
A trent'anni dalla rivoluzione sessuale, che travolse la società occidentale sconvolgendo in modo profondo e forse irreversibile costumi e istituzioni radicati da secoli, Pascal Bruckner traccia un bilancio di quegli eventi e delle loro conseguenze. Ebbene, il sesso libero e la coppia aperta non sono diventati il modello dominante, sesso e amore non si sono separati una volta per tutte, i legami sono ancora possessivi ed esclusivi, a volte in modo tragicamente esagerato. D'altra parte non siamo nemmeno tornati al passato: ognuno ama e sposa chi vuole, i modelli di coppia e famiglia si sono trasformati e moltiplicati, le donne hanno conquistato una parità mai ottenuta prima e il sesso è ovunque, visto e discusso in ogni forma. Insomma, rivoluzione e restaurazione si sono fuse, creando qualche inevitabile paradosso: pretendiamo di godere di tutti i vantaggi della libertà, ma guardiamo con nostalgia alla presunta solidità di altre epoche; pretendiamo la passione travolgente e insieme la fedeltà a oltranza, il desiderio infuocato e la tenerezza. Ma forse, ci suggerisce Bruckner, nella nostra apparente confusione sta anche la salvezza: nonostante i continui sforzi di portare tutto alla luce del sole, di normalizzare e classificare qualunque presunta perversione e di cancellare ogni possibile divieto, l'amore e il sesso conservano intatta la loro forza primordiale e misteriosa.
La proposta di una riflessione metafisica nel presente può risultare a prima vista inattuale o quanto meno problematica. La crisi delle certezze e l'eccesso di specializzazioni sembrano suggerire che un discorso integrato sull'intero costituisca semplicemente un residuo del passato. Muovendo dall'esigenza di chiarire il senso e i limiti di un pensare metafisico nell'attuale contesto, il volume si apre con un'intervista al prof. Saturnino Muratore S.J., docente emerito di Filosofia Teoretica presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (sezione san Luigi). In modo semplice e accattivante, l'intervista condotta da Antonio Trupiano - da circa trent'anni collaboratore di Muratore - costituisce un valido strumento di indagine per quanti si accostano alla complessità del pensiero metafisico, sia nelle Facoltà e negli Istituti ecclesiastici, sia nelle Facoltà di Filosofia delle Università civili. Preso atto della crisi della filosofia neoscolastica, il percorso indicato da Muratore valorizza la svolta al soggetto dell'età moderna e affronta l'indifferibile sfida dell'integrazione tra saperi. Negli altri tre saggi raccolti nel volume, P. Coda, S. Muratore, e A. Trupiano sviluppano ulteriori aspetti del rinnovamento degli studi filosofico-teologici, in ascolto delle istanze promosse dal Concilio Vaticano II.
Nel corso della sua attività di studioso, il filosofo e teologo canadese Bernard Lonergan (1904-1984) maturo progressivamente la convinzione che la teologia dovesse abbandonare la Denkform scolastica per fare i conti con la ricerca storico-critica e con la sua interpretazione delle fonti cristiane. Nel suo sforzo di armonizzare tutti gli elementi dell'eredità cristiana, sosteneva infatti Lonergan, la teologia del passato non aveva compreso che la molteplicità dell'eredità cristiana non costituiva un problema logico o metafisico, bensì storico. A ciò egli intese rispondere con Method in Theology (1972), opera in cui portò a compimento il progetto intrapreso con Insight (1953): stabilire un metodo trascendentale in grado di fondare i singoli metodi usati nei vari campi del sapere. Lonergan articolò questo metodo in alcune specializzazioni funzionali, tra cui la History che aveva la finalità di stabilire - facendo leva sul giudizio razionale - come si erano realmente svolti gli avvenimenti del passato. Dallo studio delle caratteristiche e degli obiettivi che Lonergan ascrive all'interpretazione e alla storia (il controllo del significato, la posizione subordinata dell'interpretazione, il carattere estatico dell'intelligenza storica, la centralità del giudizio), si evince però che il suo vero interesse non è consistito tanto nella considerazione della storia concreta quanto nell'elaborazione di una teoria della storiografia da collocarsi entro un quadro metodologico più ampio.
Questo libro propone una riflessione su Domenico Jervolino, pensatore e uomo politico, per molti anni docente di Filosofia del Linguaggio e di Filosofia Teoretica nell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Gli interessi principali della sua ricerca filosofica sono stati: la rivisitazione critica di Marx con la ripresa della nozione gramsciana di egemonia, la riproposta dei paradigmi ricœriani del simbolo, del testo e della traduzione, il richiamo alle istanze della filosofia e della teologia della liberazione. Particolare attenzione è stata dedicata da Jervolino al paradigma della traduzione, intesa come riconoscimento e accoglienza dell’altro. Nel passaggio da una lingua all’altra il filosofo napoletano ha visto lo straniero diventare il prossimo, il soggetto riconosciuto e accettato.
In questo nuovo volume della sua Controstoria, Onfray demolisce il mito di un Illuminismo razionalista e materialista, denunciando il carattere assai moderato o persino retrivo di alcuni fra i suoi più celebrati esponenti, e tracciando inedite demarcazioni fra i «buoni» materialisti e edonisti e i «cattivi» idealisti del secolo dei Lumi. Anche se messi all’Indice dal Sant’Uffizio, Voltaire e in fondo anche Diderot rimangono infatti deisti e antiatei, vincolati in maniera ambigua ai ricatti della trascendenza. Kant? Misogino e per di più razzista, come Diderot e Buffon. Sade? Un protofascista, che predica la sopraffazione, lo sfruttamento e il disgusto del corpo. Rousseau poi, oltre che criptoidealista, è un reazionario luddista, contrario alla scienza e favorevole alla cieca obbedienza e all’ignoranza del popolo.
Chi è da salvare sono invece gli esponenti di una corrente minore e storicamente perdente dell’Illuminismo "estremista": pensatori come Meslier, La Mettrie, Maupertuis, Helvétius, d’Holbach.
Che cosa è la verità? Attraverso il confronto teorico con alcune delle principali declinazioni contemporanee di questo concetto, emerge un'idea di verità non come rispecchiamento di una fantomatica realtà in sé, ma come compito, ideale regolativo che orienta i nostri sforzi conoscitivi volti alla conquista di piani sempre più ampi e comprensivi di oggettività per mezzo di un'incessante unificazione razionale dell'esperienza. La concezione della razionalità, in cui questa nozione di verità s'inquadra, contesta la contrapposizione heideggeriana fra pensiero (filosofico) e ragione (scientifica) e assottiglia la tradizionale distinzione fra scienze umane e scienze naturali. Poiché esclude ogni forma di fondazionalismo che facilmente degenera nel fondamentalismo, il saggio tocca il tema dei legami tra ricerca del sapere e società democratica e le ragioni che militano in favore della più ampia libertà di opinione e del pluralismo delle idee e dell'informazione.
«Questo volume prende, innanzi tutto, atto della realtà delle religioni positive, nella loro concretezza storica, e cerca di cogliere la ragione profonda del fatto religioso e l’intelligibilità delle sue manifestazioni». «Il testo è pensato, in primo luogo, per gli studenti di filosofia della religione, ma si spera che possa risultare di qualche utilità per un pubblico più vasto, ossia per coloro che ritengono essenziale interrogarsi sulla religione e sul suo valore per l’essere umano».
La bellezza del pensiero e dell'opera filosofica della Stein è tutta nella sua vita, iniziata, non a caso, in uno Yom Kippur (Giorno dell'Espiazione) del 1891 e conclusasi mirabilmente con la sua offerta in espiazione per il popolo ebraico e per la Chiesa, ad Auschwitz, il 9 agosto del 1942. Parafrasando il libro del Siracide, secondo il quale «un uomo si conosce veramente alla fine», si può dire che un vero filosofo si conosce alla fine, in quanto quest'ultima costituisce il coronamento di una vita e di un pensiero ricolmi di amore per la sapienza.
"Le caratteristiche di Chiari del bosco corrispondono a quelle della 'guida', un genere di testo passato in Spagna dall'Oriente, che è composto di figure alimentate dalla fantasia piuttosto che da argomentazioni, che è insieme comunicativo ed enigmatico, che suggerisce più di quanto non dica perché vuole che le sue verità rinascano e rivivano il più direttamente possibile nell'interiorità del lettore. Questi viene condotto, così, non tanto a condividere un sapere, quanto ad assimilare un'esperienza di tipo iniziatico, alimentata da una scrittura fortemente ellittica, lampeggiante, ora fin troppo coordinata ora bruscamente scoordinata, che lo obbliga a farsene coautore, a esporsi con tutto se stesso azzardando significati che il testo non garantisce. E che confluiscono in un 'logos sommerso' o 'logos del pathos', come la Zambrano ha chiamato in un'altra opera questa forma di comprensione inseparabile dalla situazione vitale di quanti si trovano a parteciparne. Di qui il riecheggiare, in queste pagine, della visione sapienziale dei presocratici, delle religioni salvifiche greche e romane, della tradizione gnostica, dell'idea - mutuata tra l'altro da Nietzsche - della filosofia come 'trasformazione'." (dallo scritto di Carlo Ferrucci)
«Come si sa da molto prima di Freud, dalla notte dei tempi, la conoscenza dei sogni è una finestra, o quantomeno una fessura, aperta a una strana verità: la verità della menzogna, della congenita menzogna in cui sembra che la creatura umana non possa fare a meno di avvolgersi come vengono avvolte di solito le creature; coprendole, per proteggerle dall'inclemenza del luogo in cui nascendo si vedono lanciate. Nel momento in cui entra nel sonno, l'uomo cessa per quanto è possibile di essere persona per diventare creatura. A causa dell'ossessione, stabilizzatasi in pensiero, della morte, è l'immagine di questa a essersi sovrapposta alla situazione del dormiente, che in realtà ricorda piuttosto l'immagine di chi dovrà nascere, o è addirittura già sul punto di farlo. Entrare nel sonno è entrare nel dominio del sogno o, meglio, attraverso il sogno, in un luogo sotterraneo, in una grotta - "Ypnos" -; ritornare a non essere visto; cadere nel grembo della vita madre che tutto consente; smettere di prender parte al gioco imposto dalla realtà, quello in cui si paga pegno, per giocare a un gioco proprio, gratuito, nel quale non esistono né leggi né frontiere, nel quale, come diceva Eraclito, si vive in un mondo privato, in cui non c'è da rispondere perché non c'è da domandare». (Carlo Ferrucci)
Il presente volume, per la prima volta ed analiticamente, approfondisce la lettura fabriana dei tre più grandi Autori della Modernità filosofica.