
DESCRIZIONE: Questo libro, un commento ad Altrimenti che essere o al di là dell'essenza, appare come la ricapitolazione del dialogo di Ricoeur con Levinas iniziato negli anni Ottanta, continuato nelle pagine di Sé come un altro e focalizzatosi attorno ad alcune domande: è possibile la relazione con l'altro se, come sembra pensare Levinas, a essere intrinsecamente peccaminosa è l'idea di «io posso»? Nell'identificazione dell'altro (Autrui) con un'epifania assoluta - che scompiglia ogni attesa del soggetto e lo pone nella condizione di «ostaggio» - non v'è il rischio di una concezione riduttiva dell'altro, quando invece, ed è quanto obbietta Ricoeur, la categoria dell'altro si declina in più modi? Domande che sottendono un ultimo interrogativo: è legittima un'etica, come sostiene Levinas, senza uno sfondo ontologico? Con finezza, Ricoeur mostra la trama profonda del pensiero dell'amico, evidenziandone la ricchezza ma anche le aporie - ad esempio, quella rappresentata dall'irruzione del tema del «terzo», della «giustizia tra gli incomparabili», che sconvolge l'asimmetria postulata da Levinas tra il sé e l'Altro. V'è qui non solo un confronto teoretico, ma una prova di ciò che per Ricoeur è l'ermeneutica: nella riflessione dell'altro scoprire i problemi della propria filosofia. Come se l'amicizia donasse uno sguardo ancor più acuto sulle affinità e le differenze.
PAUL RICOEUR (1913-2005) è stato tra i più importanti filosofi del XX secolo. Presso la Morcelliana sono stati pubblicati: Kierkegaard. La filosofia e l'eccezione; II male. Una sfida alla filosofia e alla teologia; II simbolo dà a pensare; La persona; Tradizione o alternativa. Tre saggi su ideologia e utopia; Ermeneutica biblica. Linguaggio e simbolo nelle parole dì Gesù; Amore e giustizia; La traduzione. Una sfida etica; II giudizio medico
Un libro per comprendere il «ritorno della religione» oggi nell'incertezza dell'esistenza umana. La definizione di religione come "prassi di superamento della contingenza" da parte di uno dei protagonisti del dibattito internazionale sui rapporti tra religione, società e politica.
Individuo e comunità, pluralità dei valori, loro conflitto e possibile conciliazione: sono alcuni dei temi decisivi della filosofia politica contemporanea. Temi che qui trovano un loro distillato nel dialogo tra Isaiah Berlin e Charles Taylor: due prospettive differenti nel declinare questi termini, pur all'interno del comune orizzonte di un liberalismo che non dimentica i suoi limiti.
Una domanda attraversa queste pagine: è legittimo il disinteresse di molti scienziati verso la filosofìa, quando i concetti fondamentali della scienza hanno per lo più una genesi filosofica? È il caso delle categorie cervello, mente, anima, pensiero. Categorie che, nella loro stessa origine, sono attraversate da tensioni che si evidenziano, ad esempio, nelle riflessioni delle neuroscienze. Tensioni che un approccio riduzionista a questi concetti oggi divenuto senso comune - sembra occultare.
«Essendomi recentemente cimentato con l'arduo compito di tradurre la Metafisica di Aristotele, il libro forse più difficile dell'intera storia della filosofia, mi sono imbattuto in una serie di problemi, alcuni dei quali previsti e altri invece imprevisti, che hanno reso l'impresa, oltre che ardua, anche affascinante». Affrontando problemi inerenti alla trasmissione del testo, alla traduzione e alla interpretazione, Berti mostra - contro una lettura teologizzante, di origine neoplatonica - il tratto problematico della filosofia aristotelica: la metafisica non è né teologia, né ontologia, ma scienza delle cause prime.
Qual è l'identità dell'Europa, tra crisi della sua coscienza storica e sfida delle nuove migrazioni? Come sottrarsi alle spire di una memoria-ripetizione che dimentica la complessità della storia? Per Ricoeur, l'idea stessa di Europa ha un futuro quando si riconosca, in uno sforzo di memoria critica e attiva, che essa significa uno «spazio della integrazione delle migrazioni passate, presenti e future». Un'«idea mobile» la cui identità è il risultato dell'intrecciarsi di differenti tradizioni.
Che cos'è verità? Come il linguaggio ne può parlare? -ciò che definiamo verità corrisponde a come stanno realmente le cose? O, piuttosto, indica l'impossibilità di ridurre lo scarto che sussiste fra le cose e la rappresentazione che ne ha un individuo rispetto a un altro? Come ci insegnano la filosofia e la scienza contemporanea, ogni percezione del mondo è anche una sua diversa interpretazione. Così Natoli conduce a sondare le "scene della verità": punti di vista dai quali la si può osservare. Verità come disvelamento, corrispondenza, interpretazione, esperienza e dimostrazione, pragmatica dello stare la mondo, etica della sincerità opposta alla menzogna.
Mentre il secolarismo anticlericale dal passato intendeva combattere i privilegi politici della Chiesa, ancora legata al vecchio regime, il secolarismo istituzionale della democrazia multiculturale rappresenta oggi la condizione pregiudiziale per il rifiorire delle religioni. Ecco la tesi di questo saggio di Habermas. La ragione secolare è, per così dire, il piedistallo costituzionale che rende possibile il confronto e l'approfondimento delle autenticità religiose. Le credenze riflessive - che , senza chiudersi alla modernità, ancora attingono attraverso il rito a una sorgente premoderna di solidarietà - vengono ora direttamente chiamate a dibattere in pubblico il senso della modernità e della democrazia.
Il saggio espone il metodo di lettura della "Metafisica" aristotelica che Aubenque, a partire dal libro "Le problème de l'être chez Aristote", ha offerto alla riflessione contemporanea. La metafisica è una scienza ricercata, e sempre da ricercare, in forza del proprio andamento problematizzante: la domanda "che cos'è l'essere?" mette capo a un attraversamento di aporie. Nel testo aristotelico v'è una dialettica della scissione, tra bisogno di totalità (di senso) e consapevolezza della sua terrestre incompiutezza. Una metafisica che nello scacco per l'impossibilità di essere una teologia trova la ragion d'essere della sua possibilità.
"Chi comincia a fare filosofia partendo da Platone - scrive Szlezák -può essere certo di avere imboccato la strada giusta." Fin dalle prima pagine, Thomas Alexander Szlezák con esemplare chiarezza introduce il lettore a un modo nuovo di leggere Platone che, rovesciando nettamente gli schemi e i canoni tradizionali, riguadagna il senso che il Maestro dava alla scrittura, rispetto all'oralità, come mezzo di comunicazione del sapere. In tal modo si perviene a comprendere la dimensione storica di Platone e a recuperare la straordinaria vitalità dei suoi scritti, la freschezza dei suoi drammi filosofici, l'efficacia attuale dei suoi messaggi.
«Così, dopo lunghe titubanze e una serie di soluzioni provvisorie, nel febbraio o marzo del 1893, meditando intensamente un giorno intero, alla sera abbozzai una memoria ... che fu come una rivelazione di me a me stesso» scrive Croce in "Contributo alla critica di me stesso". In effetti, a partire da questa «memoria» fervidamente antipositivistica ? volta a confutare le tesi di storici come Droysen e Bernheim ? Croce si libera dal suo passato, dalla «scrittura di erudizione» come lui stesso la definiva, e, nell'affrontare le complesse relazioni fra arte, scienza e storia, scopre la sua vera vocazione: l'interesse, prepotente, per le questioni teoriche e le indagini storiche di più ampio respiro. Leggendola, ritroveremo non solo «la facilità e il calore» con cui Croce la compose, ma tutta la forza dimostrativa di uno stile ineguagliabile.