
Perché si agisce? Quanto contano la razionalità e la volontà nella nostra esistenza? Qual è il ruolo delle passioni? Che cosa chiediamo agli altri, entrando in relazione con loro? Chi sono io? Nella cultura occidentale, è alla filosofia che si chiede ancora di dare risposte a questo genere di domande. Quello che viene presentato in questo libro è dunque una riflessione filosofica sull'essere umano, offerta in particolare a chi non si occupa professionalmente di filosofia, ma che cerca una bussola per orientare la propria vita e profili dell'umano, in forza dei quali rispondere alle numerose sfide culturali e professionali di oggi. Non astruse, né astratte, queste pagine nascono dall'esperienza dei corsi che l'autore svolge da diversi anni nei Collegi della Fondazione Rui per gli studenti delle più diverse facoltà universitarie.
Un testo di attualità a carattere filosofico sul tema della gratuità del dono. L'autore propone una via per rifiutare la costrizione a competere, scegliendo uno stile di vita fondato sulla cooperazione e sulla condivisione.
La Cina è vicina? Quanto? È soltanto un grande Paese che ci minaccia, o una nazione dalla lunga storia il cui modo di pensare può insegnarci qualcosa? Nella gerarchia disegnata da Platone al vertice di tutto c'è l'idea, poi viene la realtà e quindi le sue imitazioni, come quelle dell'arte e dell'immagine, che per Platone sono soltanto surrogati dell'idea. È un sapere che ha fondato l'Occidente e l'Europa. Ma il riferimento all'ideale può essere anche una distorsione della realtà. Da una trentina d'anni il filosofo Francois Jullien ha aperto il suo cantiere di lavoro con l'obiettivo di promuovere un "uso filosofico della Cina". Autonoma dalla civiltà ebraica e greca, estranea anche sotto il profilo linguistico all'Occidente, la Cina agisce nel pensiero di Jullien come mezzo per guardare da una certa distanza le nostre fonti culturali. E in riferimento all'ideale che la cultura europea ha prodotto un sapere che si pretende universale, e che si è espresso come scienza, grazie al supporto della matematica; e ha promosso la tensione verso un fine da realizzare, progetto di vita e/o programma politico. Ora, la Cina ci chiama a riflettere sulla possibilità di non lasciarsi prendere dal gioco dell'ideale: ha pensato la matematica in termini di utilità; ha pensato un mondo che si governa in virtù di una sua regolazione interna; non ha cercato una Legge trascendente a cui adeguare il comportamento che deve semplicemente mantenersi in sintonia con il processo del mondo.
La deontologia professionale ci ricorda anzitutto che il lavoro umano ha un senso antropologico. Il lavoro è uno degli ambiti della vita umana in cui entrano in complessa e feconda dialettica la necessità e la libertà: per tale ragione esso è innervato da significati morali, come testimonia tutta la storia del suo concetto. Di più: il lavoro deriva da relazioni e tesse relazioni tra gli uomini; condiziona la concreta esistenza della famiglia come primo aggregato naturale, e via via ogni forma di associazione umana fino al mondo intero: passando attraverso la categoria professionale, che costituisce una decisiva istituzionalizzazione dei rapporti di colleganza professionale, e non certo per accidente è la fonte della loro disciplina deontologica, sia sul piano delle previsioni normative che su quello applicativo. Nel presente libro, tutto ciò cerca e trova conferma anche sul piano empirico, in particolare nei capitoli specificamente dedicati alla deontologia medica ed a quella giuridica. La verità, individuale e comunitaria, del lavoro professionale, giustifica ed orienta l'esistenza ed i contenuti della sua deontologia, con una connessione assai simile a quella tra struttura ontologica dell'uomo e dimensione giuridica del vivere. La "lotta" per la professione ed il suo senso alto, identificato e protetto dalla deontologia, si rivela in tal modo analoga alla lotta per il diritto.
Chi l’ha detto che i filosofi hanno sempre la testa fra le nuvole? E che la filosofia è una disciplina astrusa e «fumosa»? Ebbene, non c’è pagina di questo volume che non smentisca luoghi comuni tanto radicati. Anzi, un corso di sopravvivenza sembra perfino necessario, tanto più se la filosofia, come dimostra Girolamo De Michele, si occupa della vita e della nostra stessa sopravvivenza. Lo sapevano bene - con destini opposti, talvolta drammatici - Cartesio e Giordano Bruno,Galileo e Antonio Gramsci. Perché la filosofia è esercizio di libertà, della vita concreta prima ancora che del pensiero: come ci ricorda - udite, udite -Vasco Rossi citando Spinoza, la filosofia ha a che fare con la gioia e con il potere «che ha bisogno di renderci tristi».
Uno sguardo disincantato sulla storia della filosofia «ufficiale» permette di scoprire l’attualità di pensatori lontanissimi nel tempo - le grandi «star» dell’antichità, come Platone e Aristotele, ma anche figure più oscure, comeTalete e Anassimandro - accanto a «outsider di lusso» quali Giacomo Leopardi e David Foster Wallace (ma anche, di passaggio, Francesco Guccini, Luca Carboni e Fabrizio De André). Se la filosofia non insegna a trovare le risposte,ma ad affrontare i dubbi e le incertezze in cui non smetteremo mai di imbatterci, se «in filosofia il viaggio è più importante della meta», il suo racconto finisce per assomigliare a un grande romanzo d’avventura.Dell’avventura più bella, e che non ha mai fine.
Girolamo De Michele vive a Ferrara e insegna filosofia al liceo. È redattore di Carmilla, e-magazine diretto da Valerio Evangelisti. Scrive di filosofia e critica letteraria, e ha anche pubblicato saggi sulla didattica e i problemi della scuola (La scuola è di tutti, 2010). Considerato uno degli esponenti della New italian epic, per Einaudi Stile libero ha scritto tre romanzi: Tre uomini paradossali (2004), Scirocco (2005) e La visione del cieco (2008).
L'opera più rappresentativa della fenomenologia di Edmund Husserl, viene qui analizzata e approfondita nel primo commentario completo realizzato in Italia.
Per l’originalità e la straordinaria acutezza dei suoi contributi al dibattito filosofico su temi come la verità, la conoscenza, il significato, Paolo Casalegno (1952-2009) è stato sicuramente uno dei più autorevoli filosofi italiani degli ultimi decenni. Il libro raccoglie molti dei suoi scritti più importanti su questi argomenti, finora dispersi in riviste scientifiche italiane e straniere, volumi collettanei, pubblicazioni occasionali.
«Il cristianesimo continuerà a improntare la mentalità occidentale nella forma psicologica della speranza: nel senso che siamo tutti cristiani, anche gli atei, anche i miscredenti! E nel momento in cui guardiamo al futuro come a una promessa o forma di riscatto, siamo tutti inscritti in questa logica della cristianità».
Prefazione La filosofia come erranza
I. Non è un luogo dove si offrono soluzioni. Dalla metafisica al nichilismo
II. Tutto è cristiano, in Occidente. Verità assoluta ed etica del viandante
III. La tecnica fa fuori l’uomo. Autorealizzazione nell’era della tecnica
IV. L’inconscio di Freud è una cosa seria. Anima, corpo, psichiatria e fenomenologia
V. Poi però andava al bordello. Condotte morali e vita da monaco
VI. È più facile maneggiare idee. Perdita del testimone, passato e futuro
In Galimberti l’eredità della grecità si trasforma in una maieutica moderna, e coincide con la presa di coscienza della fine della metafisica e dell’avvento del nichilismo. In questo proibitivo compito – presentare le modalità di convivenza con la disperazione – Galimberti suggerisce non una retorica del disincanto, bensì le chiavi di resistenza nei confini dell’instabilità e della perdita, ormai interamente dominati dalla tecnica. E il valore paradigmatico ed esemplare di tale insegnamento è nel noma-dismo morale come presupposto alla sfida del nichilismo. Argomentata analisi degli strumenti che nei secoli la filosofia ha offerto all’uomo, l’opera di Galimberti è dunque una tangibile risorsa intellettuale ed esis-tenziale nel baratro dell’assurdo.
Questo piccolo libro è un percorso tra le ragioni che rendono la filosofia un’insostituibile compagna di ricerca non già delle ragioni ultime ma, nemmeno troppo paradossalmente, della ricerca come ragione ultima.
«Tre grandi filosofi dell’antichità, Aristotele, Buddha e Confucio, ci hanno insegnato come eliminare le sofferenze inutili, per guidare gli esseri umani verso la propria realizzazione personale e verso l’equilibrio sociale. Ognuno di loro ha compreso che l’estremismo è il principale ostacolo per il perseguimento della felicità, della salute e dell’armonia. Il metodo che ho chiamato ABC è la sintesi pratica di queste tre grandi filosofie. L’ABC sa che lo scopo principale dell’esistenza è quello di vivere bene il momento presente. Non si preoccupa della vita passata o di quella futura, ma si occupa dei paradisi e degli inferni che, in qualsiasi momento, creiamo per noi e per gli altri su questa terra. L’ABC insegna che, imparando ad esercitare il grande potere di gestire la propria vita nel presente, migliorate la vostra esistenza e quella degli altri. Dovete quindi prendere una decisione: se cercate le favole del “e vissero felici per sempre”, mettete da parte questo libro e leggete le filastrocche di Mamma Oca. Se invece desiderate vivere bene ora, cominciate a leggere...»
"L'originalità (cioè la produzione non imitata) della immaginazione, quando sbocca in concetti, si dice genio […] inventare qualcosa è del tutto diverso da scoprire. Infatti la cosa che si scopre, si ammette già preesistente, solo che non era conosciuta. Ora il talento di inventare si chiama genio". Immanuel Kant
Nella nozione di genio - come ingegno o talento - si intrecciano l'universale e il particolare dell'esperienza umana. Muovendo da una riflessione filologica, Giampiero Moretti delinea l'andamento dall'antichità al secolo scorso, rilevandone le oscillazioni: genio è una facoltà ce ogni uomo possiede in quanto uomo o rinvia oltre; è comune a tutti gli uomini o è unica nel singolo? Se sempre più le funzioni della mente con cui si percepisce il mondo si traducono da sensi in senso e creatività, allora il genio ha per oggetto la verità o se ne sgancia? Un motivo di fondo che attraversa la storia dell'estetica e raggiunge la sua massima tematizzazione nel '700 e '800 come categoria estetica - si pensi a Kant, ove esso destina l'arte alla sua piena autonomia.
Ma l'originalità di questo volume sta nell'attraversare i principali paradigmi estetici e al contempo trascenderli in una stabilità del concetto che ne mostra la portata teoretica. In quanto forma con cui l'uomo si accosta alla realtà, il concetto di genio investe la stessa teoria della conoscenza. Un concetto intrinseco ai nodi diffondo della storia del pensiero: il problema della soggettività e oggettività, la verità, la rappresentazione, l'immaginazione. Questioni perenni della filosofia, sulle quali l'estetica ha un suo particolare sguardo.
In quest’opera, che può essere considerata la sua summa teorica, Gilson ripercorre la rivoluzione che ha posto le basi del pensiero occidentale. Il suo mirabile racconto restituisce la vivacità culturale – nata dall’incontro tra mondo greco, rivelazione cristiana e influenze arabe ed ebraiche – che ha formato gli intellettuali più importanti del Medioevo: da Ambrogio a Boezio, da Tommaso d’Aquino ad Alberto Magno, da Giovanni Duns Scoto a Guglielmo d’Ockham. Pensatori di cui, con una freschezza espositiva senza pari, il grande studioso illumina ed esplora le riflessioni profondamente moderne. Nasce così il ritratto di un periodo ingiustamente definito “buio”, ricco invece di fermenti e umanità: quattordici secoli di idee che hanno fatto il mondo.
Étienne Gilson (1884-1978), filosofo e storico della filosofia, è stato uno dei più importanti studiosi del pensiero medievale. Fondatore dell’Istituto di studi medievali di Toronto, ha insegnato, tra l’altro, all’Università di Strasburgo, alla Sorbona, al Collège de France e ad Harvard.
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