
Li Jing, giovane e brillante uomo d'affari, sta pranzando con suo padre in un lussuoso hotel di Shanghai. Un attimo dopo il cemento si frantuma, la polvere soffoca l'aria e lui giace privo di sensi sotto un cumulo di macerie. Quando si risveglia in un letto d'ospedale, il dolore delle ferite gli ricorda che è ancora vivo. Meiling, sua moglie, gli è accanto, in attesa di udire parole che la rassicurino. Ma quando queste escono dalla sua bocca, sono per lei incomprensibili. Il trauma ha cancellato dalla mente di Li Jing il cinese e le uniche frasi che riesce a pronunciare sono in inglese, la lingua che ha accompagnato la sua infanzia in America. Afasia di Broca è la diagnosi dei medici, ma dare un nome a quel disturbo così raro non lo aiuta a comunicare con la donna che proprio grazie a parole meravigliose, anni prima, aveva saputo conquistare. La speranza di recuperare il linguaggio perduto è affidata a Rosalyn Neal, una giovane neuroIoga americana arrivata a Shanghai proprio per occuparsi di questo insolito caso. Partita dall'Oklahoma, dove ha lasciato una casa dolorosamente vuota e tante speranze disattese, inizia con Li Jing una lunga terapia che finisce per creare tra loro un legame inatteso. Perché due solitudini, quando si incontrano, non faticano a riconoscersi. Allora, anche le parole diventano superflue
"Lo zio si è trasformato in un albero." Non sono solo le parole che escono dalla sua bocca a fare di Coco una bambina strana. I tratti del viso insoliti, un sorriso fin troppo generoso, la maglietta macchiata di sangue con cui si aggira da sola per Central Park. Eppure il senso di quella frase diventa chiaro quando la polizia ritrova il corpo dello zio Red, a cui qualcuno ha riservato un trattamento a dir poco sadico: dopo averlo legato e chiuso in un sacco, lo ha issato a un ramo. L'agente Kathy Mallory si prende subito a cuore la sorte della ragazzina, la cui mente confusa chiama "zio" quell'uomo che invece l'aveva rapita con le peggiori intenzioni, e che ora ha pagato per le sue colpe. Ma soprattutto intuisce che Coco è una testimone chiave per arrivare all'assassino. Una testimone preziosa quando, poco dopo, altre due persone vengono ritrovate nelle stesse condizioni. Le tre vittime avevano frequentato in passato la medesima scuola, un istituto di beneficenza di proprietà di Grace Driscol, donna ricca e molto odiata. Avida ed egoista, non si è fatta scrupoli a servirsi per i propri scopi della figlia, Phoebe, mentalmente instabile. La ragazza non si è mai del tutto ripresa da una serie di episodi drammatici avvenuti quindici anni prima. Ma Mallory conosce i meccanismi di una mente criminale e comprende che Phoebe non è la sola a non essersi lasciata alle spalle quel passato di violenza. Forse è proprio lì che deve iniziare a cercare le risposte di cui ha bisogno
Che significato può avere la parola "avventura"? Il quotidiano Avvenire lo ha chiesto a venticinque tra i più importanti scrittori italiani di oggi: ognuno ha risposto scrivendo una storia in cui racconta la sua "idea" di avventura, sia nell'ottica classica del fortunato genere letterario, sia in quella di una dimensione più ampia, quella dell'avventura umana. Ne è nata, in collaborazione con l'Editrice AVE, questa "naturale" antologia in cui si confrontano scritture e stili diversi, e soprattutto tante idee per definire cos'è oggi l'avventura: scoperta di mondi e paesaggi lontani o fantascientifici; questione di memoria e ritorno all'età dell'oro dell'infanzia; scandaglio di percorsi metafisici o di sguardi interiori; lettura in chiave metaforica della realtà, con particolare attenzione alla figura del migrante, oltre alla rilettura di testi della classicità. Ne emerge un paesaggio vario con tanti luoghi visti o sognati, tante voci e tanti personaggi, ognuno alle prese con la propria avventura. Le storie sono di: Affinati, Arslan, Bianchi, Bosio, Buticchi, Cardini, Cavina, Conte, D'Alessandro, D'Avenia, Ferrero, Lupo, Mannuzzu, Milani, Missiroli, Montaldi, Morazzoni, Mussapi, Nigro, Parazzoli, Pardini, Pressburger, Veladiano, Zaccuri, Zocchi
Chi c'è dietro i programmi televisivi che ogni giorno incessantemente entrano nelle nostre case? Chi decide di quali sensazioni, stati d'animo, argomenti si devono nutrire i telespettatori? È tutto frutto del caso o c'è qualcosa di più? Sullo fondo di questi interrogativi il romanzo si popola di eroi inconsapevoli del nostro tempo: un direttore giornalistico, una ragazzina hacker di poco più di 18 anni, un cardinale presso la Santa Sede, una giovane cronista e una guida palestinese cristiana, tutti coinvolti all'interno di un grande mosaico mediatico, una battaglia senza esclusioni di colpi. L'eterna lotta tra il bene e il male, silenziosa, invisibile ma profondamente reale sarà combattuta ai nostri giorni: i trenta denari tornano a comprare quanto di più prezioso uomini e donne possiedono: l'anima. Il romanzo pone una semplice domanda al lettore: "...e se fosse tutto vero?".
A vent'anni dal "Vangelo secondo Gesù Cristo", José Saramago torna a occuparsi di religione. Se in passato il premio Nobel portoghese ci aveva dato la sua versione del Nuovo Testamento, ora si cimenta con l'Antico. E sceglie il personaggio più negativo, la personificazione biblica del male, colui che uccide suo fratello: Caino. Capovolgendo la prospettiva tradizionale, Saramago ne fa un essere umano né migliore né peggiore degli altri. Il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. È un dio che rifiuta, apparentemente solo per capriccio e indifferenza l'offerta di Caino, provocando così l'assassinio di Abele. Il destino di Caino è quello di un picaro che viaggia a cavallo di una mula attraverso lo spazio e il tempo, in una landa desolata agli albori dell'umanità. Ora da protagonista, ora da semplice spettatore, questo avventuriero un po' mascalzone attraversa tutti gli episodi più significativi della narrazione biblica: la cacciata dall'Eden, le avventure con l'insaziabile Lilith, il sacrificio di Isacco, la costruzione della Torre di Babele, la distruzione di Sodoma, l'episodio del vitello d'oro, le prove inflitte a Giobbe, e infine la vicenda dell'arca di Noè. Riscrittura ironica e personale della Bibbia, invenzione letteraria di uno scrittore nel pieno della maturità, compone un'allegoria che mette in scena l'assurdo di un dio che appare più crudele del peggiore degli uomini
"Un omaggio a Roma". Così Sandro Veronesi definisce "Gli sfiorati", il romanzo da cui è tratto il film omonimo di Matteo Rovere. Un omaggio non solo alla città che lo ha accolto per molti anni ma anche e soprattutto un confronto aperto con un momento storico che ha cambiato profondamente il volto di gran parte del mondo da noi conosciuto fino ad allora e rappresentato da una generazione sfuggente, distratta, schiumevole. In una Roma splendida e sinistra si dipana la vita solitaria di Mète, appassionato studioso di grafologia, introverso e ombroso. Belinda, la sorellastra quindicenne di Mète, affidata a lui per due settimane, è il centro d'attrazione di tutto il romanzo, il desiderio proibito e continuamente rimandato, la trasgressione irresistibile. A lei lo scrittore affida il vero senso del romanzo, rendendola portatrice di valori e caratteristiche appartenenti a un'epoca, quella degli anni Ottanta, contraddittoria e ambigua. I giovanissimi eroi di questa storia non sembrano invecchiati dopo vent'anni. Gli stessi desideri, le stesse paure e l'incredibile capacità di maneggiare l'insensatezza senza venirne travolti si possono ritrovare in molti giovani uomini e giovani donne della generazione degli anni Duemila; Mète e Belinda, infatti, diventano protagonisti di un film ambientato vent'anni dopo la loro nascita letteraria
Un uomo di successo, Max, manager immerso nel suo mondo preconfezionato: il nostro mondo. Intorno a lui una moglie altrettanto integrata, un figlio piccolo che già annuncia con il suo comportamento di voler seguire i passi dei genitori, e una domestica, Milagro. È una giovane che proviene dal Sudamerica, semianalfabeta, disarmata di fronte a una realtà che non solo le è estranea ma che lei pare voler mantenere tale: quasi provasse paura o vergogna degli strani e indefinibili fenomeni che si verificano in sua presenza e che forse alludono a una sfera misterica e sacrale che sembra andare in tutt'altra direzione rispetto all'ansia di possesso che occupa le menti di tutti gli altri. Milagro è come un piccolo ago nel pagliaio del capitalismo, povera e senza desideri, priva di quell'insoddisfazione che è compito di Max indurre o dare per scontata negli esseri umani. Somiglia nella sua innocenza ad Abele, così come in Max, che non comprende e che è attratto da lei che non conosce e non può conoscere veramente, si potrebbe ravvisare l'effigie di Caino. Cosa è destinato ad accadere quando l'irruzione del sacro sconvolge la falsità del mondo borghese? La storia che Paola Capriolo narra in questo suo nuovo romanzo, rappresenta una delle risposte. E ci fa balenare davanti, per un attimo, il cuore delle cose, o perlomeno il suo terreno riflesso
Inseparabili. Questo sono sempre stati l'uno per l'altro i fratelli Pontecorvo, Filippo e Samuel. Come i pappagallini che non sanno vivere se non sono insieme. Come i buffi e pennuti supereroi ritratti nel primo fumetto che Filippo ha disegnato con la sua matita destinata a diventare famosa. A nulla valgono le differenze: l'indolenza di Filippo - refrattario a qualsiasi attività non riguardi donne, cibo e fumetti - opposta alla determinazione di Samuel, brillante negli studi, impacciato nell'arte amatoria, avviato a un'ambiziosa carriera nel mondo della finanza. Ma ecco che i loro destini sembrano invertirsi e qualcosa per la prima volta si incrina. In un breve volgere di mesi, Filippo diventa molto più che famoso: il suo cartoon di denuncia sull'infanzia violata, acclamato da pubblico e critica dopo un trionfale passaggio a Cannes, fa di lui il simbolo, l'icona in cui tutti hanno bisogno di riconoscersi. Contemporaneamente Samuel vive giorni di crisi, tra un investimento a rischio e un'impasse sentimentale sempre più catastrofica: alla vigilia delle nozze ha perso la testa per Ludovica, introversa rampolla della Milano più elegante con un debole per l'autoerotismo. Nemmeno l'eccezionale, incrollabile Rachel, la "mame" che veglia su di loro da quando li ha messi al mondo, può fermare la corsa vertiginosa dei suoi ragazzi lungo il piano inclinato dell'esistenza. Forse, però, potrà difendere fino all'ultimo il segreto impronunciabile che li riguarda tutti...
A cosa serve un padre? E cosa resta di lui se non un mito? C'era una volta un'Italia attiva e industriosa, attraverso cui scorrazzavano sulle loro Alfa Romeo uomini di multiforme ingegno: gli imprenditori. L'ingegner Albinati era uno di questi, prototipo di una razza al tempo stesso serissima e scanzonata, di pionieri del benessere e fumatori accaniti. Ma la sua spinta vitale all'improvviso cambia di segno trasformandosi in malattia, che lo divora e se lo porta via in nove mesi, in una paradossale gestazione al contrario. "Vita e morte di un ingegnere" racconta il decadimento fisico e le ossessioni, le vane speranze, e poi tentennamenti, slanci e rimorsi. In una memoria di crudele precisione, nutrita di tutto il risentimento e dell'amore che si può nutrire verso un padre che non hai abbracciato una sola volta in vita tua, Edoardo Albinati ricostruisce la lunga fuga di un uomo talentuoso attraverso i corridoi del boom economico, i doveri della famiglia, le aspirazioni segrete e indicibili, e infine il male che obbliga a chiedersi: chi sono? Cosa ho vissuto a fare? Chi ho amato veramente? Ritrovato il ritratto del padre in frantumi, Albinati ha provato pazientemente a ricomporlo. Inseguendone la parabola umana negli anni dell'affermazione e poi nel doloroso epilogo, le sue pagine ridanno vita a una generazione di uomini instancabili che hanno costruito e al tempo stesso disfatto la loro vita, pagando questa impresa con un'incolmabile distanza dai propri figli.
Nella primavera del 1888, in seguito al decesso della zia da lei amorevolmente accudita, Harriet Baxter decide di lasciare Londra e viaggiare alla volta di Glasgow. Trentacinque anni, nubile, una piccola rendita annua cui attingere, Harriet arriva nella seconda città dell'Impero nell'anno dell'Esposizione Internazionale. Durante una passeggiata in una giornata insolitamente calda, Harriet soccorre una distinta signora di circa sessant'anni stramazzata al suolo per un malore sconosciuto. Qualche giorno dopo si ritrova a onorare l'invito, elargito in segno di riconoscenza per il suo bel gesto, a casa dei Gillespie, la famiglia della donna soccorsa. Ci sono Elspeth, l'esuberante madre del padrone di casa; Mabel, la figlia di Elspeth inacidita per essere stata abbandonata sull'altare; Kenneth, il figlio belloccio tormentato da un segreto inconfessabile; Annie, la dolce moglie del padrone di casa alle prese con l'educazione di due figlie; il padrone di casa, Ned Gillespie, un giovane, geniale pittore dai tratti meravigliosamente regolari e piuttosto avvenenti, e una punta di tristezza negli occhi blu oltremare. L'incontro con Ned Gillespie risulta fatale per Harriet Baxter. In lei si fa strada la convinzione di dover salvare Ned Gillespie. Salvarlo dalla sua indigenza, che gli impedisce di dare libero sfogo alla sua creatività, e salvarlo dalla sua turbolenta famiglia. Una convinzione che, come ogni ossessione, trascina inevitabilmente dietro di sé l'ombra della tragedia.