
Guida alla lettura dell'"Estetica" di Hegel, uno dei massimi emblemi di storia ragionata delle forme del bello. All'introduzione - che contestualizza sul piano storico le lezioni hegeliane sull'estetica, ne analizza i principali nuclei tematici e ne approfondisce gli snodi concettuali - segue un'ampia scelta di brani, fra i più significativi e intensi, affiancati da un commento storico-critico e da un indice ragionato dei concetti fondamentali, con lo scopo di offrire una visione generale dell'opera e un'analisi della sua articolazione complessiva.
L'opera di Alexander Gottlieb Baumgarten, rimasta a lungo ai margini degli sviluppi della riflessione filosofica, è ormai al centro del rinnovato interesse degli studiosi perché in colui che tenne a battesimo l'estetica - della quale coniò la parola - si vanno ritrovando indicazioni preziose per il dibattito teorico della contemporaneità. Rinnovata attualità motivata già dalla semplice ragione che Baumgarten intese l'estetica in modo molto più articolato di una mera "filosofia dell'arte", intitolandola a un orizzonte più generale, cioè l'intera esperienza sensibile nei suoi ambiti più diversi: dalla ricerca scientifica alla pratica religiosa, alla stessa vita quotidiana. E tuttavia, proprio l'Estetica, la sua summa teorica, ha continuato a rimanere di difficile accesso, anche per il suo ispido latino. Questa nuova edizione mira dunque a rendere trasparente il pensiero estetico di Baumgarten in tutta la sua ricchezza, dando modo al lettore di confrontarsi proficuamente non solo con il "battista" della nuova scienza, ma con il primo grande piano tematico dell'estetica moderna, tuttora ricco di nessi scarsamente esplorati e di ragioni che conservano la loro smagliante intensità teorica.
Pubblicata originariamente in due volumi (il primo uscito nel 1977, lo stesso anno della morte del filosofo, il secondo postumo nel 1984), l'Estetica è tra i testi più cospicui scritti da von Hildebrand. In quest'opera il filosofo applica i principi della fenomenologia realista ai problemi che ruotano attorno alla bellezza e alle arti. In sintonia con l'impostazione originaria del pensiero husserliano, l'intento di von Hildebrand è quello di elaborare la riflessione estetica come sapere rigoroso, certo, critico e sistematico, in relazione all'intero regno del bello.
Se non sapessimo fare elenchi non potremmo ordinare il mondo, conoscere la Natura, il passato e il presente, contare, fare delle scelte. Ma se dovessimo fare elenchi completi la gente si addormenterebbe, i discorsi si farebbero infiniti e noiosi. La mente umana ha inventato un piccolo marchingno, che consiste, fatte le prime considerazioni, nel dire "e così via, eccetera". In questo libro il filosofo Derrida si diverte a spiegare quanto è stato importante, per il pensiero filosofico di tutti i tempi, avere a disposizione questa congiunzione.
Jacques Derrida fornisce una delle definizioni più sorprendenti della sua idea di "decostruzione", che non è una filosofia, né un metodo, né un concetto preciso, ma "solo ciò che capita se capita". Quel che è certo è che la decostruzione va sempre insieme a qualche altra cosa; essa, infatti, articola e disarticola ogni parte del discorso, riconoscendo tale divisione anche al proprio interno. L'elemento che rende concretamente possibile tutto questo è la congiunzione "e", un "sincategorema" capace di esprimere la correlazione tra insiemi eterogenei: la decostruzione e la scienza, la decostruzione e l'America, la decostruzione e l'amore ecc. Derrida, rifacendosi a Foucault, Borges e soprattutto a Husserl, spiega l'importanza della "e" quale collegamento logico (e fenomenologico) che può avere molte forme, usi e significati, perfino disgiuntivi, perché la congiunzione scivola e s'insinua dietro ogni disgiunzione. Testo breve quanto denso, "Et cetera" è anche una acuta e divertente riflessione metalinguistica, dal momento che non si può descrivere e formalizzare un'unità di linguaggio come la "e" senza farne già uso all'interno della stessa descrizione.
A cura di Paola Premoli De Marchi
Testo tedesco a fronte
“Desidero sinceramente elevare il mio sguardo spirituale
al di sopra delle tempeste e delle burrasche di questo tempo –
in un’atmosfera più pura, e dirigerlo a ciò per cui l’uomo è uomo,
vale a dire ciò per cui egli partecipa dell’eterno.”
Il volume che viene presentato al pubblico italiano in una nuova traduzione è la principale opera di filosofia della religione di uno dei filosofi più geniali e influenti della filosofia tedesca contemporanea. Fin dalla pubblicazione (1921) suscitò uno straordinario scalpore, tanto da essere considerato una svolta nella teologia cattolica (Pryzwara), ma anche diverse critiche per l’impostazione rivoluzionaria rispetto alla tradizione scolastica. Nell’Eterno nell’uomo Scheler vuole restituire alla dimensione religiosa il suo ruolo di sfera più essenziale e decisiva per l’uomo: l’uomo è uomo perché partecipa dell’eterno. Egli si richiama ad Agostino e alla centralità del contatto immediato dell’anima con Dio, però applica a questa prospettiva gli strumenti della fenomenologia nata sulle fondamenta delle Ricerche Logiche di Husserl. Da questo consegue che la teologia naturale non sia più equivalente alla metafisica, ma abbia come oggetto proprio i fenomeni originari di ogni esperienza religiosa, dei quali la filosofia deve cogliere l’essenza e le leggi necessarie che ne regolano i rapporti. La riflessione filosofica su Dio diventa allora una “teologia dell’esperienza essenziale del divino”, che parte dalla riflessione sugli atti religiosi: “Nell’atto religioso si vede e si sente una presenza di Dio nella creatura, analogamente al modo in cui l’artista può essere visto e sentito nell’opera d’arte”. Così, “insegnare a trovare Dio è qualcosa di fondamentalmente differente e più eccelso che provare la sua esistenza. Solo chi ha trovato Dio può sentire la necessità di dimostrarne l’esistenza”. Questa è la tesi centrale dell’opera più ponderosa del volume, i Problemi di religione. I quattro più brevi saggi che lo completano, invece, illustrano la natura della filosofia (Essenza della filosofia) e il ruolo centrale della religione, in particolare del cristianesimo, nella società, nella storia e nella cultura. Seppure assai influenzati dal momento in cui furono scritti, e soprattutto dalla tragica esperienza della Prima Guerra Mondiale, assai profondo è il valore profetico di questi saggi per l’uomo contemporaneo che ha vissuto quanto Scheler aveva previsto e si trova ancora immerso nella crisi della cultura europea che in questo volume è tanto acutamente descritta.
Paola Premoli De Marchi ha conseguito il dottorato e la libera docenza presso l’“Internationale Akademie für Philosophie” del Principato del Liechtenstein, centro di ricerca internazionale che si ispira alla fenomenologia realista, di cui Max Scheler è uno dei padri fondatori. Tra le sue pubblicazioni vi sono Uomo e relazione. L’antropologia filosofica di D. von Hildebrand (Franco Angeli 1998), Etica dell’assenso (Franco Angeli 2002), Uomo né angelo né bestia, argomenti a favore dell’immortalità dell’anima (Ed. Art 2005) e Chi è il filosofo? Platone e la questione del dialogo mancante (Franco Angeli 2008), vincitore ex aequo del Premio “Mario di Nola” 2009 conferito dall’“Accademia Nazionale dei Lincei”. Per la Bompiani ha curato anche la traduzione di due opere di D. von Hildebrand: Che cos’è la Filosofia? (2001, con M. Pasquini) e Essenza dell’amore (2003). Attualmente è docente di Etica presso la facoltà di Medicina, Chirurgia e Scienze della Salute dell’Università del Piemonte Orientale A. Avogadro (Novara) e presso il Master in Bioetica ed Etica Applicata della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Torino.
Testo di etica filosofica per le facolta' di filosofia.
"La grandezza e la modernità di Spinoza, che è uomo religioso, consistono nell'aver esorcizzato i fantasmi di una religiosità superstiziosa che continuamente evoca l'ultraterreno e sconfessa i poteri della ragione. Gli avversari più accaniti e intransigenti, tutti coloro che hanno esecrato Spinoza, erano ben consapevoli della sostanza esplosiva contenuta nel suo pensiero. Spinozismo vuol dire, infatti, sottoporre ogni evento naturale o sociale al controllo metodico di una ragione che obbedisce solo al suo "ductus", incurante di ogni autorità o di ogni vincolo che non siano l'esercizio stesso della ragione." (dall'introduzione di Remo Cantoni)
Spinoza elabora un'etica laica, in cui l'uomo è visto come un essere naturale che deve essere incluso nell'ambito della produttività infinita della natura. Secondo Spinoza l'uomo è parte della natura universale, e non si può parlare della sua libertà senza conoscere in che cosa questa consista e come sia possibile all'interno della totalità della natura: la conoscenza della natura delle cose è pertanto prioritaria e fondamentale. Come per i classici, anche per Spinoza il momento propriamente etico, ossia la descrizione delle azioni che consentono all'uomo di pervenire alla sua massima perfezione, giunge al termine di un percorso che fonda le conoscenze indispensabili allo scopo.
Viene qui riproposto il capolavoro di uno dei maggiori filosofi del Seicento, con il testo originale a fronte e con il nutrito commento di Giovanni Gentile. Le dottrine metafisiche e gnoseologiche possono essere considerate come propedeutiche alla definizione di una teoria morale che si propone di liberare gli uomini dalle passioni. E dal momento che il riconoscimento della necessità della sostanza divina è per Spinoza il concetto fondamentale della concezione della realtà e della conoscenza, esso costituirà anche il perno concettuale della sua costruzione etica.
Il titolo di ispirazione socratica - Scito te ipsum - con cui l'Etica era nota fin dall'inizio, indica il ruolo centrale dell'interiorità e intenzionalità nell'analisi del problema morale. Già dalle prime battute dell'opera Abelardo definisce la colpa come "consenso del soggetto all'inclinazione naturale presente nella natura umana": non è colpa - osserva - desiderare una donna ma acconsentire al desiderio giungendo all'adulterio. All'opera appartengono anche alcune intense pagine di denuncia della corruzione della chiesa che, oramai lontana dal modello evangelico della povertà, mira solo al potere e alla supremazia temporale. In esse riconosciamo l'Abelardo maestro di Arnaldo da Brescia.