
"Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico." Così Oriana Fallaci nella premessa a "Il sesso mutile", il primo libro che pubblica con Rizzoli, nel 1961. L'anno precedente, inviata de "L'Europeo", è in Oriente insieme al fotografo Duilio Pallottelli per un'inchiesta sulla condizione delle donne. È partita alla ricerca di tracce di felicità e nel libro racconta la sua esperienza: a Karachi in Pakistan assiste al matrimonio di una sposa bambina e si ribella all'idea delle donne velate; a New Delhi incontra Rajkumari Amrit Kaur, figura di grande potere in India, e le sembra che assomigli a sua nonna; in Malesia conosce le matriarche che vivono nella giungla; a Singapore c'è la scrittrice Han Suyin, che sente subito amica; a Hong Kong le cinesi non hanno più i piedi fasciati ma le intoccabili abitano ancora sulle barche, senza mai scendere a terra; a Tokio è smarrita di fronte all'impenetrabilità delle giapponesi e a Kyoto affronta il mistero delle geishe; alle Hawaii cerca invano i segni di un'esistenza originaria intatta. Il viaggio si conclude a New York, dove il progresso ha reso più facile la vita delle donne a confrontarsi con "un mondo di uomini deboli, incatenati a una schiavitù che essi stessi alimentano e di cui non sanno liberarsi".
Hesse compie una personalissima sintesi della religione e delle religioni, partendo dal rifiuto del paterno protestantesimo e riconoscendosi in un cristianesimo adogmatico. Ma non è l'idea di divino e di Dio, che secondo San Tommaso d'Aquino non è possibile conoscere, al centro della sua fede, bensì l'individuo. Egli crede nell'uomo e nelle leggi dell'umanità, ed è a partire da questa fede che costruisce il suo credo: una rivalutazione dell'esperienza individuale della storia che va oltre i dogmi e le mode in nome di una religione della pace.
"Bagheria" è un racconto affidato alla memoria. L'autrice, bambina, arriva in Sicilia dopo aver trascorso due anni in un campo di concentramento giapponese. Con infantile intensità vive la scoperta delle proprie origini, della nobile famiglia materna, così radicata in quel paesaggio fatto di palazzi baronali e case che sembrano reggersi una all'altra. Nell'omertà delle pareti domestiche si consumano rapporti tortuosi, dove il prezzo da pagare ricade sempre sulle donne, sacrificate alla "legge" dell'onore in una società che tutto sa, ma finge di non vedere.
Il racconto di una vita trascorsa nel Gulag staliniano ci pone di fronte a una realtà raccapricciante che tutto sommato ci sembra di avere già conosciuto attraverso testimonianze altrettanto drammatiche. Ma Evfrosinija Kersnovskaja riesce a creare quell’impatto che fa tornare in mente, a lettura finita, innumerevoli episodi, volti, voci, con un procedimento che all’inizio del Terzo Millennio appare di stupefacente novità. Raramente le vittime di un regime totalitario hanno raccontato la loro esperienza con il gusto della narrazione e con una sensibilità estetica che non vengono meno di fronte all’orrore e all’abbrutimento. La lettura di queste pagine, illustrate dagli straordinari disegni dell’autrice, cattura la nostra attenzione per l’azione in sé e per il ritmo infuso dalla vitalità della protagonista.
La formula della Kersnovskaja è quella del romanzo illustrato. È nuovo il ruolo del lettore, che, quasi come in un gioco ipertestuale, entra nelle immagini, ascolta la voce narrante e partecipa alle vicende. Non esistono riprese documentarie del Gulag, tanto meno girate dalle vittime. Ma grazie a questo incomparabile “fumetto”, a distanza di settant’anni dagli eventi, dal permafrost siberiano emergono volti e voci, quasi fossero le parole surgelate di cui parla Rabelais. È nuovissimo il tono della narratrice. Ci si aspetterebbe la voce di una vittima, di una donna che subisce, patisce, che è picchiata, seviziata, sbattuta nelle carceri di rigore. E invece l’io narrante è quello di una vincitrice fisica e morale.
Frosja (Evfrosinija) Kersnovskaja, proprietaria terriera di famiglia aristocratica russo-greca, è stata allevata nell’agiatezza, ha studiato lingue e musica, disegno artistico e materie umanistiche nei migliori ginnasi del suo tempo. Eppure in certi momenti si dichiara fiera di avere fatto a pugni con prostitute e malviventi, di avere lavorato a pari condizioni con manovali e minatori maschi, e di averli superati! Non è una donna umiliata e impaurita dalle beffe sadiche dei carcerieri. Anche quando testimonia l’umiliazione delle donne nude, calpestate, violate nella loro intimità, riporta di sfuggita le proprie esperienze, presentandosi come una fra le tante, anzi come una che forse ha sofferto meno delle altre.
“Per lei la cultura funziona come àncora di salvezza in termini assoluti (nella cella di rigore, d’inverno, denudata, costretta a passare la notte su un piede solo nella stanza piena di escrementi, si salva declamando ad alta voce versi del suo poeta preferito). La cultura le serve anche da magica lente d’ingrandimento, che ingigantisce nella memoria le sue esperienze private. Raccontate e illustrate, le vicende private diventano straordinarie. Nella tragedia immane, ci è dato percepire ‘quanto vale un uomo’, nel caso specifico, quanto vale questa donna.”
Elena Kostioukovitch
E allora che cos’è Giulio?
Qualcosa che non era nei piani.
Qualcosa che non c’entrava niente.
Che non c’entra, niente.
Un mistero da accettare.
Che più pensi di poter dominare, più in quel momento ti domina.
Una passione scomoda.
Sinistra.
La vita di Nina e Bernardo è ispirata da grandi ideali di sinistra, quella di Giulio e Simonetta da principi concreti di destra.
Due coppie, insomma, con aspirazioni diverse ed esistenze fra loro apparentemente inconciliabili: ma uno scherzo del destino le fa incontrare e rivela loro una sotterranea possibilità di contatto...
Complice la Grande Storia, quella delle vicende politiche e sociali di un’Italia in piena fase di transizione, dalla caduta del Muro di Berlino al giorno esatto dell’ultima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, Chiara Gamberale racconta, con ironia e disincanto, la storia di un’attrazione che ha come suo insolito presupposto il disprezzo reciproco. Una passione che non dovrebbe esplodere eppure esplode, una passione scomoda, ambigua: sinistra.
Senza presupposti romantici, ma romantica suo malgrado: di fatto capace di travolgere differenze ideologiche e culturali e di insinuarsi nelle certezze di personaggi che, per la prima volta, si trovano così di fronte a un dubbio. A fulminante dimostrazione di come, oggi più che mai, tutto quello che più rifiutiamo – su un piano personale che si fa immediatamente politico – in qualche modo ci riguarda.
E forse ci assomiglia.
Quando comincia a riprendere conoscenza, in una delle stanze dell'ospedale Bicêtre, René Maugras, direttore del principale quotidiano della capitale, ricorda poco di quanto è avvenuto la sera precedente: sa che era a cena, come ogni primo martedì del mese, nella saletta privata del Grand Véfour (uno dei più antichi ristoranti di Parigi, e anche uno dei più esclusivi) con un gruppo di amici i quali, come lui, si considerano, ciascuno nel proprio campo, dei personaggi molto, molto importanti. A un certo punto era andato alla toilette, e lì (come scoprirà più tardi) lo avevano trovato a terra un quarto d'ora dopo. Sa quindi di essere vivo, e da medici autorevoli convocati al suo capezzale si sente dire che guarirà, che ricomincerà a muovere il braccio destro, che potrà di nuovo parlare. Ma René Maugras sa anche un'altra cosa: che non gli importa. A poco a poco, attraverso il groviglio di pensieri e di ricordi che gli affollano la mente, si fa strada una domanda: «A che scopo?» - a che scopo essere diventato un personaggio importante, essersi dato tanto da fare - a che scopo vivere, in definitiva? Tant'è che ci sarà un momento in cui quelli che lo attorniano avranno paura che lui si lasci andare, che rinunci a lottare contro la malattia. E invece no: con la lucidità di una solitudine spogliata di ogni maschera, Maugras ripercorrerà la sua esistenza, e soprattutto si interrogherà sull'essere che gli sta accanto da anni: sua moglie Lina, che è diventata un'estranea per lui, e che sta sprofondando nell'alcolismo.
Rachel Samstat è una donna brillante, di successo, che scrive libri di cucina, sposata con un giornalista di Washington in carriera, Mark, e con un figlio piccolo. Fino a poco fa aveva pensato dì condurre una vita felice, ha però appena scoperto che il marito intrattiene una relazione con la sua insospettabile amica Thelma Rice. Una storia banale, che può capitare a tutti, che capita a tanti. Ma Rachel rivede adesso tutta la sua vita matrimoniale,gli anni trascorsi e se stessa con occhi disincantati. E riesce a prendersi così la sua rivincita. L'ironia cura le ferite e la tragedia, d'incanto, si trasforma in commedia. E se il primo giorno può non sembrare molto buffo, la vita continua e possono sempre nascere nuove storie. Sono l'amore, il tradimento, la perdita e la vendetta gli ingredienti di cui è fatto questo effervescente romanzo di umorismo al femminile.
Al Paseo de Gracia di Barcellona - dice un anonimo autore catalano - tutti si incontrano come al giudizio universale. Qui però "Il Giudizio Universale" è il titolo di un kolossal cinematografico ispirato alla Cappella Sistina: vogliono realizzarlo un vecchio produttore avido di potere e di denaro in alleanza con un rampante capitano dell'industria televisiva degli anni Ottanta. Esiste già un'antica sceneggiatura scritta da Eugenio Crema-Donnini, o Eugene Kramer, come lo chiamano ora in California, talentuoso scenografo da Oscar, vero protagonista del libro: un uomo doppio, di "granitico egocentrismo", tormentato da un eros che lo spinge a ripetuti tradimenti e trasgressioni, ma al tempo stesso marito senza pentimenti e padre coscienzioso. Edito nel 1987, "EI Paseo de Gracia" è un romanzo di invenzione rigogliosa in cui i classici temi soldatiani sono proiettati nel mondo che cambia dell'economia e della comunicazione; un libro doloroso e irriverente in cui Soldati ha il coraggio di farsi beffe di tutto, del cinema, della finanza, delle donne, persino di se stesso. Questa edizione si arricchisce di un'introduzione di Massimo Onofri e di una nota al testo di Stefano Ghidinelli, corredata da materiali inediti.
"ACAB". All Cops Are Bastards. Il refrain di un celebre motivo skin anni Settanta diventa richiamo universale alla guerra nelle città, nelle strade. Michelangelo, "Drago" e "lo Sciatto" sono tre "celerini bastardi". Sono odiati e hanno imparato a odiare. Basta leggere l'impressionante e inedita chat del loro reparto per capirlo. Cresciuti nel culto della destra fascista, si scoprono disillusi al termine di una parabola di violenza che è la loro "educazione sentimentale". Nella narrazione di Bonini si svela, attraverso l'occhio e il linguaggio degli "sbirri" e una lunga inchiesta sul campo, la trama occulta dei più sconcertanti episodi di violenza urbana accaduti in Italia negli ultimi due anni. Che collega in un ritmo serrato e una scrittura emozionante episodi accaduti in tempi e luoghi diversi come l'assalto militare degli ultras a una caserma di Roma e la caccia al romeno nelle periferie, i Cpt per immigrati clandestini e gli scontri della discarica di Pianura. La catena dell'odio e delle impunità.
Avere tra le mani la prima edizione a stampa de "Il porto sepolto" (1916) non è solo un'esperienza mistica per bibliofili. È aver tra le mani un pezzo di storia letteraria italiana. Dall'uragano futurista, di cui sta per scoccare il centenario, alle opere più famose edite in poche copie di Dino Campana ed Eugenio Montale, dalla riscossa del romanzo avviata da Italo Svevo, in una Trieste in cui nessuno si accorse dei suoi libri, alle avanguardie degli anni Sessanta, dai piccoli editori che ebbero il coraggio di pubblicare opere in anticipo sui tempi. Il bibliofolle ne descrive la carta o le copertine illustrate da Mino Maccari, Giorgio Morandi, Alberto Burri. E racconta come titoli che hanno segnato un'epoca vendessero al loro debutto poche centinaia di copie o fossero stati addirittura rifiutati dagli editori. O come libri importanti siano scomparsi perché diventati politicamente scorretti.
Tre uomini (il vecchio Zio Ather, il giovane Sylder che contrabbanda liquori e il ragazzino John), sono i protagonisti di una vicenda che ruota attorno a un cadavere, quello del padre di John, ucciso da Sylder e vegliato da Ather in un orto fra le montagne del Tennessee. Ma in un'agghiacciante commedia degli errori nessuno dei tre ha davvero compreso l'identità dell'altro. Il romanzo, primo dell'autore, ricorre a una lingua volutamente arcaica.