
Un inspiegabile gesto di rabbia; cose che scivolano di mano; improvvisi tic nervosi; errori sul lavoro: sono solo le avvisaglie dell'uragano che sta per travolgere la vita di Joe O'Brien, poliziotto quarantatreenne di Boston. Un uragano che si chiama corea di Huntington, la malattia neurologica degenerativa "più crudele" tra quelle conosciute. Per lui, la moglie Rosie, e i figli JJ, appena sposatosi, Patrick, Meghan e la più giovane, Katie, è la fine del mondo come lo conoscevano. Non solo: trattandosi di una malattia ereditaria, i quattro figli hanno il cinquanta per cento di possibilità di svilupparla. Ogni certezza, per la famiglia O'Brien, si sgretola; tutto ciò che sembrava così scontato, i giorni tutti uguali mai apprezzati abbastanza, diventano improvvisamente il ricordo struggente di un tempo in cui ogni felicità era possibile solo che nessuno se n'era accorto. Ma le vie della speranza, per quanto tortuose, sono infinite, e se Joe troverà il coraggio di affrontare gli anni che gli restano grazie all'amore che lo circonda, e alla volontà di stare accanto ai suoi figli, per loro non c'è che compiere la scelta più difficile: conoscere gli esiti del test genetico. L'ultima a decidere di voler leggere il proprio destino sarà Katie: ma la sua scelta sarà comunque una sola. Quella di vivere la vita che ha davanti.
Esiste un momento nella vita di ognuno di noi dopo il quale niente sarà più come prima: quel momento è adesso. Arriva quando ci innamoriamo, come si innamorano Lidia e Pietro. Sempre in cerca di emozioni forti lei, introverso e prigioniero del passato lui: si incontrano. Rinunciando a ogni certezza, si fermano, anche se affidarsi alla vita ha già tradito entrambi, ma chissà, forse proprio per questo, finalmente, adesso... E allora Lidia che ne farà della sua ansia di fuga? E di Lorenzo, il suo "amoreterno", a cui la lega ancora qualcosa di ostinato? Pietro come potrà accedere allo stupore, se non affronterà un trauma che, anno dopo anno, si è abituato a dimenticare? Chiara Gamberale stavolta raccoglie la scommessa più alta: raccontare l'innamoramento dall'interno. Cercare parole per l'attrazione, per il sesso, per la battaglia continua tra le nostre ferite e le nostre speranze, fino a interrogarsi sul mistero a cui tutto questo ci chiama. Grazie a una voce a tratti sognante e a tratti chirurgica, ci troviamo a tu per tu con gli slanci, le resistenze, gli errori di Lidia e Pietro e con i nostri, per poi calarci in quel punto "sotto le costole, all'altezza della pancia" dove è possibile accada quello a cui tutti aspiriamo ma che tutti spaventa: cambiare. Mentre attorno ai due protagonisti una giostra di personaggi tragicomici mette in scena l'affanno di chi invece, anziché fermarsi, continua a rincorrere gli altri per fuggire da se stesso...
È quasi sera nella baia di Punta del Este, in Uruguay. Si sente solo il rumore delle onde che si abbattono lievi sulla battigia e lo stridere dei gabbiani. Per Tom, professore d'inglese, è l'ultimo giorno di vacanza, prima di tornare a Buenos Aires, dove insegna. Improvvisamente sulla spiaggia scorge una colonia di pinguini coperti di petrolio, ormai senza vita. Ma in lontananza c'è qualcosa che ancora si muove. Il professore si avvicina e si accorge che un pinguino, uno solo tra centinaia, è sopravvissuto. I suoi occhi chiedono aiuto. Anche se l'animale è in fin di vita, Tom decide di provare a salvarlo in tutti i modi. Corre a casa e, con delicatezza, riesce a pulirlo. Il pinguino si salva, e grazie alle cure si riprende. Ma quando Tom tenta di riportarlo al mare, nel suo ambiente naturale, il pinguino non vuole entrare in acqua e inizia a seguirlo. Il professore non può resistere a quelle buffe zampette e a quel becco socchiuso e lo porta a Buenos Aires con sé. Questo è l'inizio della grande amicizia fra Tom e Juan Salvador il pinguino, fatta di corse su una vecchia motocicletta solo per vedere il mare, cene a base di pesce crudo e partite della squadra di rugby della scuola in cui il professore insegna e di cui Juan Salvador diventa la mascotte. Perché Juan Salvador è un pinguino speciale e cambia la vita di tutti quelli che lo conoscono, soprattutto quella di un ragazzo troppo timido. Insieme a lui, forse, anche il pinguino troverà di nuovo il coraggio di tornare a nuotare...
"A viso scoperto" è una reinterpretazione del mito di Amore e Psiche. Se la fonte della storia è dichiaratamente l'allegoria antica, il racconto risulta molto differente. Ci troviamo in un clima lontano dalle grandi civiltà classiche, in un luogo rintracciabile forse in Turchia, forse vicino al Mar Rosso, in un'epoca situabile tra la morte di Socrate e la nascita di Cristo. Un monarca brutale e incompetente regna su un rozzo palazzo e ha tre figlie: Orual, la donna guerriero dall'orribile viso, Redival e Psiche. È un mondo in attesa, in transizione, dove un vecchio ordine spirituale sta morendo e uno nuovo sta per prendere il suo posto. È il mondo in cui si apre un intricata vicenda: avvenimenti politici e militari, una carestia, un sacrificio, amori, invidie, pentimenti. Abbondano sogni e visioni, vengono aperti trabocchetti, che trasportano verso archetipi situati nel profondo. In questo libro, che Lewis stesso considera la sua migliore opera narrativa, egli ha creato dei personaggi multidimensionali, misti di bene e di male in proporzioni sempre diverse, come dei reali esseri umani.
È il 1843. La sparizione improvvisa di due persone a distanza di tempo sconvolge la quiete di un paesino sperduto fra le montagne dell'Alto Delfinato. Il capitano Langlois, ex combattente e reduce della campagna d'Algeria, viene mandato a indagare. In breve tempo scopre i cadaveri degli scomparsi e si mette sulle tracce dell'assassino. Ma è qui che comincia il vero "giallo", il mistero che troverà soluzione soltanto nelle ultime righe del romanzo. Ed è qui che le parti si rovesciano, e oggetto dell'indagine diventa lo stesso Langlois: perché si ostina a ripetere che quell'uomo - l'assassino - non è un mostro? Come ha fatto, prima ancora di arrivare a incastrarlo, a comprenderlo così a fondo? In quella vicenda lontana, in quella storia di sangue che poteva sembrare destinata a offrire soltanto qualche ora di "distrazione" a dei comuni, normali lettori, c'è qualcosa che ci tocca, che ci coinvolge profondamente. È questo il punto, il senso dell'indagine: quanto è grande la distanza che separa l'essere normale dal mostro? Introduzione di Pietro Citati.
Una settantina d'anni molto ben portati, vedova da quaranta, senza figli, Galina Petrovna vive per la sua adorata cagnolina a tre zampe Boroda, in una placida quotidianità che si divide fra la casa, l'orto e il centro ricreativo per anziani di Azov, la cittadina russa dove ha sempre vissuto. Fedele alle proprie convinzioni, Galina (Galja per gli amici) rifiuta la corte del mite pensionato Vasilij, come rifiuta di mettere il collare alla sua Boroda, così chiamata per la sottile barbetta a punta che le conferisce un'aria molto simpatica. Ma Galja non sa che il mondo è spaccato in due: c'è chi come lei adora gli animali, li ama come se fossero esseri umani, e chi li odia ferocemente. Un giorno, proprio perché libera di vagare fra il giardino e la strada, Boroda viene imprigionata nel furgone del Disinfestatore, l'accalappiacani della città, e portata via. Galja chiede disperatamente aiuto a Vasilij, che le mette a disposizione il proprio sgangherato sidecar. Partiti all'inseguimento del furgone, i due anziani iniziano un'avventura che farà sorridere e commuovere allo stesso tempo, e che ci immergerà in una provincia russa post-sovietica dove il tempo sembra essersi fermato, popolata di personaggi vivaci, riottosi, imprevedibili. In poche parole, incredibilmente umani.
Questo romanzo è un mistery, sono inventati il crimine che scatena la vicenda, la trama, e la soluzione finale, e sono fittizi i protagonisti; ma è pure un pezzo importante di memoria, come forse sarebbe difficile riportare con la stessa evidenza in un saggio di storia. La memoria di cosa fu un grande partito, di come funzionava la mente di dirigenti e militanti, di come si muoveva l'invisibile macchina del potere e del contropotere in una grande metropoli negli anni fine Settanta, poco prima che l'omicidio Moro scompigliasse la storia d'Italia. Milano, autunno 1977, zona Sempione. Una sventagliata di mitra ha ucciso una giovane fioraia. Accanto al corpo, nel chiosco di via Procaccini, una copia dell'"Unità", perché Bruna Calchi, la vittima, era un'iscritta al Pci, dirigente della sezione e del circolo Arci, dove si occupava di teatro e di diritti gay; bella ragazza, molto conosciuta anche per la sua spigliata esuberanza. L'inchiesta poliziesca parte con tutta la prudenza del caso delicato, affidata a un giovane funzionario, moderno e progressista ma capace di stare al mondo; e subito incorre in un primo mistero: l'arma del crimine, una Maschinenpistole, i famosi Mp 40 in uso alla Wehrmacht, riemersa chissà come dalla Seconda guerra mondiale. Contemporaneamente, "per evitare eventuali provocazioni e trappole", muove la controinchiesta del Pci. Se ne occupa il vecchio Peppe Dondi con il suo vice ingegner Cavenaghi...
Molto è già stato detto su Antonia Pozzi, ragazza "imperdonabile" che, nonostante la sua breve vita, ha lasciato più di trecento poesie, numerose lettere, pagine di diari e circa tremila fotografie, e la cui figura è oggetto di una straordinaria riscoperta di pubblico e di critica. Eppure c'e sempre, quando si parla di lei, l'impressione di qualcosa di incompiuto. Come se la "troppa vita" che le scorreva nel sangue non si sia mai voluta lasciare decifrare fino in fondo. Come se ci fosse sempre troppo da dire e nello stesso tempo un'urgenza di silenzio avesse costantemente percorso lei e le persone che le stavano accanto. Per raccontare questo personaggio complesso, profondo e a tratti enigmatico, che ha attraversato gli anni Trenta con intelligenza e passione, sofferenza e determinazione, Gaia De Pascale ha scelto la via del romanzo. Il libro dà la parola alla stessa Antonia, scavando nell'animo della protagonista e restituendo le persone, i luoghi e le atmosfere di un tempo cruciale sotto ogni punto di vista per la storia del nostro Paese. In bilico tra realtà e finzione, "Come le vene vivono del sangue" usa il verosimile come unico mezzo possibile per accedere al fondo segreto dell'esistenza di Antonia Pozzi, e rende omaggio a una figura femminile che ha saputo attraversare con la stessa profondità tanto la vita quanto la morte.
Da tre anni sulla Gran Bretagna non cade una goccia d'acqua. Mentre una prolungata e devastante siccità alimenta cambiamenti politici e sociali, rivoluzioni e nuove religioni, al Pozzo, un podere di campagna rimasto miracolosamente verde, Ruth Ardingly è agli arresti domiciliari nella casa dove per sfuggire alla grande città aveva scelto di trasferirsi con l'uomo che amava. È accusata di avere ucciso suo nipote, Lucien. Un bambino di cinque anni. Tutto intorno la terra è arida e la gente ha sete, solo al Pozzo l'acqua non manca. Ma quel giardino rigoglioso ha reso il mondo al di fuori sospettoso, e ben presto l'angolo di paradiso che doveva rappresentare l'inizio di una nuova vita diventa per Ruth una prigione. Tre sorveglianti controllano e registrano ogni suo gesto, disponendo del suo presente. A Ruth non rimane che il passato da ricostruire. E un terribile sospetto: potrebbe davvero essere stata lei a uccidere Lucien? Nel suo intenso thriller psicologico, Catherine Chanter immagina un mondo in cui le bizzarrie del clima scatenano negli uomini le reazioni più disperate e vili, lasciando spazio all'invidia e ai fanatismi di religioni fasulle. Sullo sfondo di uno scenario talvolta apocalittico, ma allo stesso tempo molto credibile e realistico, pagina dopo pagina seguiamo la ricostruzione di un omicidio insensato, mentre l'idillio sempre più assume le sembianze di un incubo.
"Caro Zeus, da dove cominciare? Prima di conoscerti per me i cani erano come i nani da giardino. M'ero appena preso una nuova casa con giardino e così ho pensato bene di comprarmi un cane, un po' per fare da guardia - non si sa mai, no? - e un po' per giocarci ogni tanto. Tutto pensavo, meno che mi avresti cambiato per sempre la vita." Giorgio Panariello racconta in una lettera la meravigliosa esperienza d'amore con il suo cane, Zeus. Meravigliosa perché composta di gioia, conoscenza reciproca, figuracce in mezzo alla via, tenerezze, qualche parola magica e tanto altro ancora. D'amore perché solo l'amore ha la forza di cambiare i connotati della nostra esistenza. Insieme alla lettera del grande attore toscano, questo libro raccoglie una selezione fra quelle giunte in risposta all'appello della Lega Nazionale per la Difesa del Cane e che raccontano le tante sfumature che può assumere il rapporto tra una persona e il suo cane. C'è lo studente fuorisede che si porta il suo alano e quindi fatica il triplo a trovare una stanza con uso cuccia; la signora che sente che la sua cagnetta sta per partorire e, senza pensarci un secondo, molla i colleghi di lavoro per correre ad assisterla; il ricordo di una bambina che trovò il suo amico del cuore come regalo di Natale, il più importante. E tante altre meravigliose follie che sembreranno incredibili solo a chi non ha mai avuto e amato un cane. C'è un mondo intero che ha allungato una mano verso una zampa ricevendone uno strattone di vivificante amore.
Uno scienziato morente, imprigionato in un laboratorio sovietico perduto in un'immensa e desolatissima Siberia, fa pervenire un disperato messaggio in codice a Johnny Porter, indigeno canadese del popolo Gitskan, erudito, scienziato e profondo conoscitore dei dialetti siberiani: lo supplica di raggiungerlo in segreto, a tutti i costi, lui, lui solo. E Porter, agente dei servizi segreti americani, accetta la sfida; compie un viaggio impensabile, rischia la vita per un segreto cifrato e poi tenta la più grande fuga di tutti i tempi, quasi impossibile. Andata e ritorno perciò, non diversamente da tanti altri romanzi. Ma pochi sono gli scrittori che, come Davidson, riescono a incastrare i dettagli nella storia con tanta intelligenza, passione e necessità. Basta leggere di come Porter riesce a infiltrarsi su una nave giapponese sostituendosi a un marinaio coreano - la sua bravura nel parlare esattamente quel particolare dialetto coreano, la sua capacità di imparare a memoria le mappe della nave, come si sostituisce in modo perfettamente plausibile, invisibilmente, al marinaio di cui prende il posto e di come, infine, si procura i documenti e i falsi permessi senza lasciare tracce, senza che nessuno si accorga di nulla... E ancora di come Porter si procura il mezzo per percorrere le migliaia di chilometri della fuga. Una jeep che si costruisce da solo in una caverna di ghiaccio a 50 gradi sotto zero, nella desertica regione di Kolyma, lavorando giorno e notte e rischiando di morire.
Dalle terre estreme della Siberia, dove il candore gelido della neve ricopre ogni prato e le temperature arrivano a -50°C, Nicolas Vanier ha iniziato il suo viaggio straordinario: su una slitta insieme ai suoi dieci cani attraversa 6.000 chilometri, partendo da un piccolo paesino che si affaccia sul più vasto degli oceani, il Pacifico, per arrivare al più grande lago al mondo, il Bajkal. Passando per la Manciuria, la Cina del Nord e la Mongolia, la loro avventura tra i ghiacci e il silenzio diventa la storia di una profonda amicizia tra l'uomo e i suoi amici a quattro zampe : dall'incorreggibile Dark, che ha il pregio di farsi sempre sentire, alla leader Burka, che conduce la slitta e che non esita a mostrare la gelosia e la voglia di competizione. Correndo con loro sulle nevi, attraversiamo fiumi ghiacciati che, cedendo, tentano di inghiottire Nicolas e l'impavido husky Wolf. Attraversiamo tempeste di neve, terreni scoscesi e steppe sconfinate, in cui i cani possono correre felicemente liberi. Vediamo Nicolas e i suoi dieci fidati compagni dormire all'addiaccio nel regno delle tigri siberiane, scontrarsi con alci e linci e, nella solitudine del loro viaggio, entrare in contatto con l'ospitalità e il calore di abitanti locali e popolazioni nomadi. Una lunga traversata delle terre più estreme e impervie, tra maestosi paesaggi che, come sinfonie della natura, fanno da sfondo a un'avventura unica, all'insegna dell'amicizia.

