si prospetta l’immediato godimento paradisiaco offerto allo shahid; nel cattolicesimo la canonizzazione del martire avviene in virtù del suo stesso morire.
Nella moderna coscienza occidentale si avverte però in modo profondo la falsità di ogni preteso amore di Dio che, sotto qualunque aspetto, vada a scapito dell’uomo. Non vi può essere vero amore di Dio quando, nel nome del Signore, si va contro gli esseri umani: «non c’è altro comandamento maggiore di questo» (Mc 12,31).
SAGGI DI : Paolo De Benedetti - Benedetto Carucci Viterbi - Khaled Fouad Allam - Moshe Idel -Fabrizio Lelli - Giuseppe Lorizio - Amos Luzzatto - Stella Morra - Anne-Marie Pelletier - Paolo Ricca - Francesco Rossi de Gasperis - Jean-Louis Ska - Piero Stefani - Alberto Ventura.
DESCRIZIONE: L’amore del prossimo, per il prossimo. Comando, regola o precetto o norma, di origine divina o umana, esso ha una valenza universale, derivata dalla fede oppure da un’esigenza di uguaglianza e giustizia universalistica che nasce comunque e sempre dalla considerazione della persona umana – che mi sta vicina, che mi sta lontana – come specchio o altra forma di me stesso e quindi soggetto e oggetto di uguali diritti e doveri; una convinzione che ha una lunghissima storia, continuamente lacerata dai processi di inclusione/esclusione, ma rimasta continuamente viva, aperta, sempre pronta a richiedere la consapevolezza e l’impegno di tutti e in ogni angolo della terra.
Una convinzione che, come ricorda Paolo De Benedetti, riconosce oggi quattro tipi di prossimo: se stesso; l’altro; tutto il creato; Dio. Dunque questo prossimo porta le mie stesse sembianze, oppure è tutto il creato, dal sasso alla nuvola, con esso dobbiamo imparare o re-imparare a convivere in pace, in quel rapporto di berakà, di benedizione (o di francescana laudatio) che conduce alla custodia (non al dominio) e al rispetto dell’intero universo. E poi c’è Dio, nei cui confronti si gioca quel difficile e misterioso rapporto di “immagine e somiglianza”, da cui può derivare il comando dell’amore, ma non la capacità degli esseri umani di essere sempre all’altezza di questo amore, gli uni con gli altri.
SAGGI DI : Paolo Branca - Paolo De Benedetti - Pelio Fronzaroli - Marco Grazioli - Amos Luzzatto - Salvatore Natoli - Gianfranco Ravasi - Yann Redalié - Maria Teresa Spagnoletti - Piero Stefani.
Il tema scelto per questo volume è diventato acuto negli ultimi decenni, soprattutto a causa di due fattori: la crescente consapevolezza dei limiti del metodo storico-critico e la diffusione di letture fondamentaliste. I due fattori si innestano nell'assunzione di nuovi metodi di lettura che fanno riferimento alla narratologia, alla semiotica e alla retorica. Tali metodi non rendono obsoleto il metodo storico-critico. Ma l'interpretazione è atto complesso, come gli studi recenti sull'ermeneutica hanno messo in evidenza e già la cultura classica aveva rilevato. In quanto complesso, è atto "aperto" il cui scopo è di "aprire" il testo per fargli svelare la molteplicità di significati che racchiude. L'interpretazione della Scrittura però non può non rispettare il carattere di questo libro: da qui il limite del necessario metodo storico-critico. Se da esso non si può prescindere, esso non basta. Il suo carattere di attestazione della rivelazione comporta che si legga la Scrittura come "lettera" rivolta da Dio al popolo/Chiesa e quindi da accogliere nella fede. In queste pagine si cerca di offrire un contributo alla comprensione e alla soluzione del problema dell'interpretazione della Scrittura che è nato con la Scrittura stessa.
DESCRIZIONE: Questo libro è una pietra miliare nella moderna ricerca ebraica sul Nuovo Testamento e nella descrizione ebraica di Gesù di Nazaret. È decisamente superiore, con il suo argomentare stringente, alle pur non poche pubblicazioni apparse negli ultimi anni sul tema «Gesù ebreo». Flusser riporta quello che era diventato un «Gesù storico» astratto, inaccessibile, nella dimensione della storia reale, gli restituisce un volto storico concreto. E fa questo come ebreo: per lui Gesù è innanzitutto una figura della storia dell’ebraismo. Con ciò Flusser rende d’altra parte un servizio decisivo anche ai cristiani: mostra loro che la salvezza in cui essi credono non è solo il «messaggio» relativo a un avvenimento fuori dalla storia, cui non è possibile accedere. La verità cristiana dipende da questa verità storica e deve prenderne atto se non vuole ridursi a pia autosuggestione. Flusser rende un servizio anche al dialogo tra cristiani ed ebrei in quanto questo non deve essere soltanto un dialogo tra convinzioni diverse, ma può e deve procedere anche in una seria ricerca comune sul materiale storico. Un fine del dialogo deve essere anche trovare la verità storica su Gesù di Nazaret: soltanto questa può costituire un punto di partenza solido alla fede cristiana in Gesù il Cristo.
(dalla Prefazione di Martin Cunz)
COMMENTO: La riedizione del più importante libro ebreo su Gesù.
DESCRIZIONE: Il numero dei libri su san Paolo è incalcolabile, tuttavia pochi sono divenuti così noti come quello di Holzner, che ha avuto in Germania 25 edizioni ed è stato tradotto in 8 lingue. “Ne L’apostolo Paolo Holzner ci offre più che uno studio psicologico o un profilo della teologia paolina, anche più che un’agiografia nel senso tradizionale. La specificità di questo libro sta nell’accuratezza e maestria con cui egli delinea l’immagine dell’Apostolo delle Genti sullo sfondo del paesaggio dell’antichità, della grande e minore politica a lui contemporanea, soprattutto però su quello della storia della civiltà, della cultura e della religione della sua epoca, e in tal modo la fa comprendere sia nei suoi rapporti con le realtà anteriori che nel suo elemento di novità. Sotto la sua penna sorge un Paolo nel quale la connotazione di ‘santo’ in senso ufficiale non è affatto innata, come in tanti altri santi, un Paolo che, insignificante, anzi un po’ repulsivo all’esterno, pieno di ardore vulcanico all’interno, deve veramente ‘combattere’, ‘lottare’, ‘correre’ per raggiungere il trofeo della vittoria. Ed emerge un teologo per il quale il pensare teologico è passione bruciante e intima vita, e dal quale nulla è più lontano che trastullarsi da giocoliere con concetti astratti” (Karl Adam).
COMMENTO: Nell'anno di Paolo la più bella e la più classica biografia su di lui scritta in una nuova edizione.
DESCRIZIONE: Se volessimo rappresentare in un grafico gli echi e i temi biblici nella letteratura dall’Illuminismo al Decadentismo, ci accorgeremmo subito dell’impossibilità di tracciare una linea retta o abbastanza regolare, ma piuttosto dovremmo seguire una curva oscillante fra le depressioni delle stagioni di egemonia laica, nell’età giacobina e in quella positivistica, e le alture di risorgente religiosità, dal fervore romantico allo spiritualismo decadente, con i vertici toccati da Manzoni, in prosa e in versi, campione capace da solo di tener testa alla folta e valente schiera della parte avversa, da Foscolo a Carducci. L’irregolarità della linea è poi accentuata da autori che assumono una posizione aconfessionale, quando non polemica, ma che sono nutriti di letture scritturali e dialogano con l’agiografia.
Emerge in molti autori della seconda metà dell’Ottocento una perdurante forma mentis cristiana, con le debite conseguenze anche sul piano del linguaggio: prima di sposare una visione immanentistica, questi scrittori non escludono a priori la lettura e il dialogo con le Sacre Scritture. Una lettura della Bibbia i cui riflessi diversamente si scorgono nelle opere di Alfieri, Parini, Leopardi, Belli, Verga, Pascoli.
Tessere, queste, che potranno arricchire il mosaico delle riscritture del sacro che in questo libro presenta già una fisionomia tutt’altro che vaga o scontata.
COMMENTO: Da Alfieri a Pascoli, a Leopardi, a Manzoni, a Monti, a Verga un'analisi originalissima della presenza della Bibbia negli autori dell'Ottocento italiano.
PIETRO GIBELLINI insegna Letteratura italiana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Filologo e critico, ha curato vari classici italiani (fra cui l’edizione critica dell’Alcyone di D’Annunzio (Mondadori 1988); fra i suoi volumi critici ricordiamo Logos e mythos (Olschki 1985) e Il calamaio di Dioniso (Garzanti 2001). Per la Morcelliana ha pubblicato La parabola di Renzo e Lucia (1994) e ha diretto Il mito nella letteratura italiana (5 voll. 2003-2009).
NICOLA DI NINO collabora con i Dipartimenti di Italianistica di Ca’ Foscari e della Columbia University. Oltre a scrittori dell’Otto e del Novecento, ha studiato la letteratura romanesca, pubblicando il poema di Giuseppe Carletti, L’incendio di Tordinona (Il poligrafo 2005), la monografia Giuseppe Gioachino Belli poeta-linguista e il Glossario dei Sonetti di G.G. Belli e della letteratura romanesca (ivi 2008).