
Il "De vera religione", all'interno dell'ampio e contrastato dibattito sul pensiero agostiniano delle origini, occupa un posto di tutto rilievo. Questa traduzione integrale, con testo a fronte e commento, rende finalmente accessibile una fonte essenziale. L'opera, scritta da Agostino circa tre anni dopo aver ricevuto il battesimo, ma prima dell'ordinazione presbiterale (391), affronta un tema quanto mai centrale per stabilire quale fosse l'idea che l'autore aveva del cristianesimo e quale fosse il suo atteggiamento nei confronti del neoplatonismo. Non è un'opera polemica né apologetica, ma di esortazione alla "vera religione" che passa attraverso la ricostruzione della sua concreta esperienza religiosa di conversione. Un testo che riletto ora, alla luce del dibattito storiografico, chiarisce l'autonomia dell'elaborazione suo pensiero cristiano dalla filosofia pagana neoplatonica.
Il problema del male è stato il problema dei problemi. Esso ha assillato uomini di tutti i tempi.
Questo volume – ora riproposto – costituisce ormai un classico della spiritualità, fondata sui seguenti cardini:
a) la seconda conversione
b) la custodia del cuore
c) la critica dell’azione
d) la guida dello Spirito Santo, cioè la dottrina dei doni dello Spirito Santo.
«La Dottrina spirituale s’apre con la constatazione psicologicamente profonda e detta con totale semplicità e forza che ha il sapore di quei pensieri che qualche decina d’anni appresso scriverà Blaise Pascal. “Portiamo nel cuore un vuoto che tutte le creature insieme non sapranno mai riempire. Dio solo lo può colmare di se stesso…”. Queste parole definiscono la legge che governa tutta la vicenda dell’umana felicità e infelicità, ci spiegano tutta la storia intima delle illusioni e delusioni, degli smarrimenti e ritorni degli uomini» (Giovanni Colombo).
«Il tema del ministero sacerdotale è stato sempre attuale nella Chiesa, ma oggi lo è in modo particolare. Situazioni nuove hanno gettato un'ombra dolorosa sul sacerdozio cattolico, ponendo all'intera comunità ecclesiale una sfida molto impegnativa. In questo contesto è urgente dedicare una rinnovata attenzione alla formazione dei candidati al sacerdozio, non solo dal punto di vista spirituale, ma anche da quello umano. È necessario incoraggiare tutta la comunità cristiana a ritrovare il giusto sguardo di attenzione e di amore per i suoi sacerdoti. Proprio per questo non solo la Scrittura, ma anche i Padri della Chiesa continuano ad essere una fonte di ispirazione» (dalla Presentazione di p. Federico Lombardi S.I.). Nasce così questo libro, offerto alla lettura di sacerdoti e laici, perché tutti conoscano meglio il dono di Dio.
Agostino è contemporaneo di ogni uomo. Egli, infatti, con la perspicacia dell’intelligenza e con l’esperienza sofferta, seppe interpretarne le inquietudini e le aspirazioni più segrete.
L’Autore ha estratto dalla biblioteca sconfinata del vescovo di Ippona testi pregevoli sul tema della verità nella sua dimensione metafisica e in quella morale.
Per usare una immagine allusiva a parecchi testi di Agostino, ha estratto pane fragrante dalla sua dispensa, sempre aperta per quanti hanno fame di verità.
«Quando tirarono giù la ringhiera, lo trovarono con le ginocchia piegate al petto, le cosce attaccate ai talloni e ai polpacci. E dopo che il suo corpo venne disteso a forza, ci fu uno scricchiolio d'ossa sì da pensare che fosse andato in pezzi; ma una volta disteso, non mancava assolutamente nulla, anche se i piedi erano consumati dalle infezioni e mangiati dai vermi. La massa dei capelli che scendeva dal capo era divisa in dodici trecce, ciascuna delle quali lunga quattro cubiti; allo stesso modo anche la barba era divisa in due, e ciascuna treccia era lunga tre cubiti; tutto questo lo vide la maggior parte degli uomini devoti a Cristo. Lo rivestirono con una tunica di pelle, come era suo costume, e, portata una tavola, la collocarono sulla colonna ed egli fu deposto sopra di essa».
I monasteri benedettini sono da 1500 anni un esempio illuminante di che cosa significhi vivere e lavorare in un contesto dove tutti abbiano chiari finalità e obiettivi, ruoli e mansioni e sappiano fare della comunità il proprio punto di forza. Un'organizzazione perfetta che ha attraversato i secoli e che molte cose può dire al mondo manageriale, grazie alla corretta gestione di valori condivisi, a una leadership diffusa e alla capacità di far lavorare insieme persone motivate e consapevoli delle proprie responsabilità. La Regola di San Benedetto è stata per secoli il faro di questi monasteri e ha saputo irradiare buon senso unito a un'estrema concretezza. Oggi rappresenta un richiamo forte alle radici comuni del vivere organizzato, alle sue regole di appartenenza può contribuire a ridare slancio alla vita aziendale e al governo delle imprese. Premessa di Roberto Comolli. Prefazione di Giuliano Vigini.
A Paisij Velikovskij (1722-1794) risale quel movimento di rinnovamento del monachesimo e della vita cristiana nell'Europa orientale nella seconda metà del XVIII secolo che avrebbe profondamente segnato la cultura e la spiritualità russa del secolo successivo, da Gogol' a Dostoevskij, da Kireevskij a Leont'ev, a Lev Tolstoj e all'anonimo autore dei Racconti di un pellegrino russo. Con Paisij rifiorisce in oriente la preghiera di Gesù e l'antica tradizione della paternità spirituale; al suo nome è legata la versione slava della Filocalia.
Nella solitudine e nel silenzio dell’eremo si acquista quell’occhio dal cui sereno sguardo è colpito lo Sposo e attraverso il quale, se senza macchia e puro, si vede Dio.
Verso la fine dell’ xi secolo, nei decenni in cui la riforma di Gregorio VII impegnava la cristianità occidentale in una duplice lotta per la libertà della chiesa dal potere temporale e per un vigoroso ritorno a una testimonianza di fede più evangelica, alcuni uomini di Dio si ritirarono assieme a uno stimato professore di Reims, Bruno di Colonia, nel massiccio roccioso della Chartreuse, vicino a Grenoble. Immersi nella solitudine e nel silenzio, ma sostenuti dalla vicinanza dei fratelli e dall’intensa carità, gli eremiti certosini sapranno irradiare attorno a sé la loro sete di Dio e il loro amore per gli uomini. Sono qui raccolte per la prima volta in italiano tutte le lettere – a monaci, vescovi, papi, re e semplici fedeli – delle prime generazioni di questi monaci, dal fondatore Bruno al nono priore, Guigo II: dalla franchezza e dall’umiltà di questi testi traspare la limpidezza della testimonianza cristiana e l’ardore di una comunione spirituale che sa rendere parlante anche il silenzio.
La carità è figlia dell’impassibilità;
l’impassibilità è il fiore della praktiké;
la praktiké, a sua volta,
poggia sull’osservanza dei comandamenti;
di questi è custode il timore di Dio,
che è un prodotto della retta fede.
La via della praktiké, la via delle virtù, è ciò che Evagrio vuole delineare in quest’opera indirizzata agli anacoreti, agli asceti che vivono soli nel deserto, ma nella quale ogni uomo riconoscerà descritte le proprie paure, le proprie ossessioni, le proprie sconfitte, ma anche le proprie aspirazioni più nobili. Attraverso un attento esame di ciò che ostacola il cammino di sequela, l’autore suggerisce un metodo per sostenere la lotta contro le potenze avversarie, le passioni, i vizi, attingendo dall’insegnamento dei padri e della Scrittura. Solo chi attraversa questa lotta quotidiana può giungere alla purificazione e raggiungere il fine a cui essa tende: la conoscenza di Dio. Di Evagrio – monaco nel deserto egiziano nel iv secolo – le nostre edizioni hanno già pubblicato Contro i pensieri malvagi. La presente opera, uno dei classici della spiritualità cristiana, è arricchita da un ampio commento di Gabriel Bunge, uno dei maggiori esperti di Evagrio, noto per i suoi saggi Akedia: il male oscuro, Vino dei draghi e pane degli angeli e Vasi di argilla.

