
Servizi di consulenza non sempre serissimi e interi scaffali di libri di 'self-help' hanno trasformato la riflessione su che cosa sia la vera vita in trattazione superficiale orientata al raggiungimento della realizzazione personale, della riscoperta di se stessi o di una non meglio precisata ricerca della felicità. Con questo libro uno dei più noti e apprezzati filosofi contemporanei, da sempre sensibile agli intrecci tra saperi di provenienza culturale differente, ci esorta a tornare invece ai fondamentali della filosofia, per porre le giuste domande su una questione radicale: qual è la vita degna di essere vissuta? È vita vera quella che portiamo avanti giorno dopo giorno? O esiste una dimensione autentica che ci sfugge? E la storia della filosofia occidentale, da Platone a Cartesio e Heidegger, ci fornisce gli strumenti più adatti per tentare una risposta? François Jullien affronta coraggiosamente un tema che ha da sempre sollecitato pensatori e scrittori, a Oriente come a Occidente. Una lettura utile tanto più in un tempo di smarrimento profondo come è quello che stiamo attraversando.
L'ultimo secolo ha visto cambiamenti epocali: la trasformazione della società di classe in società di massa, l'accentuarsi del legame fra scienza e tecnologia, le guerre mondiali, i sistemi totalitari, l'accelerazione digitale. Riattualizzando la visione della modernità offerta da Max Weber, Heller riflette sul nostro tempo e in particolare sul concetto di verità nella sfera politica. Cosa consideriamo vero? Quanto pesa l'interpretazione sulle nostre posture politiche? In che modo la verità politica si distingue dal vero in altre sfere del mondo moderno? Ma cos'è, poi, in fondo, la verità? Questo breve saggio ci sorprenderà con la spiazzante posizione della filosofia rispetto a tali interrogativi.
Nel 1870 a soli ventisei anni Nietzsche scrive La visione del mondo dionisiaca. In queste pagine non destinate alla pubblicazione appronta la quinta scenica che sotterraneamente lo accompagnerà per tutta la vita: il rapporto conflittuale tra gli impulsi “generatori” della cultura umana, o almeno greca e poi europea, ossia la lotta tra l’apollineo e il dionisiaco. Il pensiero tragico di Nietzsche si forma intorno a questa lotta e il capolavoro giovanile pubblicato di lì a poco, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, ha come nucleo proprio La visione del mondo dionisiaca. Qui è compresa con chiarezza l’irruzione epocale di quello strapotere proveniente dall’Oriente e della contromossa che l’Occidente ha adottato per non soccombere e per germogliare. Nel paesaggio bucolico della valle alpina di Maderanertal, vicino al Lago di Lucerna, Nietzsche può comporre il suo scritto, spinto dall’ingenuo proposito di un “rinascimento” tedesco ma anche dall’impellente necessità di una “rivoluzione” dionisiaca.
Il volume è curato, introdotto e tradotto da Tommaso Scappini, dottorando in filosofia all’Università di Vercelli con una tesi sul tema della violenza in Nietzsche. Studioso di ermeneutica e di estetica, insegna storia e filosofia nei licei.
La vita postmoderna è, dal punto di vista morale, una vita in frammenti, governata da una profonda ambivalenza etica difficile da tollerare. Una forte crisi d’identità affligge l’Occidente contemporaneo, che brancola nel buio rispetto alle più urgenti questioni etiche. Oggi le persone credono ben poco nella possibilità di fondare una morale che possa funzionare da stella polare nell’orientamento delle nostre vite. Come riattivare, dunque, la responsabilità individuale in un mondo che ha perduto ogni riferimento? Per rispondere a questa domanda Bauman si rivolge alla filosofia di Emmanuel Lévinas, che ha messo al centro del proprio pensiero un’urgenza etica infinita destinata ad essere oggi di grandissima attualità. L’essere-per-l’Altro, il faccia a faccia con il volto dell’Altro, che assume varie forme (l’indigente, lo straniero, il migrante), sono concetti oggi più che mai necessari per offrire alla cultura occidentale nuovi strumenti per rispondere alla sofferenza umana, alla fragilità e alla vulnerabilità del nostro tempo.
La pubblicazione del seminario "La vie la mort", tenuto da Jacques Derrida tra il 1975 e il 1976, potrebbe segnare in maniera decisiva l'interpretazione dell'intera opera del filosofo franco-algerino. Derrida vi affronta la decostruzione dell'opposizione tra la vita e la morte quale matrice che orienta e struttura la tradizione del pensiero Occidentale in chiave metafisica. È infatti in questa prospettiva che si muove, fin dal titolo, in cui, tra "la vita" e "la morte", non vi è alcun segno di congiunzione, o di altra articolazione, che potrebbe implicitamente ratificare la distinzione e quindi l'opposizione tra due termini presupposti come di per sé autonomi e l'uno dall'altro indipendenti. Tuttavia, Derrida non si limita a decostruire la tradizione della cosiddetta «filosofia della vita», fino ad affrontare la questione del cosiddetto «biologismo» di Nietzsche, attraverso la lettura di Heidegger; in questo seminario, Derrida si confronta per la prima e unica volta con il discorso scientifico e in particolare con "La logica del vivente" (1970) di François Jacob.
Il volume raccoglie, con il testo greco originale a fronte, la traduzione curata da Mario Vegetti e Diego Lanza. Si tratta dei cinque scritti zoologici ("Ricerche sugli animali", "Le parti degli animali", "La locomozione degli animali", "La riproduzione degli animali" e "Il moto degli animali") e delle sette brevi opere di psicologia e fisiologia, i cosiddetti "Parva Naturalia" ("La percezione e i percepibili", "La memoria e il richiamo alla memoria", "Il sonno e la veglia", "I sogni", "La premonizione nel sonno", "La lunghezza e la brevità della vita" e "La respirazione").
"In questa collana presentiamo, in volumi singoli, i primi dialoghi platonici, interpretandoli come documenti che attestano in modo assai efficace 'il pensiero storico' di Socrate. La lettura di questi Dialoghi ci farà conoscere a fondo Socrate nella grandezza del suo messaggio rivoluzionario."
Per chi non ha il coraggio di affrontare la lettura del Capitale, questo breve scritto di Marx ne rappresenta un utile compendio. Con testo tedesco a fronte.
"Non è esistito forse nessun periodo in cui, più che nel romanticismo, attraverso l'estetica i motivi dell'esperienza artistica sono divenuti momenti della speculazione filosofica, e i momenti della speculazione filosofica momenti dell'esperienza artistica. Pensiero e arte agiscono e interagiscono continuamente l'uno sull'altra e tutti gli aspetti della vita spirituale cospirano a una profonda unità di cultura il cui centro, realmente vivente e operante, è costituito dalla filosofia. Via via che questa connessione fra arte e filosofia si fa più intima, l'estetica diviene sempre più ampia, sistematica e filosoficamente profonda, tendendo a divenire essa stessa il centro della filosofia: ciò proprio quando l'arte, intimamente fusa con la filosofia, diviene il centro di raccordo dei vari aspetti della cultura. Sull'orizzonte della cultura romantica passano vari valori spirituali: filosofia, morale, scienza della natura, arte, religione, poi di nuovo filosofia; e l'arte, tanto l'arte figurativa quanto, e soprattutto, la poesia e la prosa d'arte, si atteggia variamente in questi passaggi, acquista sempre nuove esperienze, finché alla fine è così piena, così matura e carica di significati culturali, che può per un momento dominare la scena a scapito della stessa filosofia. E questo è appunto il momento che, nel piano dell'estetica, ha avuto come massimo esponente Friedrich Schelling." (Dalla Postfazione di Giulio Preti)
La preghiera è, per il cristiano, come il soffio vitale: l soffio dello spirito, verrebbe da dire, anzi dello Spirito, senza il quale - seguendo San Paolo - neppure possiamo dire: "Abbà", "Padre". La tradizione orante della storia cristiana è, da questo punto di vista, un serbatoio di emozioni, di crisi messe in versi (talvolta nobilissimi anche dal punto di vista linguistico), di risoluzioni delle crisi stesse, di risalite dagli abissi, di ringraziamenti. Buona preghiera.
Le "Meditazioni Cartesiane" riprendono il corso di quelle "Meditationes de Prima Philosophia" con cui René Descartes ha di fatto inaugurato la moderna filosofia della soggettività. Edmund Husserl adotta però il suo metodo fenomenologico, andando alla datità stessa delle cose per trovare un fondamento assoluto: la datità dell'io che medita e fa esperienza. Da qui si sviluppa il corso della quinta Meditazione Cartesiana, a ragione considerata uno dei vertici della produzione filosofica di ogni tempo: il tentativo di rendere conto dell'estraneo a partire da noi stessi, e del corpo dell'altro a partire dal nostro.