
In questi nove racconti i lettori avranno il piacere di ritrovare il grande commissario, e di ritrovare anche i luoghi e le atmosfere in cui Maigret si sente più a suo agio. Nella Chiatta dei due impiccati, per esempio, Maigret conduce tutta la sua indagine alla Citanguette, uno dei bistrot sulla Senna dove si fermano a bere i marinai; nel Caso di boulevard Beaumarchais assistiamo a un interrogatorio di quelli che lo hanno reso famoso, tra la lampada dal paralume verde e il vassoio con le birre e i panini portati su dal cameriere della brasserie Dauphine; in Jeumont, 51 minuti di sosta!, Maigret è chiamato dal nipote a risolvere un caso di omicidio avvenuto su un treno al confine tra la Francia e il Belgio; in Pena di morte il drammatico epilogo avrà luogo in un night club di Bruxelles; in Le lacrime di cera il commissario fa "un viaggio indietro nel tempo", in un paesino della Francia profonda non lontano da quello in cui è cresciuto, tra le spesse mura di una casa dove tutto è "rimasto com'era una volta" e si respirano avarizia e rancore; in Rue Pigalle lo vediamo muoversi in un quartiere a lui familiare, Montmartre, dove si scontrano la banda dei Còrsi e quella dei Marsigliesi, e, in Un errore di Maigret, in quella rue Saint-Denis dove all'epoca ancora si alternavano alberghetti per prostitute e librerie "specializzate".
Statue assassine, disegni, dipinti e incisioni che prefigurano orrendi delitti, ritratti di persone defunte che si animano e scendono dalla cornice intrecciando inquietanti liaison con i viventi: grandi scrittori come Hawthorne, Mérimée, Dickens, Poe, Pirandello – accanto a maestri riconosciuti della ghost story come Le Fanu e M.R. James – hanno affrontato il rapporto tra l’opera d’arte e il mondo degli spiriti, schiudendo inquietanti prospettive sulla contaminazione tra l’aldiquà e l’aldilà della tela, tra questo e l’altro mondo.
Enrico Badellino ha tradotto e curato, tra gli altri, Balzac, Flaubert, Stendhal, Zola, Gide, Mérimée. Ha pubblicato numerosi volumi e antologie, tra cui Sepolto vivo! (Torino 1999), con un’introduzione di Malcom Skey, Dizionario delle morti celebri (Torino 2004), Bulli di carta. La scuola della cattiveria in cento anni di storia (Torino 2010), con Francesco Benincasa.
"Non era un uomo, eppure era molto simile all'uomo". E allora cosa è l'individuo gentile e fragile che si fa passare per cittadino britannico, nascondendosi dietro il nome altisonante di Thomas Jerome Newton, che accumula in breve tempo una vera e propria fortuna grazie a invenzioni geniali e inaudite, che vive in solitudine quasi completa dedicandosi a un compito misterioso e immane?
Un bicchiere di sherry, la lettura di un sonetto di John Keats e Clarissa Gray, celebre autrice di romanzi polizieschi, china il capo sui morbidi cuscini del suo letto, felice di addormentarsi nella sua quieta casa di Arran, l'isola sulla costa occidentale della Scozia dove vive da più di vent'anni. Il tempo di chiudere gli occhi, però, che subito il rumore di una porta sbattuta la ridesta dal sonno. Col cuore che batte, Clarissa s'infila la vestaglia, scende gli scalini che portano al primo piano e scopre, vicino alla porta d'ingresso, un uomo quasi calvo, col volto smunto, disteso per terra. Ha la gola tagliata e il sangue sgorga a fiotti intermittenti formando una chiazza amaranto sul tappeto...
Rachele. Storia lombarda del 1848, scritto in francese da Cristina di Belgiojoso e qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, è il romanzo di un “amore rivoluzionario” che ruota intorno alle vicende di una famiglia di contadini nel periodo dei moti di Milano.
La principessa compose il breve romanzo all’indomani dei suoi cinquanta anni, dopo il ritorno a Milano dall’esilio orientale, successivo alle burrascose vicende della Repubblica romana (1849) che l’avevano vista protagonista in qualità di direttrice degli Ospedali militari.
La storia si svolge in una fattoria della Lombardia in pieno Risorgimento e porta all’attenzione dei lettori una serie di tematiche care all’autrice e proprie di quegli anni attraversati da fortissime tensioni politiche e sociali: la mentalità della famiglia patriarcale, la condizione femminile, il pensiero cattolico, l’impegno dei patrioti e la condizione dei rifugiati.
In anni recenti si è assistito a un moltiplicarsi di studi e contributi importanti sulla complessa personalità di Cristina di Belgiojoso, ormai liberata dall’etichetta di donna fatale e bizzarra: in questo processo di risarcimento e di restituzione storico-critica si colloca l’edizione italiana di Rachele.
È come se portasse il destino nel nome, Signorina: suo padre, capostazione in un piccolo paese di provincia, l'ha chiamata così ispirandosi al soprannome di una locomotiva di straordinaria eleganza. E creare eleganza, grazia, bellezza è il suo talento. Un giorno dal treno sbuca un omino con gli occhi a mandorla e, con pochi semplici gesti, crea un vestitino di carta per la sua bambola. L'omino scompare, ma le lascia un dono, un dono che lei scoprirà di possedere solo quando una sarta assisterà a una delle sue creazioni. Potrebbe essere l'atto di nascita di una grande stilista, ma ci sono il fascismo, la povertà e gli scontri in famiglia, le responsabilità, i divieti e poi la guerra... e Signorina poco a poco rinuncia a parti di se stessa, a desideri e aspirazioni, soffocando anche la propria femminilità, con una generosità istintiva e assoluta. E quando infine anche lei, quasi all'improvviso, si scopre donna e conosce l'amore, il sogno dura comunque troppo poco, sopraffatto da nuovi doveri e nuove fatiche, e dalla prova più difficile: un figlio nato troppo presto e nato malato, costretto a "succhiare aria" intorno a sé come un ciclista in salita. Nonostante i binari della ferrovia siano ormai lontani e la giovinezza lasci il posto a una maturità venata di nostalgia, ancora una volta Signorina sfodera il suo coraggio e la sua determinazione al bene e lotta per far nascere suo figlio una seconda volta, forte e capace di respirare da solo.
Hora è un luogo dell'anima, un paese in cui, come nella Macondo di Màrquez, il tempo, i fatti, le persone sembrano avvolti in un'atmosfera magica e misteriosa. Ma è anche un luogo concreto, un paese della Calabria dove vive un'antica comunità arbëreshe. Ed è, soprattutto, il luogo privilegiato delle narrazioni di Carmine Abate, che in questa trilogia racconta le diverse stagioni di Hora: il tempo dell'infanzia e della giovinezza, della scoperta dell'amore e della vita; ma anche il tempo del distacco doloroso e dei ritorni; e il tempo grande del mito che si mescola con il presente. Le sue storie, insieme realistiche e visionarie, solari e strazianti, sempre poetiche, hanno il respiro ampio dell'epopea, sospese fra tradizione e modernità, vita, lotte, sogni e memoria.
Come dieci capitoli di un anomalo romanzo di formazione, i racconti di questa raccolta delineano il personaggio di Rose, privilegiando il ruolo che il rapporto con la matrigna Flo ha avuto nel complesso definirsi della sua identità. La voce da cui riceviamo le storie è quella di un narratore provvisoriamente onnisciente il quale organizza in ordine cronologico episodi della vita di Rose lasciando che emerga dalla loro successione il conflitto tra desiderio di fuga e consapevolezza della necessità di restare. Rose è la bambina ribelle e pensosa del primo racconto, punita a cinghiate da un padre imperscrutabile e chiuso; Rose è l'avida lettrice che tiene a bada il pensiero del padre ammalato e l'insofferenza alle meschinità di casa a furia di Shakespeare e Dickens; è l'adolescente in viaggio dalla piccola West Hanratty a Toronto, vittima e complice di una sordida iniziazione sessuale ad opera di un impassibile ministro del culto. Ma Rose è anche la giovane innamorata del modo in cui sembra amarla Patrick Blatchford, dottorando in Storia presso la stessa università che le ha aperto le porte grazie a una borsa di studio; è la donna coinvolta in una relazione extraconiugale destinata a concludersi nell'amarezza; è la madre nervosa di una bambina più saggia di lei, ed è infine la donna matura che torna là dove tutto era cominciato e ritrova, nel tono brusco e inclemente di Flo il filo ininterrotto di un'esistenza interiore, e il ricordo dell'unico amore mai raccontato.
"Il destino assegnò a Fernando Pessoa questo nome fatale, 'Pessoa, Persona': proprio a lui, che era una e mille persone, innumerevoli flatus vocis imprendibili e senza neppure un nome [...]. Nella nostra civiltà la Persona si installa come funzione prima di tutto linguistica, in delicato bilanciamento fra l'individuazione pronominale e la processualità di un soggetto inafferrabile se non come flusso, ritmo danzante, 'forma del movimento'. Il drammatico 'Je suis l'autre' che Nerval scrisse sotto un suo ritratto e l'estremistico 'Je est un autre' di Rimbaud, che in Pessoa risuonano alla lettera nel 'Viver é ser outro' (255) e in molti altri luoghi del 'Libro dell'inquietudine', fanno esplodere l'equilibrio instabile: il più profondo, autentico desassossego di Pessoa, l'inquietudine più devastante del Novecento, è questo porsi del Soggetto come altro da sé, questa non solo esistenziale, ma metafisica perdita della presenza. Pessoa è Persona e Personne, Tutti e Nessuno nel contempo, 'Todos os Nomes' e Anonimo assoluto: 'Everyman', Chiunque, Ognuno di noi." (dalla prefazione di Corrado Bologna). Con un testo critico di Jerònimo Pizarro.
Al centro di questo romanzo misterioso e potente, che scorre in una lingua tersa dove sembrano risuonare insieme gli echi delle vite dei mistici e la poesia di Emily Dickinson, c'è la figura di Ildegarda. Una donna che viene lasciata dal marito amatissimo ma devastato nello spirito. La sua solitudine è illuminata solo dall'amore per il figlio che adora. Quando l'ombra della morte sembra sfiorare il bambino, Ildegarda si interroga sul male del mondo, sulla paura di vivere, di perdere l'amore, di perdere il figlio. Lo strazio per l'abbandono e soprattutto l'angoscia per non saper proteggere il figlio portano Ildegarda a cercare nella sua fede irrequieta una strada di salvezza. Un patto con quel Dio che appare impotente di fronte al dolore dell'uomo. È la lotta che ciascuno di noi, credente o no, un giorno si trova a combattere. Un nuovo inatteso incontro, nell'incanto di un paesaggio di neve dalla bellezza struggente, porta Ildegarda a vivere una passione del corpo e dello spirito che ha in sé un'attesa di eternità. Di un'altra vita e giorni nuovi. Perché il sogno di ogni amore è che il miracolo non abbia fine. Forse è solo una promessa, ma una promessa è molto più potente di un sogno.
Primo gennaio del 1950: Ximen Nao, un ricco proprietario terriero, è stato giustiziato dai suoi mezzadri alla vigilia della rivoluzione cinese e da due anni vive nel mondo delle tenebre. Sebbene subisca i più crudeli e dolorosi supplizi, rifiuta di pentirsi: è convinto di avere condotto una vita giusta e di essere invece stato immeritatamente condannato. Re Yama, il terrifico signore della morte, è talmente stufo di lui, delle sue continue, fastidiose lagnanze che alla fine gli dà la possibilità di reincarnarsi nei luoghi dove ha vissuto. Ximen Nao spera di riprendere cosi possesso della moglie, delle due concubine, della terra, dei suoi averi. Non immagina che tanta generosità nasconde una ancora maggiore insidia: perché Re Yama decide di farlo reincarnare non in se stesso, ma in un asino. Nell'arco di cinquant'anni all'asino faranno seguito il toro, il maiale, il cane, la scimmia. Un lasso di tempo che basterà a Ximen per liberarsi di ogni rancore e durante il quale sarà partecipe degli eventi piccoli e grandi che hanno contribuito a trasformare la Cina. E alla fine giungerà anche il momento in cui Re Yama gli consentirà di ridiventare uomo: il 31 dicembre del 2000, la notte della nascita del nuovo millennio, verrà al mondo un bambino di nome Lan Qiansui, ossia "Lan mille anni"; sarà lui a iniziare, il giorno del suo quinto compleanno, il racconto della propria storia: "Dal primo gennaio dell'anno 1950...".
Quattro notti e un mattino per raccontare una storia che si muove al buio e nella penombra della coscienza. Un giovane sognatore, abituato a nutrirsi di sentimenti e impressioni, incontra nella notte una ragazza piangente e sola che sarà per lui l’appiglio verso il concreto mondo diurno. La città di San Pietroburgo saprà cullare nel suo bianco silenzio questa storia a due voci, fatta di confidenze notturne, attese e speranze e il mattino, al risveglio, rimarrà quello strano sapore in bocca, quella domanda di realtà inevasa: nelle notti bianche, negli improbabili intrecci e nei sussurri furtivi di due ipotetici amanti, qual è il vero confine del sogno?
L'Autore
Fedor Michajlovic Dostoevskij nacque a Mosca nel 1821 da una famiglia benestante. Il suo racconto di esordio, pubblicato nel 1846, Povera gente, lo impose da subito come autore di riferimento. Si distaccò dalla cosiddetta "scuola naturale" e dall’esempio di Gogol’, allora imperante. Dopo l’arresto per motivi politici e la reclusione in Siberia, l’opera di Dostoevskij si caratterizzò per originalità e profondità psicologica, mentre la produzione più matura si incentrò su tematiche morali e religiose. È unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori narratori di tutti i tempi. Tra i romanzi e i racconti più apprezzati ricordiamo Memorie dal sottosuolo (1864), Delitto e castigo (1866), L’idiota (1868), I demoni (1871), L’adolescente (1876), I fratelli Karamazov (1878-80). Il racconto Le notti bianche fu pubblicato nel 1848 per la rivista "Annali Patrii".