
L’‘apocalisse’ come interpretazione della storia e strumento politico, e la necessità del governo mondiale, furono le istanze di Tommaso Campanella.
La vocazione filosofica gli aprì la strada alla riflessione politica, che gli costò la carcerazione più che ventennale, per un preteso disegno di congiura anti-spagnola, fino alla riconquistata libertà, prima nel seguito infido di papa Urbano VIII, e poi nella Francia di Richelieu. Mentre la storiografia ha nei suoi confronti enormi meriti: pazienti edizioni di opere, decisive scoperte di inediti, illustrazione puntuale di documenti, precisazione di fonti. Nel dibattito interpretativo predomina l’accusa di ‘ambiguità’ che ritiene inconciliabili il Campanella machiavellico ‘ateo devoto’, e il cattolico medievalizzante; il cospiratore e il cortigiano.
In questo profilo biografico l’autore individua un filo conduttore nell’insofferenza verso il disordine del mondo, inteso come falsità, sperequazione, spreco, carestia, malattia, conflitto, e il programma di porvi rimedio una volta per tutte, attraverso un governo universale, risposta politica a quella prima globalizzazione, che parve essere a fine Cinquecento un mondo più unito da navigazione, economia e diffusione della fede cristiana, ma pieno di ingiustizia.
Campanella individuò nel cristianesimo e nella Chiesa cattolica, l’ideologia e la guida di questa trasformazione; mentre l’allarme per l’imminente apocalisse, suonato da calamità naturali e segni celesti, avrebbe dovuto persuadere dell’urgenza della trasformazione, dettarne i ritmi emergenziali, imporne le misure straordinarie: un linguaggio che in fondo ci è oggi piuttosto familiare.
Per la prima volta tradotta dal cinese in lingua occidentale, Dieci capitoli di un uomo strano (Pechino 1608) fu l’opera ricciana di maggior successo. Essa costituisce, insieme a Vero significato del Signore del Cielo (Pechino 1603), un documento prezioso per l’analisi dei temi e dei problemi affrontati nel primo confronto tra civiltà cristiana europea e mondo cinese.
In vari luoghi Ricci presenta questa opera di «etica naturale» con il titolo di Paradossi; in essa espone agli interlocutori confuciani dottrine di filosofia morale sul tempo, sul mondo, la morte, il silenzio, la divinazione, la ricchezza, che inizialmente reputava per essi ignote e paradossali. E giustamente individua nella filosofia stoica dei classici latini, universalizzante ed eclettica, lo strumento privilegiato della comunicazione con i letterati cinesi. Non poteva tuttavia esporre Seneca e Orazio, Cicerone, Epitteto e Marco Aurelio nell’integrale originalità delle loro dottrine, incompatibili, su questioni fondamentali, con il cristianesimo. Egli dunque li presenta in un grandioso apparato di centinaia di criptocitazioni, costretti nelle tesi della dottrina cristiana che finisce per frapporsi come schermo tra due visioni del mondo singolarmente coincidenti. Tale convergenza riesce tuttavia a rendersi visibile, ed è per questo probabilmente che nel titolo originale cinese la paradossalità, la «stranezza» – che è anche straordinarietà – non è più attribuita alle tesi, ma all’uomo che le espone.
Se la «via stretta» che Ricci percorre non è esente da difficoltà e contraddizioni, essa costituisce un oggetto privilegiato di riflessione per chi, oggi, voglia sinceramente esaminare le possibilità di comunicazione del cristianesimo con culture complesse, quali quella cinese.
Un testo che i letterati cinesi del tempo consideravano persino di troppo avvincente lettura, una traduzione chiara ed efficace, un ampio commentario che porta alla luce centinaia di testi classici delle principali tradizioni a confronto, permettono al lettore di formarsi un’idea fondata della grandezza e delle difficoltà che segnarono il primo incontro tra Europa e Cina.
«Non si deve credere, erroneamente, di possedere ancora gli anni trascorsi. Il Ministro del Personale Li mi chiese l’età. Allora stavo per compiere cinquant’anni e dunque gli risposi: – Non ho più cinquant’anni.
Il ministro replicò: – Intende dire che la Sua rispettabile religione considera l’“avere” simile al “non avere”?
Dissi: – No. Siccome gli anni sono già trascorsi e non so dove si trovino adesso, non oserei dire di averli ancora.
Visto che il ministro era perplesso per la mia risposta, continuai: – Ad esempio, se una persona ha cinquanta Hu di riso e cinquanta Yi d’oro e li conserva nel suo deposito, avendo la possibilità di prenderli in qualsiasi momento e di usarli come vuole, può dire di averli. Se il deposito è già vuoto, come si potrebbe credere di possederli ancora? Sommandosi, i mesi compongono l’anno e i giorni compongono il mese. Mentre trascorro un giorno in questo mondo, una volta tramontato il sole, sia l’anno sia il mese sia la mia vita hanno un giorno in meno. La stessa cosa accade quando arrivano l’ultimo giorno del mese e l’inverno dell’anno. Per questo ho detto di non aver più i giorni e gli anni. Col crescere dell’età, giorno per giorno, diminuisce la vita: gli anni sono già trascorsi. Ora, tra il dire di averli e il dire di non averli più, in che cosa consisterebbe l’errore?
Avendo compreso la mia prima risposta, molto soddisfatto il ministro disse: – Ha ragione: se gli anni sono trascorsi, naturalmente non si può dire di averli ancora» (M. R.).
Il testo qui pubblicato, noto anche come i Commentari della Cina, è il resoconto dell’avventurosa penetrazione, fra il 1582 e il 1610, della prima missione cristiana in Cina che abbia lasciato traccia durevole. Esso fu scritto da Matteo Ricci (Macerata 1552-Pechino 1610), il principale artefice dell’impresa, nell’ultimo scorcio della sua vita, e completato da Nicholas Trigault con alcune informazioni tratte da appunti ricciani e con la narrazione della morte dell’autore e delle trattative per la sua sepoltura in terra cinese.
Il primo libro contiene una descrizione sistematica e dettagliata della vita, usi, abitudini e istituzioni della Cina dell’epoca, tanto da rendere l’opera per secoli la fonte principale attraverso cui l’Europa ha attinto notizie su quell’impero. Nei libri successivi si ha quindi la narrazione dell’impresa, con le sue fasi per lungo tempo alterne e il coronamento con l’ingresso e la fondazione di una missione a Pechino. Si vede bene quanti pochi mezzi materiali i missionari abbiano avuto a disposizione, ma anche lo spiegamento di forze intellettuali e culturali, l’acume diplomatico, e spesso l’astuzia, con cui essi supplirono a tale mancanza. Al di là degli espedienti più noti – l’apprendimento tempestivo del cinese, il travestimento da bonzi, poi da letterati confuciani –, i gesuiti mirarono in primo luogo a mostrare l’ampiezza e la profondità dei risultati raggiunti dalla cultura in Occidente. Lasciando inizialmente a margine la dottrina, Matteo Ricci – reduce dalla più avanzata formazione scientifica che un uomo della seconda metà del ’500 potesse avere – si curò principalmente della traduzione in cinese dei libri di Euclide, della stesura di opere a carattere morale-filosofico, della costruzione di strumenti per la misurazione terrestre e astronomica, dell’edizione di mappamondi, dell’introduzione di nuovi criteri calendaristici; soprattutto della costruzione di orologi – perizia grazie alla quale, innanzi tutto, furono accettati alla corte di Pechino. Dall’altro lato, egli approfondì la conoscenza dei maggiori classici cinesi e delle diverse “religioni” diffuse nel territorio, per potersi confrontare ad armi pari su qualsiasi questione gli venisse posta. Il suo atteggiamento aperto e sensibile ai problemi della comunicazione con una cultura totalmente “altra” può essere una delle cause per cui, almeno fino all’inizio del ’900, il nome di Ricci è stato singolarmente dimenticato e la sua opera ascritta senza troppi scrupoli a Nicholas Trigault, che peraltro l’aveva resa disponibile in una propria versione latina.
Il testo, oltre alla sua efficacia narrativa, alla forza dello stile che unisce in modo sorprendente la concreta secchezza del giudizio con la vastità della prospettiva culturale, e lo iscrive a pieno titolo nella tradizione di classici come Erodoto, Tacito o Tito Livio, è soprattutto il resoconto dell’impatto fra due tradizioni millenarie il cui esito è ancora tutto da interpretare e i cui insegnamenti potrebbero costituire una guida preziosa nel crescente disorientamento determinato dalle odierne figure dell’estraneità.
La vita di Matteo Ricci, il gesuita che diffuse in Gina il messaggio cristiano e la cultura dell'Occidente, ha dello straordinario: astronomo e teologo, studente di diritto e matematico, missionario e diplomatico, scienziato e sinologo. Inviato in Cina nel 1582, Ricci approda a Macao, allora possedimento portoghese sulle coste meridionali della Gina, il 7 agosto dello stesso anno. Qui inizia lo studio appassionato della lingua cinese, assistito anche da una straordinaria memoria. L'anno successivo fonda la prima residenza missionaria a Sciaochin, per poi trasferirsi a Sciaoceu nell'agosto 1589. Qui fonda la seconda residenza e rimane gravemente lesionato a un piede in seguito all'aggressione di un ladro. La sua immersione nella cultura cinese è totale: veste alla maniera dei letterati cinesi, con abiti di seta, e abbandona gli abiti tipici dei bonzi, poco apprezzati dal popolo. Si sposta in portantina, come usavano fare i personaggi più colti della città, e si fa crescere la barba e i capelli. Ecco come inizia una storia incredibile che questa edizione restituisce nella sua genuinità grazie alla viva voce del protagonista.
Figura che qualcuno ha definito il "san Paolo" di don Giussani (ossia, colui che ha fatto uscire dall'Italia, per portarla nel mondo, l'idea e l'avventura di Comunione e Liberazione), don Francesco Ricci è figura di pastore dalle mille prospettive e dai mille volti di evangelizzatore. Amico di Giussani, ha sviluppato con energia le potenzialità del Movimento da lui fondato con una forza divulgatrice che ha superato i nostri confini, spingendosi fino ai Paesi dell'Est (quando ancora esisteva il muro di Berlino) e al Sudamerica. Uomo davvero "per tutte le stagioni", Ricci ha lasciato come eredità anche una ricchezza culturale che questa raccolta di omelie riconsegna in tutta la sua freschezza e capacità di profezia. Amico fraterno di Karol Wojtyla, incontrò anche il Bergoglio vescovo in Argentina: papa Francesco stesso, in un'udienza, ha confessato di aver conosciuto don Luigi Giussani e il Movimento attraverso il dono di un suo libro da parte di don Francesco Ricci. Di lui monsignor Castellucci testimonia, nella Prefazione a questo volume: «Don Francesco, "il primo e più grande compagno di cammino", come lo definì don Giussani all'indomani della sua morte, il 30 maggio 1991, era così: un uomo che travalicava i confini, detestava la piccolezza d'animo e di orizzonti». Introduzione di Erio Castellucci. Postfazione di Livio Corazza.
In queste pagine evocative e appassionate, Carla Ricci ricerca nei testi apocrifi del Nuovo Testamento le tracce di Maria di Magdala, ritrovando una «memoria di lei», una «memoria del cuore», una Maddalena amata di Gesù e prediletta «donna di luce», proprio per questo osteggiata e cancellata dalla tradizione. La ricerca di Carla Ricci nella letteratura «dell'altrove», una letteratura di comunità dedite a conservare «memorie altre», nello specifico di Maria Maddalena, propone tre linee di trasmissione femminile, sottese ai testi, su Gesù e le donne: la memoria dei racconti della passione e risurrezione; dei dialoghi legati agli insegnamenti riservati a Miriam; e delle seguaci di Cristo. Attraverso i testi apocrifi ritrovati nei secoli scorsi si rivela una verità «altra» in cui l'Autrice scopre le tracce di una memoria di Maria Maddalena, amata «donna di luce» di Gesù, non a caso avversata e rimossa. Non manca un contributo al tentativo di ricostruire i modi, i perché e i quando della trasmissione e della cancellazione della memoria. Con il testo integrale del Vangelo di Maria e, per la prima volta in Italia, la riproduzione delle pagine del papiro del Vangelo di Maria.
Angelo Roncalli, prima di diventare papa fu nunzio apostolico e patriarca di Venezia e diede un forte impulso al dialogo della Chiesa con le altre religioni. Questo testo di grande attualità aiuta a capire le scelte che papa Francesco sta compiendo nel campo dei rapporti internazionali e nel rapporto con le altre culture. Roncalli, infatti, disegnò sin dal periodo in cui fu nunzio a Istanbul, modelli di relazioni internazionali e interreligiose che hanno segnato non solo il suo pontificato e il Concilio, ma anche gli orientamenti attuali.
Paolo Ricca in queste pagine tratteggia il protestantesimo come una mentalità, una cultura, un principio critico nella modalità che gli è più congeniale, con grandi pennellate e sempre sottolineando l'aspetto dialettico, la molteplicità delle prospettive possibili. Tutto ciò però sarebbe astratto, secondo l'autore, se non è visto in relazione a una concreta e viva chiesa protestante, che non costituisce l'unica espressione del cristianesimo, ma che testimonia Gesù in termini semplici e chiari, in una comunità articolata, non gerarchica. In questo senso, il libro costituisce anche un invito a conoscere da vicino e dall'interno questa forma di cristianesimo che ha plasmato e arricchito la fede di Ricca nel suo lungo ministerio.
Dalla presentazione: “Questo è un umile omaggio alla figura di Mons. Ennio Francia, Canonico di San Pietro, promotore e animatore dal 1940 al 1995 di un vasto movimento di artisti romani e italiani, frequentatori della “Messa degli Artisti” da lui iniziata a celebrare ogni anno dal 1940. Nei suoi assidui incontri fu preziosa guida spirituale di innumerevoli scultori, pittori, musicisti e attori che divennero suoi amici. Favorì l’avvicinamento del Vaticano all’Arte Moderna e Contemporanea e alimentò un fermento artistico che fu stimolo vitale di nuove creazioni nel mondo dell’arte”...
Le 16 opere sono degli artisti: Enzo Carnebianca, Georges de Canino, Albert Friscia, Aldo Gentilini, Lorenzo (Micheli) Gigotti, Emilio Greco, János Hajnal, Giuseppe Mazzullo, Sante Monachesi, Carlo Quattrucci, Sergio Selva, Gino Severini, Ikuyo Toba, Riccardo Tommasi Ferroni, Saverio Ungheri, Raoul Vistoli
AUTORI
Mons. Dario Rezza, Canonico di San Pietro in Vaticano, teologo filosofo scrittore e poeta.
Marta Spigarelli, Architetto specializzata in Usi Civici e Demanio Collettivo e in materia di Arte Moderna e Contemporanea
La storia di un prete cubano, di un uomo alla ricerca di un senso. Cresciuto in una famiglia in cui la fede cattolica era il fulcro della vita, ha imparato a lottare per essere fedele a una Chiesa perseguitata e coerente. E quando il Dio che difendeva gli ha chiesto di diventare sacerdote, nell’offrire se stesso ha trovato il significato dei suoi giorni.
Destinatari
Tutti.
Autore
Alberto REYES PÍAS è un sacerdote nato a Camagüey, Cuba, nel 1967, durante gli anni della persecuzione religiosa. Al termine della scuola secondaria ha sentito per la prima volta la chiamata al sacerdozio ma prima di entrare in seminario ha proseguito gli studi per altri tre anni presso la Facoltà di medicina. Ha studiato a Santiago di Cuba, all’Avana e a Roma. Ordinato sacerdote nel 1996, per otto anni è rimasto nella diocesi di Camagüey, poi si è trasferito a Madrid per studiare psicologia. Al suo ritorno, ha lavorato per sei anni a Guáimaro e in seguito due anni a Maisí, nell’estremo est dell’isola. Da settembre 2018 è vicerettore del Seminario San Agustín di Camagüey.
L’autrice ripercorre, anche attraverso numerose testimonianze, l’avventura “pericolosa e spericolata” di Padre Paolino Beltrame Quattrocchi (figlio dei beati Luigi e Maria). Monaco benedettino e poi trappista, fu anche scout, partigiano, parroco, assistente sociale, imprenditore e “manager degli ultimi” e infine “segugio di Dio” sulle tracce della santità.
È con il tocco di un afflato familiare che nasce il libro, frutto di tre studi elaborati da giovani sorelle della Famiglia religiosa fondata dalla beata piemontese Madre Francesca Rubatto (1844-1904). L'interesse è quindi al tempo stesso personale, poiché le coautrici appartengono alla Comunità da lei fondata, ed ecclesiale, orientato al desiderio di fare conoscere una figura così originale e la sua spiritualità. La prima delle quattro parti del volume delinea in modo sintetico la biografia, il contesto storico-spirituale del secondo Ottocento, i fondamenti del carisma e il riferimento all'humus di Assisi, alla spiritualità schiettamente evangelica di frate Francesco. La seconda indaga sulla fraternitas - o forse meglio: la sororitas - rubattiana e sui suoi solidi legami con la Regola del Poverello; la terza si sofferma sulla "missione", cioè sulla necessità di dare risposte adeguate ai bisogni e alle urgenze della società post-industriale italiana; la quarta, infine, approfondisce il testamento della beata Rubatto alla luce dell'epistolario.

