
Con Red Rover di Susan Stewart, Jaca Book propone una voce della grande poesia statunitense rinascente. La situazione poetica del secondo Novecento registra, in tutto l'Occidente, e in particolare negli USA, una caduta minimalistica: poesia frammentaria, quotidiana, secondaria rispetto alla vita. In America, come in Europa, resistono grandi voci a mantenere il filo di una poesia assoluta e metafisica. Assoluta in quanto capace di una visione universale; metafisica in senso eliotiano, non speculazione astratta, ma al contrario la forza di rendere evidente l'invisibile nel visibile e nel concreto, svelando. I maestri americani del primo Novecento sono tra i principali fondatori di questa linea: Eliot, Pound, Hart Crane. Susan Stewart, nata nel 1952, riprende quella lezione alta e metamorfica, baluginante e cosmica, con una potenza lucida e pregnante: i suoi versi interrogano e mettono a nudo il mondo, similmente ai migliori lirici americani di oggi, Charles Simic e Charles Wright, e attingendo alla tradizione metafisica europea che da Dante Alighieri a John Donne corre a Eliot.
La poesia italiana degli ultimi cinquant'anni circa è una pianta lussureggiante e in gran parte "misteriosa" nel senso che i suoi frutti non sono stati assaggiati dal grande pubblico. Questa antologia è una scelta delle migliori poesie pubblicate dal 1960 a oggi, offerte al lettore con un agile commento.
Pubblicato nel 1923, Il Profeta viene da subito accolto – con grande favore di critica e di pubblico – come un libro di saggezza e, ancora oggi, continua a ispirare milioni di persone in tutto il mondo. In quest’opera allegorica, che schiude al lettore il significato spirituale dell’esistenza, Gibran è stato capace di parlare a intere generazioni attraverso la voce di Almustafà l’eletto, che nel rispondere alle domande dei suoi seguaci esplora i grandi temi della vita: l’amore, l’amicizia, la bellezza, la gioia e il dolore. L’opera di Gibran è qui presentata in una nuova veste, frutto delle ricerche di Dalton Hilu Einhorn che, quando nel 2017 ha ottenuto l’accesso agli archivi Gibran/Haskell, ha ritrovato oltre centocinquanta scritti inediti tra poesie in prosa, aforismi, detti e tre capitoli degli Dei della terra non inclusi nell’edizione definitiva. Un tesoro inaspettato che possiede la stessa scrittura lirica, la stessa forza evocativa e la stessa profondità del grande classico del poeta libanese.
La religiosità ha costituito uno degli aspetti che più intensamente ha segnato la vita di Gabriela Mistral fin dalla sua infanzia. Le poesie qui raccolte sono il frutto della traduzione del volume Poesía Religiosa curato da Pedro Pablo Zegers Blanchet e testimoniano il rapporto con la religione della poetessa cilena - Premio Nobel per la Letteratura 1945 - e il suo rapporto con la figura di Gesù.
Forse mai come in questi ultimi decenni l'umanità è stata chiamata a trasformazioni tanto radicali che sembrano dissolvere strutture mentali e concettuali millenarie. Questo turbine epocale sta in realtà predisponendo l'intera umanità a un vero e proprio salto evolutivo, a una sorta di rinascita. Ecco perché oggi più che mai è indispensabile elaborare un Dizionario della lingua inaudita, per dare un senso nuovo alle parole, sottraendole all'usura crescente e alla loro diffusissima mistificazione. Questa riformulazione non può che essere poetica, frammentaria, aforistica, in quanto il nuovo io, che sta iniziando a parlare in noi la sua lingua inaudita, non è ancora definito, ma cresce lentamente, si forma pensiero dopo pensiero. Il testo presenta più di 220 voci chiave del pensiero di Guzzi: da amore a benedizione, da cambiamento a discernimento, da fake news a globalizzazione, da meditazione a rivoluzione, da salvezza a vocazione.
"'Fine del mondo' si chiude su una data, 1970, e su una prospettiva di altri trent'anni indecisi. In Neruda permane il dubbio intorno alla loro essenza, di "fiori" o di "fuoco", vale a dire se riserveranno all'uomo cose positive o negative. Ancora una volta il poeta non abdica al suo dovere verso l'umanità, al compito di stabilire la nuova tenerezza nel mondo, di affermare la sopravvivenza, su questo crepuscolo del secolo, dell'uomo infinito, e il raggiungimento inevitabile della felicità... Esaltatore dell'"uomo infinito", di ciò che in altra epoca definì "più grande del mare e delle sue isole", il poeta è cosciente che sarebbe un crimine abbandonare a se stessa l'umanità, lasciarla ripiegare su prospettive di morte." (Giuseppe Bellini)
"Autore di un'opera singolare che non cessa di stupire i suoi lettori; personalità eclettica per eccellenza che - come ricorda Fabio Sento nella prefazione a questo volume - "sempre affiancò agli interessi dominanti per la letteratura, la filosofia e le scienze anche passioni più ludiche, come quelle per il biliardo, gli scacchi, la boxe, il judo e il jazz"; raro e prezioso cultore di letterature cosiddette "minori", che inseguì e promosse nel piano dell'importante Enciclopedia da lui inventata e diretta per Gallimard, Raymond Queneau (1903-1976), anche e proprio in virtù di questa sua "atipicità" resta una presenza focale all'interno del secolo da poco concluso." (Carlo Bo)
Questa antologia ripropone in nuova versione "Kubla Khan" di Coleridge e "Tintern Abbey" di Wordsworth, "Ozymandias" di Shelley e "So we'll go no-more a roving" di Byron, accompagnati da composizioni poco note o assolutamente sconosciute. I poeti antologizzati in questi due volumi sono trentadue, per oltre tredicimila versi con testo a fronte, a dimostrazione che i "minori" da quelli di grande nome come Walter Scott e T.L. Peacock, a quelli da riscoprire in toto come Thomas Moore e Felicia Hemans - furono quanto mai vitali. L'opera è corredata da apparati critici e bibliografici.
Ritornare ai greci e al loro patrimonio poetico, cinquant'anni dopo Quasimodo, è stata la scommessa e anche l'azzardo cui si sono accinti ottantasette tra scrittori, poeti, filosofi e artisti di oggi, quasi a voler restituire nel multiforme caleidoscopio delle loro voci un intatto deposito di idee e di forme, di passioni intellettuali e di tensioni espressive, altrimenti irriducibili a un'unica, sebbene sapiente e raffinata intonazione. Dagli Inni Omerici a Saffo, Archiloco, Alceo, Pindaro fino ad Agazia e Romano il Melode; un affresco inedito di dieci secoli di canto che ripropone tutto il fascino dell'ambiguità e frammentarietà del mondo greco, dall'apogeo alla decadenza, in un serrato confronto tra poesia classica e sensibilità e linguaggio moderni.
Vecchie fotografie, volti fra la folla, alberi, nuvole, prati, torrenti, un'ombra sul muro, un ombrello smarrito, un telefono che suona a vuoto. Tutto converge nella poesia "riflessiva" e di ingannevole immediatezza di Wislawa Szymborska, della quale questa raccolta presenta una scelta che spazia nell'arco di cinquant'anni. L'osservatorio della poetessa è situato in un luogo remoto, sul crinale di una montagna dalla quale mette a fuoco non mondi perduti nelle profondità siderali, bensì "i nostri brulichii inarticolati" o il "bordo della nuvoletta bigia sfilacciata e quel rametto, più a sinistra sull'acacia".
Un certo Lord Petre ebbe l’ardire di tagliare surrettiziamente un ricciolo di Lady Arabella Fermor – e il gelo calò fra le due famiglie. Finché un giovane e già celebre poeta ricevette il delicato incarico di scrivere un testo che contribuisse a rasserenare gli animi. Futile occasione, si direbbe: se non che l’artista interpellato era il beffardo e geniale Alexander Pope, «piccolo usignolo» della Chiesa cattolica nell’Inghilterra settecentesca. Così solleticato, Pope compose un poemetto che per inventiva, passionalità ed estro poetico tocca punte di epicità omerica: non per niente lavorava a quel tempo a una memorabile traduzione dell’Iliade. La sua, però, è una guerra in miniatura, incentrata sull’eterna, risibile guerra dei sessi, dove l’infinitesimale, come in un reame gulliveriano – lo ha notato Peter Ackroyd –, giganteggia: «houppettes, nèi, ciprie, bibbie, billets-doux» recita un verso.
Inutile dire che Il ratto del ricciolo riscosse un immediato, immenso successo di pubblico e suscitò inviperite reazioni nella buona società. Ma Pope non era tipo da subire passivamente le rampogne. E per ribattere trovò la soluzione ideale: si sobbarcò alla – per così dire – pars deconstruens, e scrisse un commento che è una chiave di lettura ultratendenziosa della sua stessa opera nonché la satira di ogni pretesa interpretativa. Utilizzando argomenti «coerenti e inconfutabili», stigmatizzò la fobia papista che avvelenava il clima inglese, fustigò pedanti e petulanti – e inventò una nuova forma di autopromozione.