
In questo saggio, che Montaigne ha aggiunto agli altri "Essais" solo pochi anni prima della sua repentina scomparsa, nel 1592, il filosofo saggia l'inanità dei grandi racconti filosofici su Dio, il mondo, l'uomo, la politica - racconti che non solo non hanno evitato le guerre fratricide e insensate, ma spesso le hanno addirittura provocate - e si rivolge a ciò che davvero siamo in grado di sperimentare: l'io, il "moi".
Appare qui, per la prima volta tradotto in italiano, il testo principale del filosofo tedesco Dietrich von Hildebrand (Firenze 1889 - New York 1977) sull'essenza dell'amore. Il tema è tratto a partire dall'esperienza, nell'intento di gettare luce sui caratteri dell'amore come risposta ai valori dell'amato, come dono di sé, come massima fonte di felicità, come atteggiamento spontaneo e nello stesso tempo libero, come atto affettivo ma spirituale, come vertice della moralità. L'autore è considerato uno dei padri della fenomenologia realista, corrente della filosofia contemporanea che si riconosce nelle prime opere di Husserl, e alla quale possono essere ricondotti autori come Max Scheler, Edith Stein, Adolf Reinach, Alexander Pfänder.
Questo scritto inaugura una nuova fase della ricerca religiosa di Feuerbach, che ora riconsidera la posizione del cristianesimo all'interno del più vasto orizzonte delle religioni primitive e dell'antichità classica. Esso costituisce allo stesso tempo un importante documento della critica della religione in genere, in quanto individua la radice della religione nel sentimento di dipendenza dalla natura, ovvero da tutto ciò che circonda e limita l'uomo. Questo sentimento di dipendenza o di "finitudine" è visto anche come il nucleo di verità ineliminabile della religione.
Pubblicato nel 1846 questo scritto inaugura una nuova fase della ricerca religiosa di Feuerbach, che ora riconsidera la posizione del cristianesimo all'interno del più vasto orizzonte delle religioni primitive e dell'antichità classica. Esso costituisce allo stesso tempo un importante documento della critica della religione in genere, in quanto individua la radice della religione nel sentimento di dipendenza dalla natura, ovvero da tutto ciò che circonda e limita l'uomo. Questo sentimento di dipendenza o di "finitudine" è visto anche come il nucleo di verità ineliminabile della religione.
Pubblicata nel 1927, "Essere e tempo" è un'opera che ha esercitato grande influenza sulla filosofia del Novecento. Heidegger non ha voluto elaborare un vero e proprio sistema concettuale ma piuttosto affrontare con radicalità le questioni originarie della tradizione filosofica occidentale attraverso gli strumenti dell'indagine fenomenologica. Il volume, con testo tedesco a fronte, è stato tradotto da Alfredo Marini: oltre all'introduzione e a una cronologia, Marini firma un saggio linguistico e un glossario dei termini-chiave e delle loro ascendenze etimologiche.
Pubblicato nel 1927, Essere e tempo è una delle opere più importanti per la filosofia non solo di Heidegger ma di tutto il novecento. in queste pagine il filosofo tedesco analizza il problema metafisico per eccellenza, il “problema dell’essere”, la questione che, da Platone in poi, ha occupato il posto d’onore nelle riflessioni dei maggiori pensatori occidentali. Questa traduzione offre al vasto pubblico dell’editoria paperback, soprattutto agli studenti, la possibilità di leggere direttamente un testo così importante, nel pieno rispetto della letteralità del testo e dell’originalità della sua sostanza linguistica.
Testo complesso e radicale, Essere e tempo (1927) non è solo il libro cui si deve principalmente la fama di Martin Heidegger, maestro dell'esistenzialismo, ma è soprattutto una delle opere più importanti della filosofia del Novecento: si propone infatti una reimpostazione di tutta la ricerca filosofica, dalla nascita stessa della filosofia fino al tempo presente. Poiché la domanda sull'essere è tipica dell'uomo e solo l'uomo se la pone, si tratta per Heidegger di analizzare in primo luogo l'"esserci" dell'uomo, con l'effetto di approdare a una riconcettualizzazione dell'intero lessico ereditato dalla tradizione filosofica, da Platone a Hegel.
Questo caposaldo, rimasto enigmaticamente incompiuto, è il testo che più di ogni altro ha influenzato la cultura filosofica del Novecento. Fin dal suo primo apparire nel 1927 e poi, a ondate successive nel 1946, negli anni Sessanta, il fascino e l'influenza esercitati da quest'opera hanno alimentato la riflessione e le polemiche di quanti si sono occupati di Heidegger. Tutto ciò che è accaduto dopo nella cultura occidentale è in qualche modo il risultato dell'esplosione filosofica determinata da questo libro.
Questo testo degli anni Cinquanta è l'unica trattazione sistematica dell'ontologia mai scritta da Ricoeur. Attraverso Platone e Aristotele, affrontando di petto alcuni dei maggiori problemi della tradizione speculativa occidentale, il filosofo francese forgia l'apparato concettuale che sarà poi alla base del suo progetto ermeneutico. Il Corso segna così un punto di non ritorno, superato il quale l'indagine ontologica diventa irrimediabilmente frammentaria, difficile, senza centro.