
Questo libro propone una riflessione su Domenico Jervolino, pensatore e uomo politico, per molti anni docente di Filosofia del Linguaggio e di Filosofia Teoretica nell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Gli interessi principali della sua ricerca filosofica sono stati: la rivisitazione critica di Marx con la ripresa della nozione gramsciana di egemonia, la riproposta dei paradigmi ricœriani del simbolo, del testo e della traduzione, il richiamo alle istanze della filosofia e della teologia della liberazione. Particolare attenzione è stata dedicata da Jervolino al paradigma della traduzione, intesa come riconoscimento e accoglienza dell’altro. Nel passaggio da una lingua all’altra il filosofo napoletano ha visto lo straniero diventare il prossimo, il soggetto riconosciuto e accettato.
In questo nuovo volume della sua Controstoria, Onfray demolisce il mito di un Illuminismo razionalista e materialista, denunciando il carattere assai moderato o persino retrivo di alcuni fra i suoi più celebrati esponenti, e tracciando inedite demarcazioni fra i «buoni» materialisti e edonisti e i «cattivi» idealisti del secolo dei Lumi. Anche se messi all’Indice dal Sant’Uffizio, Voltaire e in fondo anche Diderot rimangono infatti deisti e antiatei, vincolati in maniera ambigua ai ricatti della trascendenza. Kant? Misogino e per di più razzista, come Diderot e Buffon. Sade? Un protofascista, che predica la sopraffazione, lo sfruttamento e il disgusto del corpo. Rousseau poi, oltre che criptoidealista, è un reazionario luddista, contrario alla scienza e favorevole alla cieca obbedienza e all’ignoranza del popolo.
Chi è da salvare sono invece gli esponenti di una corrente minore e storicamente perdente dell’Illuminismo "estremista": pensatori come Meslier, La Mettrie, Maupertuis, Helvétius, d’Holbach.
Che cosa è la verità? Attraverso il confronto teorico con alcune delle principali declinazioni contemporanee di questo concetto, emerge un'idea di verità non come rispecchiamento di una fantomatica realtà in sé, ma come compito, ideale regolativo che orienta i nostri sforzi conoscitivi volti alla conquista di piani sempre più ampi e comprensivi di oggettività per mezzo di un'incessante unificazione razionale dell'esperienza. La concezione della razionalità, in cui questa nozione di verità s'inquadra, contesta la contrapposizione heideggeriana fra pensiero (filosofico) e ragione (scientifica) e assottiglia la tradizionale distinzione fra scienze umane e scienze naturali. Poiché esclude ogni forma di fondazionalismo che facilmente degenera nel fondamentalismo, il saggio tocca il tema dei legami tra ricerca del sapere e società democratica e le ragioni che militano in favore della più ampia libertà di opinione e del pluralismo delle idee e dell'informazione.
«Questo volume prende, innanzi tutto, atto della realtà delle religioni positive, nella loro concretezza storica, e cerca di cogliere la ragione profonda del fatto religioso e l’intelligibilità delle sue manifestazioni». «Il testo è pensato, in primo luogo, per gli studenti di filosofia della religione, ma si spera che possa risultare di qualche utilità per un pubblico più vasto, ossia per coloro che ritengono essenziale interrogarsi sulla religione e sul suo valore per l’essere umano».
La bellezza del pensiero e dell'opera filosofica della Stein è tutta nella sua vita, iniziata, non a caso, in uno Yom Kippur (Giorno dell'Espiazione) del 1891 e conclusasi mirabilmente con la sua offerta in espiazione per il popolo ebraico e per la Chiesa, ad Auschwitz, il 9 agosto del 1942. Parafrasando il libro del Siracide, secondo il quale «un uomo si conosce veramente alla fine», si può dire che un vero filosofo si conosce alla fine, in quanto quest'ultima costituisce il coronamento di una vita e di un pensiero ricolmi di amore per la sapienza.
"Le caratteristiche di Chiari del bosco corrispondono a quelle della 'guida', un genere di testo passato in Spagna dall'Oriente, che è composto di figure alimentate dalla fantasia piuttosto che da argomentazioni, che è insieme comunicativo ed enigmatico, che suggerisce più di quanto non dica perché vuole che le sue verità rinascano e rivivano il più direttamente possibile nell'interiorità del lettore. Questi viene condotto, così, non tanto a condividere un sapere, quanto ad assimilare un'esperienza di tipo iniziatico, alimentata da una scrittura fortemente ellittica, lampeggiante, ora fin troppo coordinata ora bruscamente scoordinata, che lo obbliga a farsene coautore, a esporsi con tutto se stesso azzardando significati che il testo non garantisce. E che confluiscono in un 'logos sommerso' o 'logos del pathos', come la Zambrano ha chiamato in un'altra opera questa forma di comprensione inseparabile dalla situazione vitale di quanti si trovano a parteciparne. Di qui il riecheggiare, in queste pagine, della visione sapienziale dei presocratici, delle religioni salvifiche greche e romane, della tradizione gnostica, dell'idea - mutuata tra l'altro da Nietzsche - della filosofia come 'trasformazione'." (dallo scritto di Carlo Ferrucci)
«Come si sa da molto prima di Freud, dalla notte dei tempi, la conoscenza dei sogni è una finestra, o quantomeno una fessura, aperta a una strana verità: la verità della menzogna, della congenita menzogna in cui sembra che la creatura umana non possa fare a meno di avvolgersi come vengono avvolte di solito le creature; coprendole, per proteggerle dall'inclemenza del luogo in cui nascendo si vedono lanciate. Nel momento in cui entra nel sonno, l'uomo cessa per quanto è possibile di essere persona per diventare creatura. A causa dell'ossessione, stabilizzatasi in pensiero, della morte, è l'immagine di questa a essersi sovrapposta alla situazione del dormiente, che in realtà ricorda piuttosto l'immagine di chi dovrà nascere, o è addirittura già sul punto di farlo. Entrare nel sonno è entrare nel dominio del sogno o, meglio, attraverso il sogno, in un luogo sotterraneo, in una grotta - "Ypnos" -; ritornare a non essere visto; cadere nel grembo della vita madre che tutto consente; smettere di prender parte al gioco imposto dalla realtà, quello in cui si paga pegno, per giocare a un gioco proprio, gratuito, nel quale non esistono né leggi né frontiere, nel quale, come diceva Eraclito, si vive in un mondo privato, in cui non c'è da rispondere perché non c'è da domandare». (Carlo Ferrucci)
Il presente volume, per la prima volta ed analiticamente, approfondisce la lettura fabriana dei tre più grandi Autori della Modernità filosofica.
Questo libro ha l’origine in una conferenza tenuta dall’autore presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, il 9-10 aprile del 2014, dal titolo Tre modi di conoscere le cose con le idee secondo San Tommaso, come contributo al Convegno su Le Idee Divine nel Medioevo, organizzato dalla Facoltà di Filosofia e dalla Cattedra Marco Arosio. Esso compara in una serie di “trittici tomistici” il vario modo di conoscere mediante idee nell’uomo, nelle intelligenze e in Dio; approfondisce la dottrina di San Tommaso sul ruolo della idea-specie come mezzo astratto immanente, immateriale e intenzionale tipico della conoscenza umana, e rileva il realismo critico di Tommaso nel rendere il supposito il luogo delle idee. Il libro adotta anche il metodo di un tomismo “testuale”, intercalando alcuni scritti di Tommaso.
José Antonio Izquierdo Labeaga, nato a Viana (Spagna) il 17 marzo di 1948, è sacerdote Legionario di Cristo. Membro della Pontificia Accademia di San Tomaso D’Aquino e della SITA, è uno studioso di Filosofia Tomista nell’ambito epistemologico e antropologico. Professore Emerito dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (Roma), è stato anche Docente di filosofia tomista nella Pontificia Università Gregoriana (Roma). Ha partecipato come conferenziere in diversi Congressi Internazionali di Filosofia. Ha pubblicato e collaborato in vari libri, tra cui La vita intellettiva. Lectio Sancti Thomae Aquinatis (1994); L’organicità della vita umana nella visione di Tommaso d’Aquino (2006); Exitus, reditus, ascensus. Il triplice moto della mente umana secondo San Tommaso (2007); San Tommaso, filosofo del corpo umano, in «La teologia del corpo di Giovanni Paolo II» (2012). Ha pubblicato articoli in diverse riviste di filosofia, come Gregorianum, Angelicum, Alpha Omega, Ecclesia, Il Cannocchiale, Studia Bioethica.
Vicissitudini umane, accadimenti storici e scoperte scientifiche degli ultimi decenni sentenziano inesorabilmente che l’uomo è un essere provvisorio in confronto all’evoluzione dell’universo in cui vive e alla storia biologica di cui è partecipe. Intanto indaga su se stesso, interpreta e inventa vita. La “persona umana” non si arrende all’incertezza e non si consegna ai labirinti del provvisorio. Il volume entra in dialogo con ciò che l’uomo dice di se stesso in tempi di crisi, mentre rivolge attenzione all’antropologia filosofica classica, saggiandone la consistenza e la fondatezza dell’offerta ancora per la contemporaneità. Un viaggio, insomma, per continuare a pensare e sperare fra passato e futuro per riproporre un presente più ricco di senso, a pensare e pensarsi come protagonisti delle proprie vite, alla ricerca di un orizzonte stabile per l’esistenza personale e delle comunità umane.
In questo libro Ferretti propone una puntuale rilettura dei testi kantiani, svolta principalmente intorno al tema dei rapporti tra ontologia e teologia. Il ritorno a Kant costituisce secondo Ferretti un passaggio obbligato per coloro che, all'interno del dibattito contemporaneo, intendono occuparsi del tema cruciale dei rapporti tra teologia, ontologia e fine della metafisica. L'autore precisa che, per cogliere fino in fondo gli spunti che la lettura dei testi kantiani può suggerire, occorre fare a meno delle tradizionali interpretazioni che ne sono state date; o per lo meno occorre rileggere queste interpretazioni con l'aiuto di filosofi come Heidegger e Levinas, il cui contributo fu fondamentale per la critica all'ontoteologia. Consultando anche in maniera critica gli studi che Heidegger e Levinas dedicarono a Kant, Ferretti individua nelle opere kantiane una vera e propria metafisica dell'ulteriorità, che si articola secondo il "modulo della ragione sul confine". Da questa prospettiva Kant appare il filosofo che, lungi dal cadere nel razionalismo o nell'idealismo, gioca a condurre il pensiero fino ai propri estremi limiti o confini (Grenzen), inducendolo ad aprirsi oltre se stesso. Kant si pose, nell'ipotesi di Ferretti, al limite tra la conoscenza scientifico-oggettuale e la sfera dell'ulteriorità propria della teologia. Nelle sue opere egli considerò inoltre la differenza tra i due ambiti di realtà, non raramente scegliendo di utilizzare un linguaggio di tipo analogico e simbolico, l'unico in grado di salvaguardare il mistero della divinità. A seguito di queste riflessioni Ferretti descrive l'ontologia kantiana della Critica della ragion pura - ricorrendo ai termini dello Heidegger di Essere e tempo - come una precomprensione ontologica della teologia. Negli ultimi capitoli, con l'aiuto delle interpretazioni svolte da Levinas circa l'opera di Kant, l'autore si propone di approfondire ulteriormente la questione, esaminando la relazione dinamica tra ontologia, esperienza religiosa e precomprensione etica della teologia.
"Alternative alla vita" è caratterizzato dalla compresenza di tre piani. Vi si trovano i due piani classici dell'opera saggistica, cioè un discorso teoretico originale e il richiamo critico ai grandi autori della tradizione, in questo caso soprattutto Spinoza, Hegel, Leopardi, Kierkegaard, Nietzsche, Rensi e Freud. Ma questi due piani si innestano su uno narrativo, dominato dalla figura di un singolo, Akronos, cosicché questo testo potrebbe intitolarsi anche "fenomenologia di uno spirito". Akronos è la figura dell'inquietudine e della protesta che vede e denuncia lucidamente come la realtà sia sostanziata di in-giustizia e di violenza ma non ha la radicalità di abbandonarla, si limita a rasentare il nulla e cerca una mediazione con la realtà.