
Nella dottrina del risveglio Julius Evola si propone di mettere in luce la natura vera del buddhismo delle origini, dottrina che doveva sfaldarsi fino all'inverosimile nella gran parte delle forme successive, quando, per via della sua divulgazione e diffusione, essa divenne più o meno una religione. In realtà, il nucleo essenziale dell'insegnamento aveva avuto un carattere metafisico e iniziatico. L'interpretazione del buddhismo come una mera morale avente per fondo la compassione, l'umanitarismo, la fuga della vita perché "la vita è dolore", è quanto mai estrinseca, profana e superficiale. Il buddhismo è stato invece determinato da una volontà dell'incondizionato affermatasi nella forma più radicale, dalla ricerca di ciò che sovrasta sia la vita che la morte. L'autore, si occupa soprattutto del lato pratico, dell'"ascesi" del buddhismo, con una esposizione sistematica basata direttamente sui testi.
Filosofia e teologia hanno qualcosa da dirsi? Klaus Hemmerle ne è profondamente convinto, sì da condurre un dialogo appassionato e illuminante tra le due discipline. Negli scritti qui proposti se ne rintracciano le orme in una ricerca che ci conduce dal dialogo tra sacro e pensiero, a quello tra verità e testimonianza, alla questione del tempo e della Trinità, del rapporto tra verità e amore, fino alla domanda del pensare e del suo relazionarsi con l'evento della Rivelazione e con la fede. Salvaguardando la necessaria autonomia di filosofia e teologia, Hemmerle ne esalta insieme la complementarietà e attraverso un atteggiamento di pensiero che cura il dettaglio e guarda tutta la realtà circostante senza prendere nulla per già noto e conosciuto ci offre uno strumento che può ridare slancio sia alla filosofia che alla teologia, affinché si rimettano in gioco per offrire risposte alla cultura odierna. Il volume, che accanto alla selezione dei testi ne vuole offrire anche una lettura organica, è una novità nelle ricerche hemmerliane in ambito italiano. Per tale ragione esso si pone all'interno della collana "Per-corsi di Sophia" quale strumento di riflessione e approfondimento di alcune linee di ricerca dell'Istituto.
Questa monografia sul Metalogicon di Giovanni di Salisbury vuole proporre una chiave di lettura complessiva del pensiero di Giovanni: l'intreccio tra cultura umanistica, amore per le arti liberali, gnoseologia, logica e teologia giova a mostrare tutta l'originalità dell'autore. Nutritosi al platonismo dei suoi grandi maestri di Chartres, acceso di entusiasmo per le nuove traduzioni delle opere logiche Aristotele, dotato di spirito ironico e antidogmatico a motivo della sua eclettica formazione parigina, Giovanni sa trarre una sintesi tra platonismo e aristotelismo, che trova nel probabilismo cristiano di matrice agostiniana la sua chiave di volta.
Un'opera fondamentale e di grande respiro in cui si rinvengono i germi del cattolicesimo liberale. L'opera che in maniera organica presenta il pensiero di Rosmini suscitò grande eco ai suoi tempi e trovò calorosa accoglienza presso gli ambienti liberali. Scientificamente riveste un alto valore, per il suo carattere sistematico e per la trattazione strettamente logica dell'argomento, tutto formulato attraverso deduzioni concettuali. Il diritto come Rosmini spiega in Filosofia del diritto (1841-45) - ha come suo fondamento la persona, perché "la persona dell'uomo è il diritto umano sussistente, quindi anche l'essenza del diritto".
Consegnato a parole, miti, filosofie, letterature e arti, il primato della vista si identifica da sempre con il possesso del sapere e l'esercizio del potere. Se in greco antico il lessico del vedere e quello del conoscere sono tutt'uno e se per il Platone de "La Repubblica" è filosofo "chi ama lo spettacolo della verità", l'equivalenza di teoria e visione, che fonda e attraversa l'intera metafisica occidentale, non ha nulla del dato acquietante, anzi si configura come una drammaturgia che è urgente interrogare. Un excursus dai grandi personaggi tragici a Freud, dalla mitologia classica alle testimonianze figurative più tarde, dai dialoghi platonici a Orwell, in cui l'autore indaga le ragioni che rendono lo sguardo così potente.
Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell'effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci - che interrogano l'umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l'ipotesi della felicità. Incontrare l'antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l'intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L'origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l'antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.
In che misura si può affermare il carattere assoluto e incondizionato della verità? Quando invece la verità è condizionata da limiti che ne scandiscono il carattere relativo e provvisorio? Il contrasto tra assoluto e relativo ha animato dibattiti incandescenti, con accuse di dogmatismo o di nichilismo. Si può comporre virtuosamente il conflitto? Impegnarsi in questa impresa significa non solo dire diversamente l'essere che è e l'essere che accade, ma anche mostrarne l'intreccio strutturale. L'incondizionato si coniuga con le molteplici figure che, in situazione di condizionamento, non si irrigidiscono in una impossibile assolutezza e non si dissolvono in un confuso relativismo, ma si dispongono a qualificarsi come prospettive di verità. L'idea del prospettivismo veritativo è in grado di dare un'articolazione dinamica e costruttiva al rapporto tra l'essere che è e l'essere che accade: può offrire inoltre ragioni convincenti per il multiculturalismo e il pluralismo delle posizioni. Il discorso si precisa poi in una proposta di etica come via di approssimazione all'essere per noi e in un'analisi conseguente delie regioni del lavoro, dell'economia, della politica, della comunicazione e dell'artificio tecno-scientifico. L'attenzione viene portata pure sul nesso tra democrazia e laicità. L'esigenza di colmare l'invocazione di senso, che scaturisce dalla vicenda storica e dall'esperienza individuale, incontra infine il messaggio religioso. Prefazione di Virgilio Melchiorre.
Guglielmo di Ockham (1280ca-1349), maestro francescano all'Università di Oxford, versatile figura di intellettuale, viene variamente definito innovatore, scettico, soggettivista, nominalista, pansemiotista, per la sua massiccia utilizzazione della logica nei diversi ambiti del sapere. Nelle sue opere infatti la logica assume una particolare importanza e apre nuove prospettive, alcune delle quali verranno successivamente sviluppate dalla moderna logica formale (come le dottrine dell'inferenza o dell'errore). "La logica di Ockham" si inserisce nel contesto di rinnovato interesse per la logica medievale, soprattutto dagli studiosi di scuola anglosassone, e offre un'analisi completa della posizione ockhamista a partire dalla "Summa logicae", opera di una poliedricità notevole. Attraverso un'attenta indagine dei testi, supportata dagli stimoli della più recente storiografia, viene presentata un'impegnativa ermeneutica volta alla puntuale ricostruzione filologica delle singole dottrine e alla ricerca della continuità con la testualità dei logici precedenti, vicini e lontani, per intercettarne la carica innovativa. Grande attenzione viene data alla semantica e alla semiotica, cosi come alle condizioni di verità delle proposizioni e alla logica modale.
Gilles Deleuze (1925-1995) è un pensatore che ha fortemente inciso sul rinnovamento della filosofia nella Francia della seconda metà del secolo scorso. Le sue idee conoscono oggi una ripresa di interesse in vaste aree della filosofia mondiale. Tra le tematiche che destano attenzione spicca il rapporto tra l'estetica e l'etica, attraverso il quale Deleuze propone il ripensamento critico della struttura originariamente pratica della soggettività e una diversa tematizzazione dell'ontologia.
John Henry Newman (1801-1890) ha sviluppato una riflessione filosofica originale circa la questione della certezza nel suo "Essay in Aid of a Grammar of Assent" (1870), con il quale si inserisce nella britannica tradizione filosofica di riflessione sulla gnoseologia e l'atto d'assenso. Il volume presenta uno studio sulla genesi dell'opera, offrendo una ricostruzione del pensiero newmaniano attraverso l'intera sua produzione, la corrispondenza e gli scritti in cui vengono rielaborate le tesi contenute nel saggio. Inoltre, ripercorrendo la riflessione sulla certezza, in ambito britannico, si fanno emergere, per paragone, i fattori di originalità del Saggio di Newman: lo specifico realismo fondato sul primato della persona e una diversa e più ampia concezione moderna della razionalità, elaborata dinamicamente, come attestano le riflessioni sulle nozioni di real, notional, probability.
DESCRIZIONE: Mai come oggi gli uomini si sono trovati a vivere tanto «prossimi» gli uni agli altri, in tempo reale, nel bene e nel male, tutti insieme. Il prossimo si è fatto a noi tanto prossimo da non consentire più di sentirci liberi di scansarlo o di accostarlo quando lo si incontra, come allora, sulla strada da Gerusalemme a Gerico. Per riacquistare la giusta distanza e la doverosa lungimiranza può giovare l’aiuto di un grande pensatore e di un grande credente: Søren Kierkegaard. Negli Atti dell’amore, l’opera che pubblicò nel 1847, al culmine della sua produzione letteraria, egli tratta del problema del «prossimo» a partire dalla capacità e dal dovere di ogni uomo di compiere atti vittoriosi su ogni egoismo. Il suo percorso è originale: egli non considera l’uomo come naturalmente egoista, nemmeno nel senso di egoismo come «amore di sé», che pensatori sia antichi sia moderni pongono come presupposto più che legittimo per indicare poi le vie virtuose idonee a fare evolvere in senso altruistico tale connaturato egoismo. Kierkegaard parte dall’alto, da ciò che è «supremo» in ciascun uomo, dagli atti dell’amore, e proprio in questi riscopre la presenza dell’umano-in-tutti: un tesoro nascosto, tutt’altro dall’incorreggibile «legno storto» di kantiana memoria.
Queste «riflessioni» sono filosofiche, ma possono avere come oggetto gli atti dell’amore solo in quanto esse sono cristiane. Kierkegaard è convinto, e lo dimostra qui a più riprese confrontandosi con «i pagani», ossia con la filosofia greca, che solo il cristianesimo ha scoperto che esistono atti d’amore, e soprattutto che questi possono e debbono essere compiuti da ogni uomo, dunque anche dai non credenti, in ogni tempo.
COMMENTO: Una nuova traduzione, curata da uno dei maggiori esperti italiani di studi kierkegaardiani, di questo testo ormai classico in cui il filosofo danese espone la teoria dell'amore cristiano, inserita nella NUOVA COLLANA DI FILOSOFIA.
UMBERTO REGINA insegna filosofia morale presso l’Università di Verona. Tra le sue opere pubblicate da Morcelliana ricordiamo: La vita di Gesù e la filosofia moderna (1979); L’uomo complementare. Potenza e valore nella filosofia di Nietzsche (1988); Servire l’essere con Heidegger (1995); Kierkegaard. L’arte dell’esistere (2005) e ha curato con Ettore Rocca, Kierkegaard contemporaneo. Ripresa, pentimento, perdono (2007).