
L'antico libro biblico dei Proverbi si conclude con un poema dedicato al sorprendente ritratto di una donna eroica, perfetta, "di valore". Non sappiamo se si tratta di una figura reale, della destinataria di un elogio funebre o della personificazione della Sapienza. Il poema, infatti, non descrive il suo aspetto fisico, non esalta la sua bellezza, non menziona sentimenti d'amore, ma si concentra sull'attività delle sue mani, delle sue braccia, dei suoi fianchi, sulla saggezza delle sue valutazioni e delle sue decisioni. Contro l'idea di perfezione femminile celebrato nella poesia erotica diffusa nelle corti reali e negli harem del Vicino Oriente antico, il poema biblico del libro dei Proverbi glorifica una donna impegnata in normali affari famigliari e sociali che realizza con decisione anche ciò che, nel mondo antico, è normalmente di competenza dell'uomo.
L'insolito dialogo su "spirito e verità" che si svolge accanto a un pozzo tra Gesù e la Samaritana, narrato nel quarto capitolo del Vangelo di Giovanni, costituisce una delle pagine più intense del Nuovo Testamento e ricorre con frequenza nell'esegesi e nella produzione letteraria di Tolstoj. Lo scrittore russo, impegnato nella sperimentazione e poi nell'abbandono della pratica religiosa, profondamente influenzato da Pascal e da Rousseau, è convinto che in tutte le tradizioni sia presente un nucleo di sapienza che è ragione di vita per l'intero genere umano e che conferisce verità a credenze esteriori che di per sé ne sono prive. Quel nucleo consiste "nella rinuncia a se stessi e nell'amore", un centro da cui prende forma quella particolare idea di culto, profondamente ispirata al dialogo tra Gesù e la Samaritana, che penetra con profondità e continuità nell'opera di Tolstoj.
Sul tema del cattolicesimo e del concilio Vaticano II il volume raccoglie gli interventi di due personalità eminenti: un filosofo e un vescovo, entrambi membri dell'Académie française. I vangeli - osserva il prof. Michel Serres non escono dalla mano di accreditati sapienti e si rivolgono ai poveri riportando ingenue parabole, ma in modo così semplice, limpido e autentico che oggi sembra quasi impossibile scrivere nello stesso modo. Eppure, l'afflato universale delle pagine evangeliche e l'originale esperimento "autobiografico" degli Atti degli apostoli indicano la matrice, la radice, la forma originaria di un linguaggio che può liberare l'autenticità della scrittura sottraendola alle "formattazioni" tecniche e specialistiche del lessico accademico e di quello dei media. La stessa eredità del concilio Vaticano II (1962-1965), cioè lo sforzo di far dialogare la grande tradizione cristiana con il mondo contemporaneo, richiede di interrogarsi sul significato del "parlare di Dio" e "parlare a Dio" in un tempo di incertezza, di disincanto e di inquietudine, osserva mons. Claude Dagens. In questo contesto non si possono trascurare gli aspetti più paradossali e contraddittori dell'evangelizzazione: l'assunzione della solitudine, la solidarietà da esprimere, la fraternità da condividere, l'interrogativo sull'enigma del male - al tempo stesso sovraesposto e rimosso - e la possibilità di rinascita attraverso il mistero di Dio.
Quando nell'Europa moderna la Bibbia passa dal pulpito alla cattedra, dalla chiesa all'aula universitaria, dalla predicazione all'esame esegetico prende forma un approccio critico e scientifico ai testi che solleva vari interrogativi su fede e scienza e su Scrittura e Tradizione. Nel XX secolo il magistero cattolico reagisce alle innovazioni, ritiene di dover proteggere i fedeli dal razionalismo e dal modernismo, ma al tempo stesso favorisce la fondazione dell'École Biblique et Archéologique a Gerusalemme, della Pontificia Commissione Biblica e del Pontificio Istituto Biblico a Roma. Nel 1943, con l'enciclica Divinu Afflante Spiritu, Pio XII auspica una maggiore apertura degli studi biblici, ma la relazione, di fatto irrisolta, tra Scrittura e Tradizione riaffiora al Vaticano II e fa della costituzione dogmatica Dei Verbum uno dei punti caldi del dibattito conciliare. Il prezioso documento della Commissione biblica "L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa" (1993) sancisce infine che l'esegesi storico-critica è un metodo irrinunciabile per l'approccio esegetico ai testi biblici.
Il confronto tra Gesù e Socrate, implicito già in Erasmo da Rotterdam e successivamente esplicitato in Rousseau, Hegel e ora persino nei blog filosofici su Google, solleva l'interrogativo sull'identità del Nazareno. Non basta affermare, per esclusione, che egli non è un greco né di etnia né di cultura e nemmeno un giudeo della diaspora ellenistica. Tanto meno si può sostenere in modo acritico che la lingua greca degli evangelisti sia la stessa di Gesù, anche se era diffusa in Galilea negli ambienti più colti della società. Non si può nemmeno escludere che egli ne avesse una conoscenza almeno sommaria, ma di certo non era la sua lingua madre e nemmeno quella usuale come mezzo di comunicazione. Questo aspetto di Gesù si può forse misurare in certe parole dei vangeli che riflettono un'eco della tradizione sapienziale greca. Tuttavia, egli è sempre vissuto dentro i confini geografici del suo paese proiettato solo verso l'interno e non nella direzione del Mediterraneo - e la sua formazione è di impronta essenzialmente giudaica. Spetterà così ad altri, e non a Gesù di Nazaret, il compito di portare il messaggio del vangelo nel mondo della cultura greca.
Le versioni dell'episodio di Gesù che cammina sulle acque, la parabola del samaritano, la guarigione dello storpio e quella del cieco di Betsàida consentono di vedere all'opera il "punto di vista" di un autore e di diagnosticare la regia narrativa anche di un testo biblico. In un racconto, infatti, gli avvenimenti della storia non sono mai presentati in una prospettiva neutrale, ma sempre da un'angolazione particolare. Non c'è dunque storia senza "punto di vista", come non c'è immagine senza che la cinepresa o l'apparecchio fotografico siano stati posizionati in un punto specifico che determina il campo di visione. Il punto di vista dell'autore non è solo costituito da un luogo scelto, ma anche da una temporalità, da una descrizione dell'interiorità dei personaggi, da una scelta di linguaggio, da un sistema di valori. È dunque il frutto di una sapiente costruzione e di un programma di lettura che il narratore si aspetta dal suo lettore.
È realistico pensare che, nella Palestina del I secolo, delle donne si unissero a un profeta itinerante e al suo gruppo di discepoli maschi? Anche se la società dell'epoca non era del tutto estranea a fenomeni di itineranza femminile e il movimento di Gesù era più vicino a Giovanni il Battista che a gruppi discepolari rabbinici, gli indizi sono molto pochi. Tuttavia, il Vangelo di Marco sottolinea che sotto la croce e, più tardi, al sepolcro ci sono, a parte un autorevole membro del sinedrio come Giuseppe d'Arimatea, unicamente donne, che hanno fatto parte del seguito di Gesù e lo hanno servito per tutto il tempo che egli ha operato in Galilea. La riflessione sul passaggio tra il primo e il secondo secolo cristiano e sulla marginalizzazione femminile dall'ecclesia costituisce ancora oggi uno stimolo per restituire pienamente alle donne i testi biblici e ai testi biblici le donne.
Il libro della Sapienza, scritto ad Alessandria d'Egitto verso la fine del I secolo a.C., si interroga sulla nascita dell'idolatria con il più lungo e circostanziato passo dell'Antico Testamento dedicato a questo tema. Interpretata come tradimento da parte d'Israele dell'amore di Dio per il suo popolo, l'idolatria consiste nello stravolgimento del senso della creazione e si regge sull'illusione di poter dominare la realtà e trasformare le creature in un possesso da poter sfruttare a proprio piacimento. In questo modo si comprende come tra le cause dell'idolatria vi siano il desiderio del guadagno e la tentazione del potere ai quali si associa l'esperienza del dolore, che porta l'uomo a rifugiarsi in realtà artificiali e a fare persino della religione un mezzo per trovare risposte facili a drammi insolubili. Come ricorda il libro dei Proverbi, la ricchezza materiale crea nell'uomo la presunzione dell'onnipotenza e - aggiunge il Qoèlet - anche il lavoro, quando viene inteso come mera ricerca del profitto, rientra nel novero delle illusioni, un affanno che si riassume nell'"inseguire il vento".
Un viaggio negli abissi del mare permette al profeta Giona di conoscere le fondamenta del cosmo e l'imminente fine dei tempi. Un miracoloso ringiovanimento di Abramo e Sara accompagna la storia della vocazione del patriarca in chiave etica. La vita di Mosè, ripresa dal libro dell'Esodo, viene narrata in una forma molto vicina al puro intrattenimento. Nella "Bibbia raccontata", i rabbi cercano di offrire al lettore del proprio tempo risposte a problemi che il testo biblico lascia irrisolti, ma la cui soluzione si rende necessaria per una coerente visione d'insieme. Tale tradizione, che si è affermata già con il Secondo Tempio ma che raggiunge una nuova fioritura solo in epoca araba, rielabora in forma più attraente il grande patrimonio della tradizione per metterlo a disposizione di un vasto pubblico.
Le grandi masse e anche molta parte della classe dirigente delle società odierne continuano ad avvalersi di una spiegazione della realtà che si richiama al sistema simbolico forgiato dal cristianesimo in età antica e medievale. Nel suo sorgere, la modernità si è trovata in Europa di fronte a società in cui l'organizzazione urbanistica ruotava attorno ai simboli religiosi. Nella struttura cittadina, la centralità fisica della cattedrale e la disposizione spaziale delle chiese principali e degli edifici del potere esprimevano un'organizzazione gerarchica in cui il cristianesimo sanciva simbolicamente ogni aspetto. Il tempo era scandito da una complessa organizzazione cultuale e la stessa rappresentazione del cosmo aveva una struttura fisico-sacrale che abbracciava l'intero universo. Pur contrassegnando una svolta radicale rispetto a questa antica eredità, il mondo moderno ha dovuto creare un'incessante dialettica tra antico e nuovo nel continuo confronto con un tenace sistema simbolico religioso che non è riuscita a sostituire. In questo modo, il cristianesimo ha assorbito la modernità e ne è stato contemporaneamente assorbito.
Gesù non è nato il 25 dicembre, di notte, in una grotta, e non aveva accanto né un bue, né un asinello. La stella non era una cometa e i magi non erano tre e non erano re. Maddalena non è mai stata una prostituta, con buona pace di tutta la storia dell'arte che come tale l'ha raffigurata, nessuna Veronica ha mai asciugato il volto di Gesù sulla via del calvario e Paolo non è mai caduto da cavallo durante la sua conversione.
La conoscenza biblica, soprattutto in Italia, è molto approssimativa e alla Sacra Scrittura si attribuiscono spesso elementi folcloristici e allegorici che appartengono alla devozione e alle tradizioni popolari. I 73 libri che compongono uno dei testi fondamentali dell'Occidente sono, in alcuni casi, assai consistenti, in altri composti di una paginetta o di sole poche righe. Si tratta di opere che appartengono a epoche diversissime e riflettono tradizioni differenti, ma sono tutte entrate all'interno di un complesso disegno che inizia con la Genesi e si conclude con l'Apocalisse.
Sommario
I. Conflitti e armonie nell'interpretazione biblica. 1. Parola di Dio e Tradizione. 2. Le presenze nella Parola di Dio: Autore, autori, Lettore, lettori. 3. L'incarnazione della Parola e della Tradizione. II. I nuovi metodi dell'interpretazione biblica. 1. La corretta interpretazione. 2. Il senso della violenza. 3. Il linguaggio. 4. Le correnti interpretative. III. L'interpretazione biblica nella vita della Chiesa. 1. Per una lettura teologica. 2. L'interpretazione biblica nella vita della Chiesa. 3. La strada di Neemia 8. 4. Riscoprire la Parola. 5. Conclusione. Piste di approfondimento. Bibliografia.
Note sull'autore
Gianfranco Ravasi, del clero ambrosiano, dal 2007 è presidente del Pontificio consiglio della cultura e delle Pontificie commissioni per i beni culturali della Chiesa e di archeologia sacra. È stato creato cardinale da Benedetto XVI nel concistoro del 20.11.2010. Predicatore agli esercizi spirituali in Vaticano nel 2013. Noto esegeta, già prefetto della Biblioteca Ambrosiana, è autore tra gli altri di due grandi commenti biblici più volte ristampati (Il libro dei Salmi, 3 voll., EDB, Bologna 1983; Il Cantico dei cantici, EDB, Bologna 1992). Le EDB pubblicano sia le registrazioni, sia le rielaborazioni in volume delle Conversazioni bibliche da lui tenute al Centro culturale S. Fedele di Milano (circa 50 titoli, sull'Antico e sul Nuovo Testamento).
Considerato il teologo più rilevante per lo sviluppo dell'ermeneutica nel periodo della Riforma, Flacio Illirico è noto soprattutto per l'opera "Clavis Scripturae Sacrae", di cui si propone e si commenta il primo trattato della seconda parte. La sua originalità non consiste nell'avere escogitato regole fino ad allora ignote o nell'avere enunciato in modo compiuto e chiaro quelle che già erano accolte e seguite dalla maggioranza degli interpreti. Da sottolineare sono, piuttosto, altri due aspetti: la dichiarazione netta della comprensibilità della Scrittura letta con fede e la composizione stessa della "Clavis", che elenca una serie lunghissima e dettagliata di difficoltà da conoscere e di norme da applicare nel campo linguistico, storico e retorico. Oltre a essere un libro unico in quanto ispirato da Dio - con tutte le conseguenze che ne derivano - la Bibbia è un "classico", un libro "antico" del quale occorre ritrovare l'attualità e l'applicabilità recuperandolo nella sua autenticità anche letteraria. L'impostazione di Flacio Illirico appare in questo ineccepibile e sorprendentemente moderna.