
Supponiamo che tu voglia chiedere un aumento al tuo capo. Prima fermati e rifletti. Poi, prendi il coraggio a due mani e vai nel suo ufficio. Potresti trovarlo alla sua scrivania oppure trovare una sedia vuota. Delle due, l'una: non c'è. Del resto neanche tu sei nel tuo ufficio. Cosa fare? Non scoraggiarti e aspetta il suo ritorno. Ma il tuo capo potrebbe non tornare. Potrebbe essersi intossicato a mensa mangiando uova marce, o aver ingoiato una lisca di pesce, o aver preso il morbillo da una delle figlie. E se anche rientrasse, chi ti dice che sia di buon umore? Che ti sorrida e ti faccia accomodare quando bussi alla sua porta? Che sia questo il momento giusto? Se è venerdì potrebbe esser meglio aspettare il lunedì. Se è mattina tornare il pomeriggio. E se fosse in piena digestione...
Rilassati. Aspetta il giorno dopo e se sarà presente, se sarà disponibile, sforzati di nuovo di convincerlo.
«Dopo avere riflettuto a lungo dopo aver preso il coraggio a due mani ti decidi ad andare dal tuo capoufficio per chiedergli un aumento e così vai dal tuo capoufficio diciamo per semplificare perché bisogna sempre semplificare che si chiama monsieur xavier cioè monsieur o meglio mr x così vai da mr x e qui delle due l'una o mr x è in ufficio o mr x non è in ufficio se mr x fosse in ufficio apparentemente non ci sarebbe nessun problema ma ovviamente mr x non è in ufficio e così ti rimane solo una cosa da fare appostarti nel corridoio in attesa del suo ritorno...»
Poche volte un romanzo ci aveva fatto percepire il mondo con un senso cosí straziante del pericolo, e con un desiderio cosí struggente della vita normale.
E poche volte un intreccio narrativo è stato cosí ben condotto.
Piet Hoffman, nome in codice Paula, è da anni un infiltrato per conto della polizia svedese. Ma Piet è anche un uomo qualunque, che ama sua moglie e accompagna a scuola i due bambini. Per stroncare il traffico di stupefacenti di una mafia dell'Est, è costretto a entrare da criminale in un carcere di massima sicurezza. Ma qualcosa va storto.
A Piet, assolutamente solo, braccato a ogni passo, sembra non essere rimasta scelta. Se vuole proteggere la sua famiglia, deve diventare criminale in tutto e per tutto. Intorno a lui si muovono Ewert Grems, vecchio commissario cocciuto di Stoccolma, poliziotti che si addestrano in America, killer senza frontiera, gangster polacchi all'assalto dell'Occidente, politici spaventati che non esitano di fronte al crimine. Il lato piú oscuro della società alza un muro impenetrabile, davanti a un uomo solo, alla sua paura.
Recita la tua parte, Paula. Recita la tua parte o muori.
Il talento avvelenato di Giorgio sta tutto nello sguardo, in quell'occhio radiografico capace di vedere pure quello che non vorrebbe: alterazioni infinitesimali della materia, incrinature più sottili del capello di un angelo. Le crepe che non vogliono dire niente e quelle che annunciano catastrofi. I difetti delle cose, e forse delle persone.
Che sia l'ala di un aereo o la paratia di una nave, che sia un buco dell'anima o la minuscola perdita di un condotto petrolifero nei ghiacci dell'Alaska, l'esercizio è sempre lo stesso: scoprire, dentro quello che c'è, quello che manca.
Ma tutto traballa quando a essere testate con minuzia da entomologo, senza davvero vederle mai, sono le donne e la vita. Che a un certo punto può riacciuffarti con la sua fragilità irreparabile, con il delicato mistero di un amore, di un dolore, di una sorpresa assoluta.
Giorgio Aguirre ha studiato medicina, come la madre e il padre prima di lui. Ma di fare il medico non se ne parla. Meglio diventare radiologo industriale in un'officina che produce fiancate per elicotteri: «macchine e non uomini, rotture e non fratture». Sì, perché Giorgio ha una specie di occhio assoluto. È in grado di vedere nelle lastre, in quelle zone d'ombra lattiginose, crepe minime che nessun altro percepisce.
Il Rospo, «un tecnico magro e lunare», gli trasmette il mestiere e molto altro. A legarli è un'amicizia trattenuta, virile, burbera e proprio per questo affettuosissima. La forza di quel vecchio brontolone un po' filosofo lo accompagnerà sempre, anche nella sua vita da fuggiasco.
Giorgio infatti parte per il Belgio, dove va a occuparsi del controllo qualità in uno dei centri più all'avanguardia nel campo delle prove non distruttive. Qui incontra Anne-Marie, che profuma «di burro e pandispagna» e gli dà lezioni di guida e di cucina.
Poi si spinge fino in Alaska, dove nuota l'halibut dal ventre bianco e ricurvo come una falce di luna, e dove d'inverno la terra non finisce e il mare non comincia.
Ma il Rospo va a cercarlo per riportarlo a casa, perché dal dolore non si può fuggire sempre, perché occorre anche abbandonarsi all'«infinito ondoso oscillare delle cose». Per scoprirsi alla fine mutati nel profondo.
Alessandro Defilippi ci regala una storia dall'atmosfera sospesa e ipnotica, quasi fantastica, e dei personaggi così veri che pare di conoscerli.
Un romanzo che mette sotto la lente d'ingrandimento le paure più umane, le emozioni più intense, facendole semplicemente pulsare in scene vive dentro il battito del racconto.
Parigi, 1572. Da anni la Francia è sconvolta da una sanguinosa guerra di religione tra cattolici e protestanti. In uno dei conflitti, il giovane Martin ha perso i genitori, barbaramente uccisi, e da allora vive con lo zio, fanatico cattolico, che lo tratta come un servo. Per evadere dalla sua triste esistenza, la notte il ragazzo si aggira sui tetti, assaporando di nascosto quella serenità che vorrebbe tanto conoscere.
Una sera, spiando dalla finestra della ragazza di cui è innamorato, assiste a uno strano spettacolo: due uomini sfogliano furtivamente due libri che uno di loro ha estratto da un nascondiglio nel pavimento. Martin è analfabeta, nonostante lo zio faccia il tipografo, ma sa che quello che ha visto è pericoloso. In un’epoca dominata dal fanatismo e che sembra aver bandito la tolleranza e il buon senso, possedere il libro sbagliato equivale a una condanna a morte.
Quando il 23 agosto, nella notte di san Bartolomeo, a un rintocco convenuto delle campane in tutta la città si scatena l’odio dei cattolici contro gli ugonotti, il sangue di migliaia di persone, uomini donne e bambini, scorre letteralmente per le strade. Sconvolto, Martin si rifiuta di unirsi all’ordalia di violenza in cui lo zio vorrebbe trascinarlo, e decide di rischiare la vita per mettere in salvo quei libri. Quei libri che, tra avventure, amori e pericoli, lo guideranno come un faro fuori dalle tenebre.
Eskandar ha solo sei anni quando si arrampica per la prima volta sulla montagna, proibita come molte altre cose nel suo villaggio senza nome. Proibita perché al di là di quella vetta ci sono i kafar, gli infedeli, strani esseri dalla pelle bianca e senza barba.
«Gli spiriti malvagi che vivono tra le rocce, la prossima volta ti divoreranno», urla il mullah. E il mullah sa bene come incutere paura. Anche il capo del villaggio senza nome, che è tanto curvo che senza bastone cadrebbe in avanti, lo ammonisce: «Lo sai che Dio non ama i bugiardi e li punisce».
“Ma non c’è più alcuna punizione che Dio possa ancora infliggerci”, pensa Eskandar, guardando il letto del fiume secco da tanto, troppo tempo. E allora indica la montagna con il braccio disteso, e si gode l’istante in cui tutti gli occhi seguono il suo dito. «È vero», dice poi, «giuro sulla mia vita che sono stato lì!»
Allora tutti fanno silenzio. «Lascia che il ragazzo racconti», dicono. È vero che vivono in un villaggio senza donne? È vero che i loro capelli sono gialli?
«Gli stranieri hanno parole diverse dalle nostre», riprende Eskandar. «E scorte così abbondanti che persino ai cani danno da mangiare la carne. Non coltivano i campi, non si occupano degli animali, per tutto il giorno non fanno altro che scavare buchi nella terra.» Solo quando tutti smettono di ridere, risponde alla domanda più importante. «Sì, hanno l’acqua», dice. «Così tanta che addirittura ci si lavano i piedi.»
Da quel giorno, Eskandar tornerà molte volte sulla montagna proibita. Fino a quando uno degli stranieri non lo accoglierà, e farà di tutto affinché il ragazzo possa avere una nuova speranza.
Dalla corte del Khan all’occupazione britannica e russa, dal regime dello Shah Pahlewi alla rivoluzione khomeinista, nell’indimenticabile racconto di Siba Shakib la lunga vita di Eskandar diventa l’odissea di tutto un Paese.
Ossessionato dall’eterno conflitto tra il Bene e il Male – che ritiene fisicamente presenti nel mondo – e dalla paura del fallimento della sua missione, l’abate Donissan è un uomo tutt’altro che sereno: un povero prete di campagna, un vicario di modesta cultura, all’apparenza goffo e persino ridicolo, ma toccato dalla Grazia di Dio che opera in maniera imperscrutabile Quando incontra Mouchette Marothy, giovane prostituta divenuta un’assassina, decide di redimerla, senza tenere conto delle difficoltà che gli si parano davanti, fedele solo alla sua ricerca del Bene supremo.
Destinatari
Un romanzo destinato al grande pubblico.
L’autore
Georges Bernanos (1888 – 1948) è uno dei più celebri autori della letteratura francese del Novecento. Personaggio e romanziere di difficile definizione – tanto da rendere complesso inquadrarlo in un preciso contesto letterario – , fervente cattolico, ha posto al centro della sua opera l’antagonismo tra il Bene e il Male. Sotto il sole di Satana (1926) è il suo primo romanzo, al quale hanno fatto seguito, tra gli altri, Diario di un curato di campagna (1936) e Monsieur Ouine (1943).
Giappone, anni trenta: è tempo di attentati e complotti da parte di gruppi estremisti. In questo contesto ritroviamo Honda Shigekuni, già protagonista di Neve di primavera, nel secondo episodio della tetralogia di Mishima, Il mare della fertilità. È ora giudice della Corte di appello di Osaka, ha compiuto trentotto anni, da dieci anni è sposato con la mite Rie, da cui non ha avuto figli, e conduce una vita tranquilla e abitudinaria. Un giorno però, presenziando a un torneo di kendo, fa la conoscenza di Isao Iinuma, per Honda la reincarnazione dell’aristocratico compagno di scuola Kiyoaki Matsugae, la cui morte aveva segnato per lui la fine della giovinezza. Isao è il figlio di Shigeyuki Iinuma, il vecchio precettore di Kiyoaki e ora presidente di un’associazione patriottica della destra. Isao, a soli diciannove anni, è un campione di kendo, un atleta che sprigiona energia e coraggio virili ma anche un ragazzo ancora puro e ingenuo. Nonostante il turbamento e la nostalgia, Honda è felice di aver ritrovato l’amico la cui vita è avvinghiata alla sua come un rampicante all’albero e sente di doversi prendere cura del giovane. Isao però, cresciuto nel rispetto del codice dei samurai, cova il mito dell’intransigenza verso il potere ingiusto e corrotto, che giustifica la rivolta, e insieme il culto della bella morte. Sarà Honda a cercare di salvarlo.
C’era una volta il favoloso mondo di Lossiniere, un paese dove non suonano i telefoni e si viaggia in carrozza. Napoli, invece, è un inferno vero di traffico e spazzatura. Uno scrittore, appena arrivato da Roma, scopre che l’evento a cui doveva partecipare è stato annullato all’ultimo minuto. Il viaggio, in apparenza inutile, gli fa conoscere una enigmatica maestra e lo porta all’incontro fortuito con un manoscritto ambientato nel paese di Lossiniere, Il libro di Clara e Riki, e con il mistero della sua autrice: una bambina di otto anni. Nel Libro regnano la calma interiore, la concentrazione imperturbabile, la forza d’animo necessaria a essere nient’altro che se stessi. Bambini simili a dèi, Clara e Riki sembrano conoscere il segreto della gioia perpetua. Il sovrano istinto dell’attimo libera infatti la loro esistenza dall’obbligo di significare qualcosa agli occhi del prossimo. Ma qual è il potere di queste pagine capaci di riscuotere il protagonista dal torpore e dalla rassegnazione in cui era sprofondato? E chi è la bambina che le ha scritte, come fosse un oracolo in miniatura, un maestro zen di otto anni? Emanuele Trevi conferma in queste pagine la sua capacità di fondere le seduzioni del racconto con l’indagine appassionata e imprevedibile sulle meraviglie e i terrori dell’infanzia, e sulle radici più profonde dell’arte e della creatività. Un romanzo dal coraggio sfrontato, capace di avvolgerci in una spirale che, complice una prosa perfetta, porta dritti dritti al nucleo del nostro vivere.
Tonino Guerra sente la vita da novant’anni. E nel sentirla l’ha immaginata oltre ogni umana comprensione. L’ha resa eterea, la vita, con quel diluvio di fantasia e parole che la pazienza, la dedizione e il metodo gli fanno profondere ogni giorno nell’arte. La sua arte è il suo sentire. Le storie, i versi e i segni non sono che le differenti forme che assumono i suoi sensi sensibili. Questo libro è il viaggio che per la prima volta, e in forma sistematica, Tonino Guerra compie all’interno di questa molteplicità, un’enciclopedia del fantastico entro cui rifugiarsi per ritrovare la nostra sensibilità, la nostra fantasia, la nostra vita. Dice Tonino: “Se uno siede in un posto dove sedeva un altro finisce per sentirsi in qualche modo quell’altro.” Allo stesso modo leggendo questo libro, anche solo una pagina o per intero, tutto d’un fiato, potremo sperare di trasformarci in poeti, e se non tali, uomini dalle vite sensibili. Questo dicono pure alcuni amici di ieri e di oggi di Tonino, la cui testimonianza abbiamo voluto condividere insieme alle parole del poeta: Pedro Almodóvar, Theo Angelopoulos, Bernardo e Clare Bertolucci, Carlo Bo, Italo Calvino, Gianfranco Contini, Gerardo Filiberto Dasi, Enrica Fico Antonioni, Dario Fo e Franca Rame, Natalia Ginzburg, Andrea Guerra, Elsa Morante, Ennio Morricone, Giovanni Nadiani, Renzo Piano, Nicola Piovani, Juan Piqueras, Giuseppe Prezzolini, Francesco Rosi, Roberto Roversi, Luis Sepúlveda, Vittorio Sgarbi, Alberto Sughi, Ersilio Tonini, Umberto Veronesi, Wim e Donata Wenders.
«Si sforzava, suo malgrado, di immaginare quella coppia di stranieri eleganti, sbucata Dio solo sa da dove nello studio di un modesto medico di quartiere. Pardon aveva capito subito che quei due non appartenevano al suo mondo, né a quello di Maigret o della gente che, come loro, abitava attorno a rue Picpus.
«Capitava spesso, al commissario, di imbattersi in personaggi di quel tipo, che a Londra, New York o Roma si sentono come a casa propria, prendono l’aereo come gli altri prendono il métro, scendono in alberghi di lusso e, a qualunque latitudine, ritrovano le loro abitudini e i loro amici.
«È una sorta di massoneria internazionale, e non solo del denaro, bensì di un certo stile di vita, di certi atteggiamenti, e anche di una certa morale, diversa da quella del comune mortale.
«Con loro Maigret non si sentiva mai del tutto a proprio agio, e a stento reprimeva un’irritazione che si sarebbe potuto scambiare per invidia».
Adrian Weynfeldt è l'ultimo rampollo di una ricca famiglia di industriali da cui ha ereditato beni, proprietà, quadri e mobili antichi, nonché il bellissimo appartamento in cui vive. Cinquantenne, scapolo e senza figli, collezionista ed esperto d'arte, ricco, elegante e prigioniero delle sue stesse buone maniere, Adrian conduce nel lusso una vita tranquilla e regolare, scandita da impegni lavorativi (lavora per una celebre casa d'aste internazionale, fornisce consulenze e stime su opere d'arte, e ha la fama di essere un grande esperto in materia) e momenti sociali, anche quelli all'insegna della ripetitività: il sabato sera incontra al ristorante gli amici "vecchi", della generazione dei suoi genitori, il giovedì a colazione l'altro gruppo di amici, i "giovani", nei confronti dei quali ha un atteggiamento paterno e protettivo. Amici della sua età non ne ha. Amici veri apparentemente neanche, visto che è circondato da persone che approfittano di lui in maniera abbastanza spudorata, facendosi finanziare progetti cinematografici, vernissage, viaggi in Polinesia. Una sera in un bar incontra la misteriosa Lorena, con la quale inizia una strana relazione: lei approfitta di lui e non solo economicamente, mentre Adrian non sa neanche il cognome di Lorena, né il suo numero di telefono né dove abiti e vive nell'attesa delle sue telefonate e dei loro incontri. Ma il vero protagonista del romanzo è un quadro di Félix Vallotton: "La Salamandre".
Isole, ponti, palazzi, infinite pagine di carta, otto milioni di abitanti più tutti gli eroi delle sue storie: la materia di New York è il granito e l’immaginazione.
«La prima guglia sparata in cielo, il primo marciapiede gremito, il colore della pelle del primo incontro. Il primo odore inatteso, che per qualcuno è di oceano, o di carne arrostita, o di zucchero a velo, o di ruggine e foglie marce, anche se quello che sta marcendo è legno, cemento, ferro, mattoni, perché l’intera città sembra attaccata dalla ruggine e dalla muffa. Sono inaspettati anche i colori. Non il bagliore freddo del vetro e dell’acciaio, ma le tonalità pastello del rosso, dell’arancio, del marrone. La sorpresa di sbarcare nel Nuovo Mondo e scoprire una città vecchia: non come sono vecchie quelle europee, che sono vecchie come monumenti, ma vecchia come una fabbrica abbandonata, o una casa di famiglia, o gli edifici ferroviari che si vedono appena fuori dalle stazioni, o i luna park in disuso.» Questo libro è frutto di diversi viaggi a New York. Il risultato è una mappa ottenuta per accumulazione di appunti – piena di buchi, libri che non ho letto, posti che non ho visitato. Del resto, se scrivere una guida sulla città più raccontata al mondo ha un senso, l’unico senso possibile è che sia incompleta, particolare e mia.
Con il DVD del documentario Il lato sbagliato del ponte (2005)
Indice
Prologo. Ritorno a Gotham - 1. Chiamatemi Ismaele (Brooklyn Heights + Dumbo) - 2. Kaddish per un sogno (Lower East Side) - 3. Dove vanno le anatre di Central Park d’inverno? (Midtown Manhattan) - 4. In cerca di un jukebox all’idrogeno (Greenwich Village + East Village) - 5. Il lato sbagliato del ponte (Park Slope) - 6. Musica nella città di Dio (Williamsburg) - 7. Brooklyn senza madre (Red Hook + Carroll Gardens) - 8. Molto forte, incredibilmente vicino (Coney Island) - Bibliografia