
Leone di Bisanzio e una delle figure piu significative e stimolanti della teologia del VI secolo.
i saggi qui trattati passano in rassegna temi, problemi ed autori che hanno caratterizzato la ricerca linguistica nel novecento, nei versanti analitici ed ermeneutici.
La morte di Costantino avvenuta il 22 maggio 337 e la drammatica successione che il 9 settembre dello stesso anno porta al trono i suoi figli, segnano un sensibile cambiamento di clima per la componente pagana dell'impero di Roma. In questo clima si colloca la composizione del De errore profanarum religionum di Giulio Firmico Materno. Le poche notizie biografiche dell'autore sono desumibili dalla Mathesis, un trattato di astrologia in otto libri, composto prima della fine del 337: siciliano, probabilmente di Siracusa, nato all'inizio del IV secolo, neoconvertito, possidente nella sua terra d'origine e preparatosi per l'awocatura (lo stesso stile del De errore profanarum religionum ne ribadisce la formazione retorica), esercita la libera professione con un atteggiamento intransigente e liberale. Questa stessa intransigenza anima l'opera da lui scritta allo scopo di dimostrare l'errore intrinseco di tutta la religiosità pagana e la verità costitutiva del cristianesimo, fondando sulle Scritture l'invito, rivolto direttamente agli imperatori Costante e Costanzo II a distruggere fino alle radici qualsiasi forma di culto pagano. Un'opera caratterizzata più da veemente vis polemica che da sistematicità argomentativa, che al tempo stesso si rivela per lo studioso del mondo religioso dell'età imperiale romana una fonte di primaria importanza per conoscere più da vicino i cosiddetti "culti orientali".
In un'epoca di grande instabilità sociale l'autore si preoccupa dell'ingiusta distribuzione dei beni fra ricchi e poveri e si fa promotore di un ambizioso progetto di trasformazione della città, alla luce della testimonianza evangelica.
Il primo trattato di argomento teologico scritto in latino a Roma.
La Trinità di Novaziano, presbitero romano della prima metà del III secolo, espone la “regola della verità” per definire quale debba essere la giusta fede nelle tre Persone divine e cerca di prendere le distanze da alcune dottrine eretiche allora in circolazione. La maggior parte del trattato si concentra sul Figlio, vero Dio e vero uomo, e chiarisce il suo rapporto con il Padre, ricorrendo costantemente alle Scritture. Pur proponendo in alcuni punti interpretazioni non del tutto ortodosse ciò, tuttavia, non sminuisce il valore di questo primo trattato di argomento teologico scritto in latino a Roma. L’ultima traduzione italiana de La Trinità di Novaziano è stata curata da Vincenzo Loi per la serie Corona Patrum e risale al 1975. Tre anni prima era stata pubblicata da G. F. Diercks una nuova edizione critica pienamente soddisfacente (Corpus Christianorum. Serie Latina). La presente traduzione è la prima in lingua italiana a basarsi interamente sul testo di Diercks e, nel commento, tiene conto di numerosi contributi recenti.
La Confutazione di alcune dottrine aristoteliche è opera in lingua greca falsamente attribuita dalla tradizione manoscritta all'apologista Giustino, la cui redazione può probabilmente essere datata tra il IV e il V secolo. L'opera si inserisce nella tradizione del pensiero cristiano antico che, a partire dalla convinzione che L'attività creatrice di Dio si collochi ab initio temporis, individua in Aristotele, sostenitore della dottrina dell'eternità del cosmo e del tempo, uno dei bersagli privilegiati della sua polemica. In questo contesto l'atteggiamento dell'anonimo autore della Confutatio appare tuttavia singolare: per difendere la creazione dal nulla egli si confronta in modo diretto - caso quasi unico all'interno della Patristica - con il testo aristotelico della Fisica e del trattato De caelo, confutandone le dottrine con argomentazioni di carattere esclusivamente filosofico ed evitando il richiamo al testo biblico quale strumento probatorio.
L'indice analitico generale è uno strumento utile, anzi necessario per chi voglia rintracciare le linee del pensiero e della vita intellettuale e spirituale di Agostino, un autore singolare di ingegno superiore, grande per la scienza e la vastità degli scritti. Il presente indice riprende tutti gli indici particolari di cui sono dotati i singoli volumi dell'Opera Omnia di sant'Agostino. Tale materiale è stato raccolto tramite informatizzazione, archiviato, rielaborato, controllato e ordinato. Complessivamente, le voci, o lemmi, in stretto ordine alfabetico, sono oltre 5.500, esclusi i nomi propri e le sottovoci. L'intento è quello di dare la maggiore facilità di trovare informazioni alle molte categorie dei lettori di Agostino, a chi lo ama, a chi lo studia, a chi ne parla, a chi lo commenta, anche a chi lo discute.
E’ l’ultima opera scritta da Tommaso Moro, mentre si trovava in carcere, in attesa dell’esecuzione capitale, prima che gli venisse tolta la possibilità di scrivere e l’opera si conclude significativamente nel punto in cui i soldati mettono le mani addosso a Gesù.
Si tratta di una lunga riflessione che lo statista inglese scrive in uno stile che va dalla meditazione, all’esortazione, all’ironia, all’enfasi oratoria, alla lucidità argomentativa, se sono in gioco questioni teologiche. Profondità del contenuto ed eleganza della forma documentano la statura culturale e spirituale di un grande personaggio che ha segnato l’Inghilterra del 1500 e che tutt’ora di grande attualità. Volume curato da D. Pezzini.
La Regola di San Benedetto come testo fondativo del monachesimo di ogni tempo e luogo, capace di raccogliere e armonizzare esperienze diverse.
Un imbuto che raccoglie, incanala, integra e armonizza testi ed esperienze monastiche diverse: così padre Benoît Standaert definisce la Regola di san Benedetto, testo fondativo per il monachesimo di ogni tempo e latitudine. Dopo una vita trascorsa a “ruminare” queste pagine, assaporandole nel silenzio, scrutandole nella preghiera e intercettandone ogni suggestione nella vita monastica, l’Autore consegna anche al pubblico di lingua italiana il proprio Commentario. La sfida è far parlare l’antico con lo sguardo rivolto all’oggi. Questa è infatti il valore della Regola: restare sempre attuale e feconda, come una secolare fonte di acqua viva.
Nuove vite di santi e sante della Georgia ortodossa, piccola regione caucasica ricchissima di storia.
«Volere l’impossibile» è un’espressione linguistica e, insieme, un’esperienza umana. Questo volere è rivelatore di altre esperienze, alle quali reagisce o che, per altro verso, provoca esso stesso; sicché l’uomo, volendo ciò che non è raggiungibile, sperimenta la distanza tra il vivere e le possibilità della vita. Si tratta del riconoscimento d’una soggettività radicale che non si esaurisce nell’io che agisce e che fa. Quando l’uomo ha preso coscienza di questa dimensione di sé? È essa reale o immaginaria? Quali conseguenze procura, in ogni caso, la sua tematizzazione? Il presente volume cerca una risposta ai suddetti interrogativi, studiando l’invenzione e il rapido articolarsi del concetto di «velleità», apparso per la prima volta nel Medioevo. La ricerca approfondisce la teoria degli «atti di volontà» proposta da Tommaso d’Aquino; ne considera gli echi all’interno della moderna ‘scuola tomista’; valuta le questioni che la filosofia contemporanea, ragionando della ‘debolezza del volere’, vi ha ravvisato. La nozione di «velleità» diviene allora il terreno per un’indagine più vasta. Essa è una di quelle finestre strette dalle quali nondimeno, perché poste in alto, si può scorgere un vasto orizzonte: una figura medioevale dell’uomo assai meno scontata di quanto appaia nella memoria culturale comune.
Andrea Aldo Robiglio (Acqui Terme, 1972) si è formato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove ha conseguito il dottorato di ricerca di filosofia (XIII ciclo-maggio 2001). Ha vinto il XXXVII premio «Agostino Gemelli» e collabora, dal 1997, alla rivista internazionale «Divus Thomas» (Bologna). Attualmente lavora per conto dell’Organizzazione Olandese della Ricerca Scientifica (NWO/Katholieke Universiteit Nijmegen).
"Giovanni Duns Scoto - che, assieme a Bonaventura, è uno dei maggiori teologi francescani della Scolastica - ha ricevuto grande attenzione da parte della scuola di Husserl. Anche se l'opera principale di Edith Stein, "Endliches und ewiges Sein" (1936/37) non contiene molti riferimenti a Duns Scoto, l'autrice utilizza il suo pensiero sull'essere singolo per confutare Tommaso d'Aquino e il suo concetto di materia signata quantitate quale principio di individuazione, tanto che non è più sostenibile - ed è la tesi di fondo di questo libro - che l'argomento del principio di individuazione, nella Stein, segua un percorso esclusivamente tomista che si estrinseca attraverso le componenti formali dell'individuo. Infatti, il merito della Stein fu proprio quello di accogliere la sfida metodica di collegare l'analisi fenomenologica dell'essenza con le questioni ontologiche. Ad emergere da queste pagine è quindi un elemento non secondario delle indagini steiniane, ma uno dei capisaldi su cui si regge il progetto di una fondazione antropologica a partire proprio dalla questione della singolarità dell'essere umano: l'ineluttabilità dell'essere individuo che si manifesta di volta in volta nella particolarità della persona." (Dalla Premessa di Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz)

