
L’incipit del romanzo presenta un uomo – il vecchio, che non è tale anagraficamente, come verremo a sapere – nell’atto di riflettere, in piedi davanti a un secrétaire. Evoca la situazione in cui nasce il romanzo: c’è infatti uno scrittore che deve scrivere un libro, Fiasco, che leggeremo mentre prende forma sui fogli nella macchina da scrivere. La prima parte dell’opera racconta gli sforzi immani per iniziare: chiuso in un minuscolo appartamento di un quartiere popolare di una città che potrebbe essere Budapest, il vecchio fissa la sua attenzione su ogni oggetto, descritto con minuzia, per penetrare il dettaglio più nascosto ma anche per scardinare la tecnica della rappresentazione realistica. Ma ogni tentativo di descrizione sfocia in un fiasco. Il fiasco è sempre in agguato, nei rapporti con le cose e con gli uomini.
Il romanzo contenuto nel romanzo inizia con un viaggio, anzi con un arrivo. Köves (che chiaramente richiama il personaggio di Essere senza destino) ha lasciato Budapest e sta per giungere in una città che non conosce. Le autorità gli consegnano un documento che rappresenta un’identità provvisoria di cui Köves si appropria quasi inavvertitamente, giorno dopo giorno, con la complicità degli altri. Entra in confidenza con tutti e contempla da vicino il loro fallimento. In una città dominata dal terrore e dalla paura di essere deportati (è chiara l’allusione al regime di Rákosi, che ha segnato un’epoca di vero terrore stalinista nella storia dell’Ungheria tra il 1948 e il 1953), incontra i residui di un’umanità che aveva avuto dei sogni, delle aspirazioni e che, adesso, deve accettare il grigiore di una realtà oppressiva in cui nessuno può realizzarsi. Köves cerca invece il suo successo: nell’amicizia, nell’amore, nel lavoro ma giunge immediato il disinganno e il fallimento. Così è anche per il vecchio che riappare, nell’ultimo capitolo, a chiudere la "storia nella storia" del romanzo.
Due romanzi brevi – o racconti lunghi, che dir si voglia – che mettono in risalto la vena fantastica e corrosiva di Michail Bulgakov. In queste opere di "scienza fantastica", più che di fantascienza in senso tradizionale, Bulgakov utilizza le possibili conseguenze di pericolosi (e affascinanti) esperimenti scientifici per mettere in ridicolo la dittatura sovietica, la sua chiusura mentale, la sua rigidità normativa. Cuore di cane racconta il tentativo di trasformare un cane in una creatura in qualche modo umana, tramite il trapianto di ipofisi e testicoli di un ubriacone morto in un randagio, che finirà con l'ereditare i peggiori difetti di entrambe le sue nature. Il protagonista di Uova fatali è invece uno zoologo che, quasi per caso, mette a punto un "raggio della vita" in grado di accelerare miracolosamente lo sviluppo cellulare. Una scoperta destinata a creare conseguenze mostruose e grottesche. Due piccoli ma incisivi capolavori del Novecento, ispiratori di un intero filone di letteratura fantastica.
Tre romanzi brevi o tre respiri lunghi, i passi di un endecasillabo: queste le storie raccontate da tre voci di donne che hanno in comune la stessa radice di male e di bene.
È il 25 luglio 1843, una mattina d'estate senza una nube e una luce che ammazza tutti i colori. Due giovani in cerca d'avventura salpano su una barchetta con tre vele latine. Dal molo di Bellano, li segue lo sguardo preoccupato del sarto Lepido: non è giornata, sta per alzarsi il vento. L'imbarcazione è presto al largo, in un attimo lo scafo si rovescia.
Un'imprudenza. Una disgrazia.
Ma la tragedia crea un problema.
A riva viene riportato il corpo dell'irrequieto Francesco, figlio di Giangenesio Gorgia, ricco e potente mercante del paese. Il disperso è Emilio Spanzen, figlio di un ingegnere che sta progettando la ferrovia che congiungerà Milano alla Valtellina. Due famiglie importanti. Bisogna a tutti i costi trovare un colpevole.
Per la prima volta, Andrea Vitali risale il corso del tempo, verso l'Ottocento, per raccontare un altro squarcio della sua Bellano.
Ritroviamo così l'eco della dominazione austriaca, con i notabili e i poveracci, gli scapestrati e le bisbetiche, le autorità e gli ubriaconi…
Andrea Vitali è nato nel 1956 a Bellano, sulla riva orientale del lago di Como, dove esercita la professione di medico di base. Ha pubblicato Il meccanico Landru (1992), A partire dai nomi (1994), L'ombra di Marinetti (1995, premio Piero Chiara), Aria del lago (2001) e, con Garzanti, Una finestra vistalago (2003, premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa, e premio letterario Bruno Gioffrè 2004), Un amore di zitella (2004), La signorina Tecla Manzi (2004, premio Dessì), La figlia del podestà (2005, premio Bancarella 2006), Il procuratore (2006, premio Montblanc per il romanzo giovane 1990), Olive comprese (2006) e Il segreto di Ortelia (2007), La modista (2008, premio Ernest Hemingway) e Dopo lunga e penosa malattia (2008).
Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l'opera omnia.
Niels Bentzon è un poliziotto diverso dagli altri. Uno dall’arma poco facile, noto in tutta Copenaghen per i suoi metodi non convenzionali. Niels è un negoziatore, chiamato a risolvere situazioni con ostaggi in pericolo di vita. Ma è anche un uomo scomodo. Per questo, i suoi superiori gli assegnano un caso in apparenza banale e poco importante. La segnalazione giunge da un poliziotto di Venezia, tramite Interpol: qualcuno sta uccidendo una ad una alcune persone particolari, da un capo all’altro del mondo. Tutte le vittime hanno strani segni sulla schiena, che non sono tatuaggi ma nemmeno ferite. E tutte avevano una cosa in comune, una sola: erano persone stimate, amate, dedite agli altri. Erano persone buone.
C’è un disegno dietro tutti questi omicidi, ma nessuno pare vederlo. C’è un killer, forse più di uno, che agisce secondo un ordine prestabilito. Ogni omicidio è calcolato, e secondo questi calcoli la prossima vittima sarà a Venezia. Oppure proprio a Copenaghen. Niels si trova di fronte a un compito quasi impossibile, per un poliziotto abituato a dare la caccia ai «cattivi»: deve trovare l’ultimo uomo buono e impedire che venga ucciso.
Alla vigilia dell'elezione di Ahmadinejad, nella primavera del 2005, il "Time" invia come corrispondente a Teheran la giornalista Azadeh Moaveni. Per lei, originaria dell'Iran, è l'occasione di riabbracciare il suo Paese e vincere la forte nostalgia che da sempre la lega alla sua terra. L'arrivo nella capitale è sconvolgente. Azadeh subisce l'impatto con uno stile di vita e una cultura lontani dalla libertà a cui è abituata negli Stati Uniti. Ma l'aria di casa non tarda a travolgerla, le antiche abitudini riprendono vita grazie all'amicizia con Nasrine, giornalista come lei. L'Iran si svela così ai suoi occhi di donna e reporter: un incontro di tradizioni e di culture, nel quale convivono etnie diverse e orientamenti politici e religiosi opposti. E nel mezzo di questo mondo, percorso da contraddizioni e infinite contaminazioni tra modernità e tradizione, tra fondamentalismo e innovazione, che Azadeh apre il suo cuore e incontra Arash, giovane e brillante ingegnere deciso a portare la tecnologia open source, democratica e aperta, nella sua patria. Bastano poche parole ed è subito amore. Anche Arash ha vissuto a lungo in Occidente, e i due fanno fatica a conformarsi alle consuetudini iraniane. Vanno ad abitare insieme e, quando Azadeh rimane incinta, i due capiscono che non possono più sfidare la clemenza del regime. Frequentano quindi un corso prematrimoniale e si sposano. Ma per Azadeh e Arash è l'inizio di un'altra vita...
Jasper Lüdemann ha trentun anni, si è trasferito da Bochum a Chicago con in testa una sola certezza: «tra i trenta e i quaranta bisogna darci dentro». Del resto, chi potrebbe pensare diversamente avendo in tasca un biglietto da visita come il suo: trader alla Rutherford&Gold, un colosso della finanza internazionale, e sulla scrivania un portafoglio di speculazioni di prim'ordine, prezioso lascito di un collega fatto fuori nel giro di mezz'ora?
Meike Urbanski ha piú o meno la stessa età di Jasper Lüdemann e un'idea che le frulla nella mente: mollare tutto, compagno, casa, Amburgo, gli amici con prole e carrozzine, i vini pregiati, gli elettrodomestici da design e altre amenità, e trasferirsi in una casetta sul mare del Nord, dove passare il tempo a tradurre le opere di Henry LaMarck, il celebre scrittore americano che sta per consegnare il suo nuovo romanzo.
Henry LaMarck ha quasi il doppio dell'età di Jasper Lüdemann e Meike Urbanski e un pensiero che lo tormenta e non lo abbandona mai: l'incubo di stare per diventare irrimediabilmente, tragicamente, orribilmente vecchio.
Credendo di tributargli un grande onore, la sua casa editrice ha organizzato un party per i suoi sessant'anni. Un party con sorpresa: l'annuncio del secondo Pulitzer vinto dallo scrittore. Insomma, il classico premio alla carriera prima di relegarlo nel dimenticatoio, ad ammuffire tra le vecchie glorie della narrativa d'antan. Meglio scappare, lasciarsi alle spalle quel mondo di sotterfugi e ipocrisie, tenuto conto che lui, il celebre, riverito Henry LaMarck, ha il blocco dello scrittore e da un pezzo non è piú in grado di mettere giú una sola riga.
Tre vite, tre esistenze differenti che, in un momento cruciale, sono destinate a incontrarsi nella metropoli americana, dove Jasper si è infilato dritto dritto nella manovra speculativa che può dargli il definitivo successo oppure mandare in rovina sia lui sia la banca; dove Meike insegue Henry, la sua fonte di reddito svanita nel nulla, e dove Henry vaga nei bar alla ricerca di una qualche ispirazione.
Un incontro che li trasformerà profondamente, poiché Jasper troverà in Meike la sua ancora di salvezza, il ricordo di una vita fatta di amicizie e sentimenti, Henry troverà in Jasper una fonte di nuove ambizioni e Meike troverà in Henry l'uomo, fragile e insicuro, dietro lo scrittore celebre e vanesio.
Nicolette Prevost è morta, precipitando di notte dalla scogliera di Clarence Batterie a Guernsey, l'impervia isola del Canale della Manica dove Victor Hugo scrisse I miserabili. L'ha uccisa Cathy Rozier, sua compagna di liceo e amica del cuore. Nic aveva i capelli lunghi e gli occhi verdi ed era la ragazza piú bella e ambita della scuola. Cathy è sovrappeso, secchiona, scontrosa, non ha il padre, che ha pensato bene di andarsene all'altro mondo, e non ha nemmeno la madre, che è viva, ma non si cura per niente della «vita reale». Cathy, insomma, è uno zero, un niente rispetto a Nic, ma uno zero, un niente che pensa e che, soprattutto, non sopporta il tradimento e la bugia. E Nic era una bugiarda e una traditrice incallita. Ha sparso falsità sul suo conto e ha avuto la fine che si meritava.
L'aveva già scoperto suo padre che a Guernsey, «un'isola che abbonda di segreti inconfessabili», nascono i mentitori e i voltagabbana piú spudorati del sacro suolo britannico. Amava la storia locale suo padre, soprattutto le scartoffie che riguardavano i Rozier, la sua famiglia. E aveva svelato la triste fine di zio Charlie. Povero zio Charlie! Aveva quindici anni quando scoppiò la seconda guerra mondiale e le Channel Islands furono occupate dai soldati di Hitler, che voleva farne delle basi militari perfette per l'invasione dell'Inghilterra.
I tedeschi rimasero a lungo a Guernsey, scavando buchi neri nell'animo di ognuno, e abissi incolmabili tra quelli che resistettero e quelli che vilmente collaborarono con loro. Tra quelli che resistettero e non tolleravano i rastrellamenti e le violenze dei crucchi c'era zio Charlie. Che aveva un amico del cuore, un ragazzino anche lui, di cui si fidava ciecamente e che, invece, si era rivelato un traditore. Lo accusarono di cospirazione antitedesca zio Charlie e lo rinchiusero a marcire nella prigione nazista di Clarence Batterie.
Con un passato come questo che grava sulle spalle di ogni Rozier, come volete che Cathy sia arrendevole nel dare e cercare amore? Essere intransigente e pretendere fedeltà assoluta è il minimo per lei. Ma, si sa, l'intransigenza non paga. E lo stesso «desiderio di svelare gli inganni può rivelarsi ingannevole», poiché a questo mondo purtroppo «le bugie sono l'unica certezza».
Le struggenti e irresistibili voci di Cathy e Charlie, due adolescenti distanti quarant'anni ma simili nel ribellarsi all'ipocrisia della vita, ci conducono, in questo magnifico romanzo, in un viaggio attraverso un paese segnato da una Storia, e da tante storie, in cui l'amicizia si mescola all'egoismo e al tradimento e la verità del mondo alla sua ineliminabile menzogna.
Noto soprattutto per i suoi romanzi in cui il gusto per il viaggio e l’avventura si mescola a inquietudini di stampo religioso ed esistenziale, Graham Greene ha scritto anche molti splendidi racconti, riuscendo a racchiudere nella misura breve delle poche pagine tutto il suo mondo letterario e umano. Questo volume cartonato li raccoglie tutti, offrendo ai numerosi appassionati dello scrittore l’opportunità di conoscerlo meglio.
Il 27 maggio del 1956, data inizio lavori, c’è una sola cosa: il coraggio di alcuni uomini, i soli capaci di immaginare e realizzare una via di comunicazione che unisca il Paese. Come la ferrovia negli Stati Uniti. Il 4 ottobre del 1964 una striscia di asfalto lunga 755 chilometri collega Milano con Napoli, il Nord con il Sud, la nebbia con il sole. Durante quegli otto anni un esercito di tecnici, manovali, ingegneri, architetti, dirigenti, progettisti, capocantieri ha combattuto senza sosta, dall’alto dei viadotti e nel buio delle gallerie, nel fango degli inverni e nell’afa delle estati, per mantenere la promessa della sua costruzione. All’interno di una rigorosa ricostruzione storica, mescolando personaggi d’invenzione e protagonisti reali, questo romanzo racconta la storia di quell’esercito e della sua strada. Ufficiali e soldati, uomini e donne, ognuno con un proprio sogno da rendere vero e una promessa a cui tenere fede. Tutti italiani, tutti con la schiena dritta, come la strada che debbono costruire.
Si comincia con un viaggio per mare.
C'è una nave militare che risale la costa dall'Albania a Trieste, sulla nave uno scrittore che lungo quell'Adriatico smagliante ripercorre la storia imperfetta e dilaniata di tutte le vite di frontiera.
Nascosta in cabina trova una capricciosa compagna di viaggio, eccitante come una fantasia. Lui si è imbarcato quasi per caso, recalcitrante «ambasciatore di cultura » nei paesi della costa orientale. Lei scappa e ricompare, lo attira e lo intrappola.
Vuole una storia, vuole la sua.
Il tema dell'identità, triestino quant'altri mai, è il vero nucleo di questo libro. Declinato in una storia avvincente - anzi due - si manifesta in tutta la sua complessità.
Da dove veniamo, che lingua parliamo, cosa mostriamo di noi, come ci raccontiamo a noi stessi e agli altri.
Se alla fine quello che ci cattura è un vertiginoso gioco di specchi, è perché lo scrittore è un prestigiatore. Nasconde le mani mentre seguiamo il volo della colomba.
Oppure mostra le mani per dire: guarda, questa è la mia magia.
Non c'è scrittore in Italia oggi che più di Mauro Covacich abbia scelto questa seconda strada. Seguire le tracce del suo percorso letterario significa davvero fare un viaggio dentro la finzione, per osservare la scrittura nel suo farsi e in filigrana la vita che scorre fuori e dentro i margini del foglio.
Francesco Salvador, architetto di successo, ha tutto: una bella moglie, due splendidi figli, un loft gigantesco, il Suv, un'amante giovane. Ma per avere tutto ha dovuto sacrificare qualcosa: i terreni sull'argine del fiume, che suo padre gli ha lasciato in punto di morte. Francesco li ha venduti alle persone sbagliate e adesso, nei luoghi dove giocava da bambino, i camion portano via quintali e quintali di ghiaia.
Una domenica in gita alle isole della laguna veneta, interrotta dagli squilli del cellulare e dall'affiorare dei ricordi, diventerà per Francesco l'occasione di sbrogliare i fili della sua vita. Sarà il suo ultimo giorno felice.