
Se dovessimo esprimere in un concetto l’interesse focale dell’intera indagine di Levinas, questo potrebbe dirsi il senso dell’“umano”. Un’idea dell’“umano”, scandagliata da ebreo e da filosofo senza però confondere mai le due anime, come “incondizionato”: non l’assoluto filosofico – quell’astrazione somma che riconduce a sé tutte le cose – ma ciò che sfugge a ogni sorta di “condizione”. L’umano si dà nella coscienza, è ciò che ci fa esseri incarnati che vogliono, pensano, amano, vivono; ma è eccedente perché il suo senso viene dall’altro. L’analisi levinasiana attraversa la fenomenologia di Husserl e Heidegger, come operazione di rischiaramento e comprensione, ma il suo sguardo va al di là dell’ontologia e si fa etica in quanto filosofia prima.
In questa prospettiva, il volume inanella uno ad uno i suoi nodi fenomenologici decisivi, ricostruendo la fenomenologia del sonno, della passività, dell’attività, del corpo, dello spazio, del volto, della coscienza morale, della parola, del tempo. Un arcipelago di significati dell’umano “senza condizioni” che, superando il modello cronologico, funge da introduzione alla filosofia di Levinas e alle sue opere maggiori. Pagine che cercano di restituire la sensibilità esistenziale con cui Levinas esplora i luoghi filosofici dell’umano – servendosi di un linguaggio capace di mutare lo stesso vocabolario della filosofia del ’900 – e al contempo vanno al cuore delle sue categorie. 
COMMENTO: Un ritratto di Levinas a tutto tondo che presenta il suo pensiero come filosofia fenomenologica: tornare alle cose stesse significa comprendere l'altro come rivelazione. Di qui la famosa elaborazione dell' "etica come filosofia prima", dove in primo piano è l'esser uomo.
MARIO VERGANI è ricercatore di Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Tra le sue pubblicazioni: Fatticità e genesi in Edmund Husserl (La Nuova Italia, Firenze 1998), Jacques Derrida (Bruno Mondadori, Milano 2000), Dell’aporia (il Poligrafo, Padova 2002) e Dal soggetto al nome proprio. Fenomenologia della condizione umana tra etica e politica (Bruno Mondadori, Milano 2007). Ha curato e tradotto opere di Husserl e Nancy ed è autore di numerosi saggi per riviste italiane e internazionali.
Quello del 1984 è l'ultimo corso tenuto da Michel Foucault al Collège de France. Già malato, comincia le lezioni solo a febbraio per terminarle alla fine di marzo. Muore pochi mesi dopo, il 25 giugno. Queste circostanze gettano una luce particolare sul corso, che si è portati a leggere come una sorta di testamento spirituale, dove il tema della morte ricorre frequentemente. Il corso prosegue e radicalizza le analisi condotte l'anno precedente. Anche qui, la domanda centrale ruota intorno alla funzione del "dire-il-vero" e al ruolo che la verità riveste nell'ambito della politica e dei rapporti di potere. Si tratta in sostanza di stabilire, nell'ambito della democrazia, un certo numero di condizioni etiche che sono irriducibili alle regole formali del consenso ma che fanno appello alla dimensione morale individuale: il coraggio di fronte al pericolo e la coerenza. Foucault ritorna alle radici della filosofia greca, rivalutandone l'idea di democrazia contrapposta a ogni forma di tirannia, antica e moderna. Nella morte di Socrate non emerge la paura di morire, ma l'angoscia di non poter portare a compimento la propria "missione essenziale", il compito che dà senso a una vita. Attraverso una rivalutazione del pensiero dei cinici viene sottolineata sia l'importanza di un radicale ritorno all'elementarità dell'esistenza sia lo "scandalo della vita vera": al tempo stesso provocazione pubblica e pratica filosofica, che comporta un accoglimento dell'essenzialità delle cose.
Questo volume raccoglie gli Atti del Convegno nazionale "Filosofia e mistica", promosso dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, Dipartimento di Filosofia, e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI e svoltosi il 24-25 novembre 2010 presso la sede di Milano dell'Università Cattolica. Collocato all'interno di una serie di iniziative promosse dall'Ateneo sul tema della mistica, il Convegno è stato l'occasione per dare vita al più ampio progetto "Filosofia ed esperienza religiosa", con il quale si intende indagare filosoficamente i contenuti dell'esperienza religiosa nel loro valore teoretico e storico in ambito moderno e contemporaneo. In questa prospettiva, il volume, oltre a rendere conto dell'articolazione di un convegno che ha avuto una vasta eco e buona accoglienza nel mondo accademico italiano, risponde al risvegliato interesse per la mistica che, già da diversi anni, caratterizza il mondo occidentale e che, troppo spesso, si traduce in un sincretismo religioso dai contorni vaghi. Le relazioni qui contenute intendono chiarire molte delle ambiguità presenti in questo rinnovato interesse, individuando lo specifico statuto concettuale della mistica, tentandone una fondazione rigorosa e ponendo in chiaro la sua relazione fondamentale con l'esperienza cristiana.
"Poniamoci una domanda: i grandi amori quanto durano? quando si stabilizzano nel tempo? quando l'altro non è più solo il termine del desiderio, ma è qualcosa che io prendo in custodia perché mi sta a cuore. Perché se Eros non diventa philia degenera in vizio. Affinché una relazione si stabilizzi, le anime stesse devono essere stabili, ci deve essere rispecchiamento e specularità tra di esse." (Salvatore Natoli).
Alla fine del Seicento, Pierre Bayle sostenne con determinazione che era meglio essere atei, piuttosto che idolatri e superstiziosi, che era preferibile non avere una religione, piuttosto che una cattiva religione. Legata ad una appassionata difesa del principio di tolleranza, dei diritti della coscienza individuale, dell'autonomia morale, la società di atei teorizzata da Bayle si colloca agli antipodi dell'ateismo ideologico dei sistemi totalitari a noi più vicini. Questo libro non si limita a presentare la presa di posizione di Bayle e a studiarne le origini culturali, ma ricostruisce alcuni dei momenti della grande controversia sollevata dalle sue provocatorie tesi, che vide intervenire i massimi esponenti dell'età dei Lumi, da Montesquieu agli Enciclopedisti, da Rousseau a Kant. Ampio spazio è dato al contributo che il pensiero inglese, da Mandeville a Hume, portò, in sotterraneo dialogo con Bayle, sul problema delle origini e della funzione sociale della religione e sulla questione del rapporto fra ateismo e politica.
Marsilio Ficino (1433-1499) è tra i maggiori filosofi del Quattrocento. Dalla personalità complessa, egli fu insieme medico, astrologo, teologo, filologo e filosofo, fine traduttore e interprete e sottile pensatore, tanto votato alla più astratta speculazione dialettica, quanto consacrato all'impegno presbiterale, secondo una particolare visione del rapporto tra ricerca filosofica e dignità sacerdotale, fondata sull'unità di sapientia e religio. Se gli va ascritto il merito di avere, alle soglie dell'età moderna, offerto al mondo latino la conoscenza dei testi fondamentali della tradizione platonica greca, che ebbero sulla coscienza occidentale un influsso equiparabile a quello esercitato dalle opere di Aristotele sul pensiero medioevale del XIII secolo, nondimeno va riconosciuto che, assumendosi consapevolmente e pienamente il compito di affiancare alle traduzioni che andava svolgendo i necessari strumenti ermeneutici, quali introduzioni e commentari, da un lato egli seppe realizzare una sintesi dottrinaria che assurge alla dignità di un autentico sistema filosofico; dall'altro concorse in modo decisivo alla "nascita" di una nuova immagine e di un nuovo linguaggio della filosofia, non più patrimonio esclusivo dei magistri, ma presente e operante nella cultura di letterati e filologi, storici e uomini politici e, addirittura, di un nuovo ceto di tecnici e artisti, contribuendo alla fine dell'egemonia aristotelica in seno alle università.
Un esperimento insolito e originale forma l'oggetto di questo libro di Giacomo Marramao: la messa a fuoco dei punti d'intersezione tra le genealogie filosofiche e le diagnosi radicali del Potere, del Comando e della Legge fornite, in tempi e contesti diversi, da due grandi scrittori mitteleuropei come Elias Canetti (attraverso un confronto costante con l'opera di Kafka) e Herta Müller (lungo l'asse che collega la figura del Lager alle esperienze di sorveglianza, isolamento e derelizione esistenziale presenti nelle stesse democrazie). Per afferrare il senso delle trasformazioni del potere occorre andare alle radici: all'arche o al principio che l'ha originato come fattore transculturale e trans-storico comune a tutte le società umane. Il potere non può essere soppresso: ogni tentativo di 'superarlo' - sopprimendo questa o quella forma del suo esercizio - non ha finora fatto che potenziarlo. Il potere deve essere, invece, sradicato, sovvertito nella sua logica costitutiva: la logica dell'identità, innervata nell'illimitatezza del desiderio e nella doppia scena paranoica della paura e della morte dell'altro. Tracciare una linea di frattura e di opposizione al potere significa, nel cuore del nostro presente globale, spostare il focus sui soggetti e sulla loro potenza di metamorfosi/rigenerazione. Ma ciò è possibile solo staccandosi dal rumore dell'attualità e riprendendo il filo interrotto di opere solitarie ed estreme.
La "Fisica" di Aristotele è un'opera cosiddetta "acroamatica" vale a dire è una raccolta di appunti preparatori alle lezioni dello "Stagirita" che originariamente non costituivano uno scritto unitario ma una serie di saggi su argomenti specitici. Questi furono raccolti in un unico trattato secondo l'ordine tematico da Andronico di Rodi nel I sec. a.C. nella forma in cui oggi l'abbiamo. Da ciò dipende lo stile e il lessico asciutti spesso molto sintetici ed ellittici. La "Fisica" vuol essere lo studio della natura vista nel suo aspetto peculiare che è il movimento: per la precisione Aristotele intende come enti naturali (e quindi fisici) quelli che hanno in sé la causa del loro mutamento, distinguendoli dai prodotti dell'arte che non hanno tale carattere. In ogni modo lo studio di questi aspetti è condotto a livello filosofico e cioè in un senso universale e ontologico. Per tale motivo Aristotele non può esimersi dall'affrontare molti temi correlati al movimento di grande importanza, come l'infinito, il luogo, il tempo, il continuo e, da ultimo il rapporto, motore-mosso. Sarà proprio questo aspetto a proiettare gli esiti della "Fisica" nella "Metafisica", attraverso la nozione di Motore immobile. La fortuna di quest'opera fu immensa perché determinò la percezione dell'universo per secoli (per tutto il Medioevo).
Prima traduzione italiana di tutte le opere in cui Porfirio, filosofo neoplatonico allievo di Plotino, si cimentò nell'edificazione di una filosofia religiosa pagana alternativa al Cristianesimo, con l'esplicito intento di conferire una valenza mistica agli antichi responsi oracolari e alle pratiche magico-astrologiche, e di dare una valenza simbolica alle statue degli dèi; nella "Filosofia degli oracoli" troviamo la prima interpretazione allegorica degli Oracoli caldaici presentati come una rivelazione divina tipica dello zoroastrismo ellenizzato; nel trattato "Sul ritorno dell'anima" troviamo la spiegazione di come la "teurgia", una versione pagana della "grazia", possa agire sulla parte irrazionale dell'anima per purificarla e prepararla all'unione con il divino; nel trattato "Sulle immagini degli dèi" troviamo una simbologia filosofica applicata alle statue delle divinità greche, che in tal modo da "idoli" possono diventare autentiche "icone"; nella "Lettera ad Anebo" troviamo l'esposizione della precisa valenza della magia e della teurgia, in contrapposizione al suo allievo Giamblico. Se la "teurgia" serve solo per la parte inferiore dell'anima, e la "teologia" per la parte intellettuale, il punto di arrivo finale per Porfirio è la "teosofia", la piena e compiuta sapienza divina che riempie di sé l'anima ormai purificata e pronta alla henosis con il Principio.
Il saggio presenta e discute il progetto fenomenologico in una prospettiva insieme teoretica ed ermeneutica, che ne valorizza gli aspetti tuttora fecondi. La fenomenologia è ricostruita come ambizioso progetto di rifondazione delle coordinate in cui si gioca la condizione contemporanea, al centro del quale si colloca un'originale concezione etica e spirituale dei concetti di umanità, scienza e modernità. Lo studio prende sul serio la rivendicazione husserliana del carattere radicale del progetto fenomenologico e lo sollecita a giustificare i propri assunti e il proprio metodo rispetto alle critiche mosse dall'ermeneutica e dal pensiero linguistico e pragmatista
DESCRIZIONE: Queste pagine inedite di Maurice Blondel dedicate alla mistica donano freschezza alla sua stessa “filosofia dell’azione”: un pensiero che va a definirsi in un duplice gesto, per un verso attingendo alla pratica e per l’altro illuminandola, perché investe la vita e il destino etico-religioso dell’uomo e dà loro orientamento. Qui la filosofia sconfina nella mistica, perché «compito essenziale della filosofia non è di abbandonarci ad essa, come se avesse il monopolio di ciò che c’è in noi; ma di metterci in condizioni di fare il passo al di là». Il concetto di mistica si pone fra mistero e filosofia: con quale metodo la mistica è accessibile all’esame della ragione? Quale può essere il contributo specifico della filosofia? Che corrispondenza v’è fra lo sguardo filosofico, pur sempre umano, e l’oggetto mistico che rinvia al divino? Come si coniugano ciò che è acquisito con ragione e ciò che è invece infuso per grazia? Queste sono le domande con cui Blondel pone la mistica come luogo in cui la filosofia mette in discussione se stessa, al crocevia tra il finito e l’infinito. 
COMMENTO: Un testo inedito di Blondel che introduce ai temi della mistica, come via di ricerca della verità e della trascendenza, una dimensione necessaria alla elaborazione di una filosofia cristiana. Una assoluta novità.
MAURICE BLONDEL (1861-1949) è stato uno dei maggiori filosofi del Novecento. Tra le sue opere ricordiamo: L’azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi (1893), San Paolo 1998.
DOMENICO BOSCO insegna Filosofia morale all’Università degli studi di Chieti e Filosofia della religione all’Università Cattolica di Milano. Su questo tema ha recentemente curato per Morcelliana: M. De Certeau, Sulla mistica (2010).
  
