
Tra l'inverno del 1955 e la primavera del 1956 Czeslaw Milosz dà corpo alla sua originale concezione della poesia in una vera e propria sfida letteraria: un poema che, eludendo le cornici di genere e arricchendosi di elementi prosaici o colloquiali, mescolando citazioni eterogenee, imitazioni letterarie, valutazioni critiche ed enunciati filosofici, delinea un vasto affresco storico-culturale del Novecento polacco, tassello imprescindibile della storia europea. Un affresco che si compone di quattro parti, evocative di altrettanti scenari: il mondo della belle époque nella Cracovia di inizio secolo; la vita politica e artistica di Varsavia tra le due guerre, con ampie digressioni sui poeti del tempo; le devastazioni della seconda guerra mondiale e gli orrori dell'occupazione nazista, con la rivendicazione di una poesia capace di giudizio etico; la Natura e in particolare l'ambiente degli Stati Uniti, in cui Milosz, dopo aver contemplato l'abisso in cui sono precipitate le culture europee, individua la dimensione ideale per trovare serenità ed equilibrio, senza peraltro sottrarsi al dovere di condividere con i fratelli polacchi le questioni cruciali del XX secolo. Il "Trattato poetico" ha la forza espressiva di un romanzo storico, l'intonazione nostalgica di un poema sul tempo perduto, il suono straziante di un requiem in morte di un'epoca, l'accento pacato di una meditazione sulla storia, sull'arte, sulla coscienza individuale.
Il senso del mistero, l’incertezza, la negazione di una conoscenza che vada oltre la storia e che sia comprensione della stessa, il dolore, che è figlio dell’oscurità, la necessità di amare, la consapevolezza dell’estrema indigenza del nostro essere e della fragilità che rende ognuno di noi un essere questuante, il continuo avvertire la presenza-assenza di Dio, sono i temi che animano la poesia di Cesare Cellini e che segnano l’evoluzione di un cammino che il poeta compie nell’arco di tredici anni. Nucleo centrale della sua poetica è la Parola. Egli stesso precisa, infatti, che la «parola dell’Uomo» ha «la stessa dignità della “parola di Dio”: ambedue salvano»; e questa parola dell’uomo, in cui si opera il passaggio dal Sacro al Santo, è l’Arte, la cui dimensione diventa cristica in quanto luogo della continua incarnazione del Verbo; diventa diafania, trasparenza incontaminata, cioè, della Parola; diventa «attesa della morte come riconciliazione», come nuovo dies natalis; diventa parola della donazione; assume in sé valore escatologico e prepara la parusia. Scrive Tito Furnari: «Emerso per poco dalla fine del Millennio, egli appartiene ad un’epoca nuova: l’epoca che sarà, così vivamente ci auspichiamo, l’era dello Spirito. […], Ascoltare, con animo disponibile, il suo canto proteso, nella sua solitudine, alla piena melodia del silenzio è entrare, o rientrare, nella speranza».
AUTORE
Sergio Collura laureato in Scienze umane e in Teologia, con specializzazione in dogmatica, già ordinariodi Lettere e docente di Antropologia Culturale (1994 – 2003) e di Filosofia Estetica (2003 – 2013), ha svolto la sua attività didattica e di ricerca fra Roma, Catania e Bruxelles. Promotore culturale, ha dato vita al Movimento Giovani per un Nuovo Umanesimo e, di recente, al Movimento della Pari Dignità e Comune Umanità fra i Popoli. È stato titolare, sotto l’egida del MPI, di vari Progetti Nazionali, quali, ad esempio, Verso il Giubileo 2000: La Parola di Dio e la Parola dell’Uomo, (1997-2000); Humanitas: Un cammino dialogico verso nuove autonomie umane (2001-2004). Curatore degli inediti di A. Fiore e di C. Cellini ha promosso, dal 1986 ad oggi, vari Seminari e Convegni Nazionali di studi. Ricordiamo alcune pubblicazioni: Al di là della ragione (1973), L’esperienza religiosa senza religione (1983), Dio e l’inquietudine metafisica dell’uomo (1988), Deserto e speranza: metafore di narrazione (1991), La necessità di un trapasso (1999), Un Angelo ignorato (2003), L’ironia figurale dell’oltre (2006), Solitudine e Sacro (2010), La vita, palingenesi dell’oltre (2012).
Anna Achmatova (pseudonimo di Anna Gorenko) nasce nel 1889 nei pressi di Odessa. Vive una giovinezza ricca di stimoli culturali (letteratura, teatro, musica), ma segnata dalla sofferenza (due sorelle morte, la separazione dei genitori, la malattia del padre, l’ossessione religiosa della madre); il dolore la accompagnerà per tutta la vita, dando alla sua poesia un tono ora vibrante, duro e rabbioso, ora disilluso e malinconico, intessuto della memoria del passato. Tra i temi a lei più cari sono la religione, nella sua declinazione tipicamente russa (quotidiana, “casalinga”, con gli oggetti ad essa cari come i ceri e le icone), e la grande terra sua e dei suoi avi, la Santa Russia, grandiosa e misera, mistica e brutale. Testo russo a fronte.
Alda Merini è la poetessa più amata del Novecento italiano, perché ha saputo sublimare la sua dolorosa esperienza biografica in poesia pura. Per questa ragione è stata elogiata da importanti critici letterari e insieme adorata da lettrici e lettori.
Una vita, la sua, appassionante e appassionata, drammatica ed eccezionale: il precoce talento e la frequentazione fin da giovanissima dei maggiori intellettuali, la malattia mentale e i ricoveri in manicomio, i due matrimoni e i grandi amori, la celebrità arrivata tardi, il quartiere-mondo dei Navigli a Milano...
In questo libro Emanuela, la figlia maggiore di Alda, per la prima volta ricostruisce la storia della madre, e la racconta nella quotidianità e nella dimensione domestica, con la sua generosità e le sue eccentricità; e nelle vicende letterarie ed editoriali, fatte di anni di silenzio e altri di successo.
Viene fuori un ritratto franco e intenso di una donna, una mamma, un'artista che, pur tra mille momenti bui, non si è mai data per vinta.
Perché un'antologia poetica oggi? L'Italia, paese di poeti, oltre che di santi e navigatori, sembra affetta da una singolare schizofrenia: da una parte ha smesso di leggere la poesia, dall'altra tende a celebrarla come unico certificato di creatività (contiamo due milioni di poeti!). In questo viaggio alla riscoperta dei principali nomi della poesia italiana, da Dante a Zanzotto, passando - ne citiamo solo alcuni - per Petrarca, Ariosto, Tasso, e ancora Leopardi, Saba, fino a Pasolini e Amelia Rosselli, e per alcuni imprescindibili autori stranieri - tra cui Keats, Baudelaire, Rimbaud, ma anche Hikmet e Szymborska -, il critico e saggista Filippo La Porta rivendica il valore dei versi nel mondo contemporaneo. Oggi più che mai l'esperienza del linguaggio poetico, quella del corpo materiale del testo che si apre a innumerevoli orizzonti di senso, è un prezioso antidoto contro l'assuefazione a una comunicazione onnipresente e standardizzata: "equivalente emotivo del pensiero" (Eliot), la poesia risponde al nostro bisogno di un "sapere" degli affetti, di una scienza "esatta" delle relazioni invisibili (e non ovvie) tra le cose.
I Salmi di tutti i miei tempi di Patrice de la Tour du Pin, ora tradotti in italiano da Gianfranco Poma, rappresentano la diuturna, colloquiale ricerca del "Dio della gioia", che l'autore riconosce nel Cristo pasquale. I 90 salmi della raccolta sono un dono di "parola", di rara luminosità e intensità esistenziale, offerto ai suoi "confidenti", uomini e donne del XX secolo. L'autore era consapevole che il proprio battesimo non poteva non intridere la sua intelligenza della verità dell'amore, e che essa non poteva che essere al servizio dell'eucaristia. In tal senso i suoi salmi appaiono come l'inveramento di una sua convinzione, che egli, in una sua corrispondenza, così formulò: "Ogni uomo è una storia sacra". La sua voce offre, per questo, un'inconfondibile prova di intimità e di universalità.
"Gli haiku saettano come smussate freccioline che ci vengono da un mondo simile a quello di Alice, ma dotato di una sottile, intricata coerenza che non è soltanto il rovescio dello specchio delle nostre coerenze. Sono spiragli da cui filtra qualcosa di accecante e insieme di carezzevole, sono cuspidi elastiche di qualcosa che deve restare sommerso, per noi (e forse per tutti), ma che pure sentiamo necessariamente nostro. E allora per capire ripieghiamo almeno - un "principio di essenzialità", sul tema del risparmio verbale che crea alte tensioni aggregatrici, o addirittura sul "fascino del frammento" come su riferimenti che senza dubbio si possono identificare anche nello haiku." (dalla Presentazione di Andrea Zanzotto)
Rivisitando l'intero Novecento italiano alla luce d'una severa coscienza critica, in questo volume Pasquale Maffeo indaga e documenta l'opera di poeti che nel secolo consegnarono esiti e sensi della loro ventura a carte pressappoco tutte lambite o strinate, e talora arroventate, dal fuoco che emana dal nome e dalla presenza di Dio. In quattordici capitoli di ricognizione e dodici di antologia, un'abbondante sessantina di autori - ciascuno con la propria voce, col proprio armamentario fantastico - si stagliano e collocano lungo i decenni in aree di appartenenza o anagrafica o esistenziale a disegnare una geografia di esperienze e percorsi nel fondo omologati dalla medesima tensione di ricerca, avvistamento, incontro e scontro, colloquio con l'Absconditus. In una lettura che nulla ha dato per acquisito, neppure ciò che corre nei bilanci novecenteschi sinora tentati. Esclusioni, annessioni e amputazioni di gloria sono qui ragionate e connotative (pp. 488).
Pasquale Maffeo è nato a Capaccio (Paestum) nel 1933. Poeta narratore e drammaturgo, ha pubblicato una ventina di libri. La produzione in versi è reperibile in sei raccolte; le più recenti sono: Nella rosa del mondo (1997), Dal deserto (1999) e Diciture (2006). In prosa ha dato tre volumi di racconti, quattro romanzi, biografie di Salvator Rosa, Giorgio La Pira e Federigo Tozzi, saggi su nostri scrittori del Novecento. Alcuni dei suoi nove testi teatrali sono stati rappresentati o radiotrasmessi in Italia e in Svizzera. Da segnalare sono altresଠle sue traduzioni dall'area inglese. Collabora alla testata di Avvenire.
L'esilio del poeta è il tema dominante di queste liriche in cui l'Autore già dal titolo imprime, con la sua voce spirituale, una spontanea ricerca dell'Assoluto, nel transito tribolato dei nostri giorni.

