
Frutto perverso degli esperimenti di uno scienziato "apprendista stregone", espressione di una visione apocalittica della scienza, la creatura di Frankenstein è tuttora la raffigurazione del "mostro" per eccellenza, materializzazione vivente delle nostre paure. Mary Shelley, cresciuta in un ambiente intellettuale di prim'ordine (nell'Inghilterra tra Sette e Ottocento), si ispira ai miti di Faust e Prometeo.
"Piccole donne" è il capolavoro di Louisa May Alcott, il romanzo che l'ha resa celebre e che ha conosciuto innumerevoli versioni cinematografiche (tra le quali spicca quella con Susan Sarandon e Wynona Rider). Conosciamo la famiglia March in un momento critico: ha subito rovesci economici e il padre è stato chiamato a partecipare alla guerra di Secessione; così le quattro figlie e la mamma restano sole ad affrontare piccoli e grandi problemi. La capricciosa Amy, la vivace Meg, la delicata Beth e soprattutto la ribelle e impulsiva Jo compongono un quartetto in cui diverse generazioni di lettrici si sono identificate e si identificano. "Piccole donne crescono" racconta la prima giovinezza delle quattro protagoniste, tra sogni, speranze e tanti progetti da realizzare. Due classici della letteratura giovanile, nei quali non è centrale l'attesa del principe azzurro ma una ricerca di valori morali, affetti solidi e sinceri e realizzazione personale, sia tra le gioie della serenità familiare, sia nell'espressione e nel riconoscimento del proprio talento. ntroduzione di Chiara Gamerale. Premesse di Berenice (Jolanda Baldini).
Questa raccolta di aforismi, pubblicata un anno dopo la morte di Wilde dal suo esecutore testamentario, rappresenta una parte minore ma significativa della produzione letteraria dell'autore. Gli aforismi, infatti, esprimono il suo pensiero e i suoi sentimenti in forma immediata e solo apparentemente superficiale. Si tratta della messa in prosa libera delle più complesse profondità di un animo irrequieto e controcorrente, delizia, stupore, scandalo dell'Inghilterra vittoriana, che in poche righe riesce a dare conto delle sue convinzioni più severe e autentiche sulla vita, le donne, la morale, l'arte e la società. Con un saggio di James Joyce.
In queste lettere d'amore scritte tra 1945 e il 1946 e mai spedite, Ingeborg Bachmann si rivolge a un "tu" imprecisato, all'"amato", a Felician. Costretta nella casa estiva dei genitori, trova in questo colloquio una via per sfuggire ai limiti di una cittadina di campagna. È un grande poeta che per la prima volta prova la sua voce o è il primo amore di un poeta di vent'anni? Se la personalità di Felician resta misteriosa, la Bachmann si rivela invece nella sua sottile e delicata potenza. Un libro intimo e prezioso, l'opera ritrovata di una grande scrittrice del nostro tempo.
Momo è un inquieto adolescente, vivace e ribelle, costretto tra le mura di una scuola militare in Algeria. Un giorno, nell'odiata routine della sua vita, appare una trentenne dai lineamenti incantevoli e lo sguardo remoto. Il Ragazzo se ne innamora a prima vista e ne insegue ostinatamente le tracce. ma è solo la fantasticheria di "un moccioso in preda al mal d'amore"?
"Ci vuole un poeta per rompere il silenzio e la disperazione, per dire l'indicibile verità. La Walker annuncia ciò che non ci è più concesso fare, ciò che non permetterà più che succeda". Howard Zinn. L'autrice de "Il colore viola" (1984), militante per i diritti civili, ci offre una testimonianza dai territori dell'orrore mo-derno, Ruanda, Congo Orientale e Striscia di Gaza, perché la carneficina abbia fine e la voce della libertà trovi ascolto.
"La Preghiera per chiedere a Dio il buon uso delle malattie (1648) dovrebbe toccare il cuore della gente di questo secolo, nel quale non c'è casa che non sia stata visitata dal dolore, di questi nostri tempi, nei quali, in mezzo alla cupidigia, e in modo che, a memoria d'uomo, per numero di moltitudini compromesse e accavallarsi di rivolgimenti, non ha riscontro, si son fatti largo l'eroismo e la rassegnazione, di questi anni, nei quali son così visibili, la fralezza e la maestà dell'uomo. La malattia di Pascal era atroce. Più di dieci anni, non gli lasciò requie. Non fu mai udito lamentarsi. [...] Quale umiltà sarà pari a quella di Pascal? Quando, l'esempio del supplizio del Golgota, ha tratto da abissi d'anima umana più prona adorazione e più consapevole?" Giuseppe Ungaretti.