
Sulle remote colline della costa californiana, vive una singolare comunità di monaci: il luogo adatto per ritrovare se stessi. Così almeno si illude il narratore. L'oceano, la contemplazione, il riparo dal mondo, non era questo il suo obiettivo? E invece dall'Italia arriva l'amico Danilo, un comico senza successo sfuggito da un mondo dello spettacolo senza prospettive. Tanto depresso quanto vitale, provocatore, insofferente, sognatore senza sogni, Danilo ha un altro obiettivo, che non può essere conquistato in solitudine: da qualche parte nell'entroterra, nel profondo del deserto, sta un misterioso guaritore che bisogna raggiungere. Comincia così un viaggio dentro il viaggio, dentro un deserto pieno di sorprese, di emozioni ventose, di paesaggi infuocati, alla rincorsa avventurosa di un senso dell'esistenza. Se mai è veramente possibile trovarlo.
Questo libro è il resoconto di una serie di conversazioni nelle quali Gianni Mura ha raccontato a Marco Manzoni cinquant'anni di giornalismo, cinquant'anni di incontri, cinquant'anni di vita. Il leitmotiv (che fa il verso all'epo, la droga più utilizzata nel ciclismo) è "epu", vale a dire etica, passione, umanità. Un acronimo che racchiude l'essenza dello sport. E non solo dello sport. Il bel calcio, il ciclismo epico, l'impresa del più debole nascono da lì. Come la bellezza dello sport: una bellezza che è insieme tecnica, estetica ed etica. Come la sua umanità: la speranza, il sogno, ma anche la fatica, la sofferenza e la sconfitta, che dello sport è la zona d'ombra. Ma Gianni Mura ha tanti altri amori: la convivialità, la Francia, la canzone d'autore, i libri, la poesia, il teatro. Qui ci sono tutti, e ci sono gli uomini e le donne che ha incontrato. Siamo di fronte a un viaggio, ma sarebbe più esatto definirlo un tour. Che parte dal giornalismo sportivo, entra in una ballata di Léo Ferré, si profuma di zafferano, senza mai dimenticare i diritti civili.
Dice Antonio Tabucchi: "Sono un viaggiatore che non ha mai fatto viaggi per scriverne, cosa che mi è sempre parsa stolta. Sarebbe come se uno volesse innamorarsi per poter scrivere un libro sull'amore". Eppure, in "Viaggi e altri viaggi" ci sono i luoghi del mondo, un mondo sufficientemente grande per non essere quel "villaggio globale" che vorrebbero i sociologi e i mass media. Vi entrano "alla rinfusa" la Lisbona di Pessoa, il Brasile distante dalle mete obbligate di Congonhas do Campo, la Madrid dell'Escorial, il Jardin des Plantes a Parigi, l'Australia di Hanging Rock, la Séte di Paul Valéry, e poi Creta, la Cappadocia, Il Cairo, Bombay, Goa, Kyoto, Washington. Tabucchi ci accompagna con sovrana gentilezza a conoscere e a riconoscere i luoghi di una mappa singolare, certo, ma condivisibile attraverso la lingua familiare del racconto. Una mappa che si apre volentieri ad "altre" forme di viaggio la rassegna delle città fantastiche degli scrittori, le letture di Stevenson, la misteriosa frase di uno zio davanti agli affreschi del Beato Angelico, le montagne di Eça de Queirós, l'Egitto di Ungaretti, l'evocazione dell'Amazzonia attraverso un grande libro come Il ventre dell'universo. Nell'uno e nell'altro caso - nei viaggi effettivi e in quelli evocati dalla letteratura - Tabucchi ci invita a vedere e a restare, a muoverci e a ritornare. Ogni volta l'appuntamento è una sorpresa, perché il mondo è sempre un altrove, una scoperta di noi stessi attraverso gli altri.
"La vita agra" segnò per Luciano Bianciardi il momento dell'autentico successo, un successo che non tardò a fare entrare in sofferenza un intelletto indipendente come il suo. Il romanzo, ampiamente autobiografico, vede il protagonista lasciare la provincia e con essa la moglie e il figlioletto per andare a vivere a Milano. L'intento iniziale è far saltare un grattacielo, per vendicare i minatori morti in un incidente causato dalla scarsa sicurezza sul lavoro (il riferimento è all'incidente alla miniera di Ribolla del 1954, in cui persero la vita quarantatré minatori). Ma il protagonista vive in perenne bilico fra voglia di far esplodere il sistema e desiderio di esserne riconosciuto... A cinquant'anni dalla prima pubblicazione nel 1962, "La vita agra" resta uno sguardo sulle conseguenze umane e sociali del boom economico italiano, ricco di una scrittura irrequieta, precisa, impossibile da imbrigliare. Al romanzo si ispirò il celebre film "La vita agra" di Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi che interpretava il Bianciardi/protagonista.
Tra il pamphlet e il saggio di costume, "Il lavoro culturale" ripercorre le tappe di formazione di un intellettuale della provincia grossetana tra l'immediato dopoguerra e gli anni cinquanta, quando mezza Italia, fondava cineclub e circoli di cultura, analizzava problemi e progettava saggi sulla struttura culturale italiana.
Giuseppe Culicchia torna a rendere giocoso omaggio alla sua città, Torino, da sempre presente in un modo o nell'altro nei suoi libri, attraverso il canto del suo monumento simbolo: la Mole Antonelliana. Lo fa dando la parola al genio visionario di chi la concepì e le donò il nome, l'architetto Alessandro Antonelli. Un personaggio che attraverso un monologo teatralmente fluviale, intervallato dal coro formato da una coppia di turisti nella Torino contemporanea, ci fa toccare con mano l'ambizione che lo spinse a progettare il suo capolavoro e l'ostinazione con cui lo realizzò malgrado la ristrettezza di vedute di committenti e amministratori. Il tono è freneticamente creativo, postmoderno nel suo urlare "Voglio una Mole sopraelevata / Voglio una Mole come in Blade Runner / Voglio una Mole esagerata / Voglio una Mole come Daryl Hannah", ma allo stesso tempo fedele allo spirito di quello che lo stesso Culicchia chiama "un genio del tutto fuori sincrono rispetto ai suoi contemporanei, ma anche un noto caratteraccio".
Il grande Gatsby ovvero l'età del jazz: luci, party, belle auto e vestiti da cocktail, ma dietro la tenerezza della notte si cela la sua oscurità, la sua durezza, il senso di solitudine con il quale può strangolare anche la vita più promettente. Il giovane Nick Carraway, voce narrante del romanzo, si trasferisce a New York nell'estate del 1922. Affitta una casa nella prestigiosa e sognante Long Island, brulicante di nuovi ricchi disperatamente impegnati a festeggiarsi a vicenda. Un vicino di casa colpisce Nick in modo particolare: si tratta di un misterioso Jay Gatsby, che abita in una casa smisurata e vistosa, riempiendola ogni sabato sera di invitati alle sue stravaganti feste. Eppure vive in una disperata solitudine e si innamorerà insensatamente della cugina sposata di Nick, Daisy... Il mito americano si decompone pagina dopo pagina, mantenendo tutto lo sfavillio di facciata ma mostrando anche il ventre molle della sua fragilità. Proprio come andava accadendo allo stesso Fitzgerald, ex casanova ed ex alcolizzato alle prese con il mistero di un'esistenza ormai votata alla dissoluzione finale.
Ci sono momenti in cui il passato ritorna e diventa impossibile ricacciarlo dove lo avevamo confinato: il tempo resta sospeso e pretende le risposte che gli abbiamo sempre negato. Per Marcella quel momento arriva tardi, quando la sua strada sembrerebbe già segnata: cinquant'anni, una vita tra i banchi di scuola e un figlio ventenne a cui non ha mai voluto raccontare la verità. Ma quel giorno, ad Assisi, quando un uomo si butta ai suoi piedi vaneggiando di un ritardo imperdonabile, Marcella sente che sta parlando proprio a lei. Perché il tempo è una successione di occasioni e a volte anche da un ritardo può scaturire un miracolo. Quando Marcella risale sul pullman con i suoi studenti, avverte come uno squarcio dentro di sé: la stessa sera decide di rivelare al figlio Matteo la vera causa della morte del padre. Sono trascorsi ventitré anni: quella rivelazione è destinata a cambiare la vita di Matteo e a fargli scoprire che la verità non è mai una sola. E che, come ci racconta Marco Baliani, il passato può essere compreso solo con uno sguardo lucido e nello stesso tempo carico di appassionata umanità.
Elmi e corazze di legionari si specchiano nel Tevere. L'Aquila e la Croce sulle insegne romane svettano al richiamo della battaglia. In prima fila, l'imperatore Costantino guida l'assalto dei suoi uomini, devastante. Il nemico è in fuga, ma il fragile ponte di legno non ne regge il peso. Non c'è via di scampo: le acque del fiume si tingono di rosso, chiudendosi su migliaia di cadaveri. È così che Costantino entra a Roma da trionfatore, con la testa del suo avversario Massenzio su una lancia. Ha realizzato l'ambizioso sogno di unificare il maledetto Impero. Ma a tenere tutto il mondo nelle proprie mani mani che hanno impugnato la spada, mani sporche di sangue - si sta soli. E Costantino lo sa bene. La sua sete di potere lo ha spinto a calpestare chiunque, anche chi lo ama, dalla bellissima moglie Fausta al suo mentore Diocleziano, pagando un prezzo altissimo: la sua libertà. Perché nei palazzi del potere e sui campi di battaglia ogni alleanza può rivelarsi fatale e ogni combattimento essere l'ultimo.
L'estate sta per finire a Fjällbacka, la cittadina sulla costa occidentale della Svezia lentamente si svuota della folla di turisti, e per Erica è arrivato il momento di affrontare una scoperta inquietante: nella soffitta di casa, in un baule dove la madre Elsy conservava i suoi oggetti più cari, ha trovato alcuni diari e una medaglia dell'epoca nazista avvolta in una camicina da neonato macchiata di sangue. Pur spaventata dal rischio di rivelazioni che forse sarebbe meglio continuare a ignorare, decide finalmente di interpellare uno storico esperto della seconda guerra mondiale, da cui ottiene però solo risposte molto vaghe. Due giorni dopo, il vecchio professore viene assassinato. Mentre Patrik cerca maldestramente di conciliare il suo congedo di paternità con il desiderio di partecipare alle indagini, Erica s'immerge nelle pagine del diario di Elsy e nel drammatico passato di cui raccontano, cercando di capire chi è ancora disposto a tutto pur di mantenere il segreto su eventi tanto lontani.
La terza parte dell'opera completa di Giovanni Testori, dal 1977 al 1993.
Londra, 2010. Catherine Gehrig, conservatrice e sovrintendente al Museo Swinburne, viene a conoscenza dell'improvvisa morte del suo collega e amante da tredici anni. Lei, l'altra donna di un uomo sposato, non può mostrare in pubblico il suo dolore e deve tenerlo nascosto. Ma l'unica persona a conoscenza del suo segreto, il suo capo, fa in modo che le venga assegnato un progetto speciale lontano da sguardi indiscreti in un annesso del museo. Catherine, di solito controllata e razionale, è ora sconvolta dal dolore, e in questo stato d'animo si dedica al nuovo compito: ricomporre i pezzi di un'anatra meccanica costruita nell'Ottocento su progetto dell'inventore illuminista francese Jacques de Vaucanson, come se fosse un orologio antico. Insomma deve "riportare alla vita" un automa meccanico. Man mano che procede nel ricomporre il puzzle di ingranaggi, Catherine trova una serie di quaderni scritti dal proprietario originario della creatura: un inglese del Diciannovesimo secolo, Henry Brandling, che era andato in Germania per commissionare all'inventore illuminista l'ambizioso progetto, al fine di regalarlo al figlio malato. Ma sarà Catherine, duecento anni dopo, a trovare conforto e stupore di fronte alla storia di Henry. E sarà l'automaton, nella sua meravigliosa, inspiegabile imitazione della vita, a unire due sconosciuti, lontani nel tempo e nello spazio, a tessere insieme due storie d'amore impossibili.