
Profondamente radicato nel suo Galles, intriso di compassione per i poveri che abitano questa terra di confine, Thomas rivela una straordinaria abilità poetica, alla ricerca costante di senso nella creazione e negli eventi, nello sforzo di raggiungere un Dio elusivo e sfuggente, che pure manda messaggi, ma di cui l'eco giunge con molta lentezza. Pochi hanno saputo come lui, mediante l'uso di metafore folgoranti, rinnovare la lingua della poesia religiosa fuori da ogni banalità devozionale, creando un linguaggio in cui dominano il silenzio, il vuoto, l'assenza, la domanda inevasa. Il volume è tradotto e curato da don Domenico Pezzini, già curatore dell'antologia di poesie di Elizabeth Jennings La danza nel cuore delle cose.
Gli scritti che compongono questo libro sono nati in più riprese da riflessioni, stimoli, suggestioni, incontri che, sedimentando, hanno lasciato tracce che l'autrice ha provato a mettere nero su bianco. Ogni pensiero si accompagna ad un albero e alle sue foglie, un po' perché gli alberi e i fiori piacciono molto all'autrice e un po' perché, come per le persone, posando uno sguardo più attento nella "folla" degli alberi si possono distinguere singole piante, ognuna con la sua specificità e, restando in ascolto, si può imparare tanto anche da loro.
Dopo dieci anni dedicati alla narrativa, Paola Mastrocola torna alla poesia con una nuova raccolta di versi, la terza dal 1991. E il «ritorno», dopo la lunga e felice stagione dei romanzi, è sorprendente. Non che manchino segnali, per esempio, di quella curiosità verso i giovani che ha caratterizzato i libri precedenti: vi si ritrova l’attenzione all’adolescenza, al processo di formazione, alla ricerca di una personale «felicità», anche in dissonanza con il mondo circostante. E, qua e là, un rapido apparire, sempre più metaforico, di animali. Tuttavia, ecco il punto, il ventaglio tematico delle poesie risulta assai più ampio: da queste pagine emergono liriche d’amore e di meditazione, di nostalgia e di esortazione, in un dettato attento alla grande lezione di Orazio. Come quando (Tra i propositi dell’anno non nuovo) l’autrice suggerisce a un’amica di ritirarsi in campagna: «Invita a mensa pochi amici, noi. / Sorridi, non ti far del male, / il mondo s’è impigliato fuori».
È l’idea di una vita contemplativa che osi contrapporsi al caotico e molteplice dell’oggi, e imprevedibilmente lo vinca. È la continua, pervasiva e anche un po’ ribelle tentazione a lasciar cadere, stare a guardare, non fare. Un caparbio tenersi in disparte e percorrere «viottoli» anziché autostrade. Meta privilegiata è l’isola, che si fa di volta in volta biblioteca, mare, ufficio, «biro in tasca», «sasso giusto», o anche solo la «posizione di una virgola»: il variegato appartarsi in luoghi dove, per fortuna, non ci sia «partita, pubblico e punteggio».
Questo libro racchiude, in sé, tutta l'essenza di un prezioso contrappunto. È un armonio le cui ance sono pagine che sprigionano tutta la segretezza degli accordi al lume vibrante della Verità. Le sue note sono eterne parole d'amore sussurrate per aprire il cuore, la sua melodia è un corale canto, una luminosa preghiera, per poter riconoscere, nel sole che sorge, il segno di Cristo, luce del mondo. Cristo è Parola vivente del Padre ("Et Verbum caro factum est" Gv 1,14), Vita che ci ricolma di pace e gioia, che "nel rivelarsi illumina" (cfr. Sal 118,130). Il Suo Sguardo radioso penetra nelle nostre notturne ferite, cupe e nascoste, profonde come impenetrabili abissi, e la Sua voce, da lì, invita ora la notte di tenebra a farsi pieno giorno, il lamento a mutare in danza, l'esistenza a divenire un meraviglioso Canto di lode - "Chi offre la lode in sacrificio, costui mi onora" (Sal 49,23) -. È questo un Cantico vigoroso, ai piedi della Croce: "vessillo della libertà immortale nata dal sangue del Cristo", e dal suono poderoso da far risuonare in battaglia per disperdere, sconvolgere e scacciare tutti i nemici dell'anima, gli astuti persecutori, i bellicosi accusatori, gli ostili oppositori, per sciogliere l'adunanza degli aggressori, i legami degli oppressori, i lacci ignominiosi dell'oscura morte e poter così inaugurare e celebrare la liberante Salvezza mediante la mirabile e gloriosa luce del Risorto - "Mia forza e mio canto è il Signore" (Sal 117,14) -.
Il romanzo narra una delicata storia familiare dei nostri giorni, nella Roma di oggi, affascinante e ricca di contrasti e in una società in cui l'apparire e il possedere diventano più importanti dell'essere e in cui la spasmodica corsa verso il successo provoca un'atrofizzazione delle emozioni e dei sentimenti. Gabriele è un giovane manager, il cui incessante lavoro, pur garantendo un notevole benessere alla sua famiglia, finisce per assoggettarlo al punto di fargli rischiare di perdere i suoi affetti più cari e se stesso. Ma un sogno gli rivelerà che la realtà, alla volte, è ben diversa da ciò che vediamo, o meglio, da ciò che vogliamo vedere. Il confronto diretto con suo padre, con cui ormai non parlava da anni, gli consentirà di comprendere come il pregiudizio spesso ci impedisca di vedere oltre l'apparenza e come spesso si sfrutti la rabbia come un nido in cui rifugiarsi e crogiolarsi per giustificare se stessi o quelle situazioni che alle volte non riusciamo a comprendere. L'incontro con il padre metterà tra le mani di Gabriele una perla dal valore inestimabile: la possibilità di poter scegliere il finale da dare alla storia della sua vita.
«Con questo mio lavoro torno al passato, non quello fatto di ricordi ma alla voglia di comunicare nuovamente con ironia. Per esorcizzare la paura di intraprendere questa strada, interrotta da diversi anni, ho fatto leggere alcuni di questi scritti ad amici, per consigli, suggerimenti, che nomino per ringraziarli: Rosetta Tolomelli e Pino Zangoli, da loro mi aspettavo un "lasa andè valà!" "lascia stare!", ovviamente come dire, continua con la tua linea sentimentale, non cambiare strada, ma si sa gli amici sono gli amici ti appoggiano sempre e comunque, quindi ecco finita la raccolta che ho intitolato "Tin bòta" "Resisti", un resisti pensando alla nostra amata lingua madre, il dialetto, sostituita dalla lingua italiana che a sua volta viene affiancata o messa da parte per terminologie di uso comune inglesi, un resisti alle tante avversità della vita che mettono a dura prova, un resisti inoltre a me stessa e a tutte le donne di perseguire tenacemente sempre e comunque le proprie passioni». (Germana Borgini). Nota di lettura di Francesco Gabellini.
Molto è già stato detto su Antonia Pozzi, ragazza "imperdonabile" che, nonostante la sua breve vita, ha lasciato più di trecento poesie, numerose lettere, pagine di diari e circa tremila fotografie, e la cui figura è oggetto di una straordinaria riscoperta di pubblico e di critica. Eppure c'e sempre, quando si parla di lei, l'impressione di qualcosa di incompiuto. Come se la "troppa vita" che le scorreva nel sangue non si sia mai voluta lasciare decifrare fino in fondo. Come se ci fosse sempre troppo da dire e nello stesso tempo un'urgenza di silenzio avesse costantemente percorso lei e le persone che le stavano accanto. Per raccontare questo personaggio complesso, profondo e a tratti enigmatico, che ha attraversato gli anni Trenta con intelligenza e passione, sofferenza e determinazione, Gaia De Pascale ha scelto la via del romanzo. Il libro dà la parola alla stessa Antonia, scavando nell'animo della protagonista e restituendo le persone, i luoghi e le atmosfere di un tempo cruciale sotto ogni punto di vista per la storia del nostro Paese. In bilico tra realtà e finzione, "Come le vene vivono del sangue" usa il verosimile come unico mezzo possibile per accedere al fondo segreto dell'esistenza di Antonia Pozzi, e rende omaggio a una figura femminile che ha saputo attraversare con la stessa profondità tanto la vita quanto la morte.
L'opera di uno delle voci più influenti della poesia catalana contemporanea.
Il volume è l'insieme di una prima raccolta di poesie, già pubblicate, e di testi ancora inediti. Il titolo scioglie ogni dubbio sulla dimensione terrena della parola a cui l'A. si riferisce, ma conserva intatto il nesso tra esperienza individuale e linguaggio e consente di riflettere sul significato della parola come parola poetica. L'A. usa un linguaggio scarno, incurante dell'armamentario teorico ma nobilmente attento al senso che le parole custodiscono e trasportano. Per l'A. la poesia è occasione per stabilire un confronto su tutto ciò che è comune, condivisibile, servendosi dell'individuale. Non ultimo il tema più importante, quello del rapporto con l'assoluto, con la Parola davvero degna di ascolto.
In strutture formali concise ed essenziali, alternando poesie a pagine narrative di intenso lirismo, l'autore contempla e descrive gli aspetti più affascinanti della natura, concependoli come momenti di illuminazione e di penetrazione spirituale.