
Figlia illegittima del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza e di Lucrezia Landriani, Caterina crebbe nella raffinata corte di Milano della seconda metà del Quattrocento. La sua affascinante vicenda personale e politica è raccontata in questo romanzo dalla voce della sua dama di compagnia, Dea, esperta lettrice di tarocchi. Mentre Dea cerca nelle sue carte il nome dell'assassino del marito di Caterina, lei sfida le convenzioni sociali in nome della passione e combatte contro chi vuole rubarle le terre e il titolo. Ma le carte di Dea non mentono, e mostrano un nome, quello dell'uomo che riuscirà a distruggerla, Cesare Borgia.
La settantacinquenne Margaret Hughes vive in una grande villa sulle colline di Seattle in compagnia di una vasta collezione di porcellane antiche e preziosissime. Le ha ereditate dal padre e da allora le ha custodite con ogni cura, fingendo di ignorarne la storia, fino a trasformare stoviglie, portacalamai e statuette nella famiglia che non ha potuto conservare. Ma una diagnosi di astrocitoma maligno cambia tutto. Margaret decide che è tempo di far piazza pulita di fantasmi e segreti e aprire la sua casa al mondo; quel che le occorre è un'inquilina. Risponde all'annuncio Wanda Schultz, una giovane direttrice di scena da poco giunta in città alla ricerca dell'uomo che ama, allontanatesi da New York con il proposito per nulla originale di "trovare se stesso". Per Wanda è solo l'ultimo di una serie di abbandoni che, a partire da quello dei genitori, spingono la ragazza a indossare sempre nuove corazze dietro cui nascondere il suo cuore impietrito. Per quanto stranamente assortite, le due donne trovano un immediato legame nella comune necessità di smantellare un passato troppo doloroso, e a mano a mano che l'improbabile nucleo familiare si va rimpolpando di nuovi accattivanti membri, Margaret e Wanda scoprono che una grande rottura può condurre a una grande riparazione, che le vie del riscatto possono essere divertenti e imprevedibili, e che la miglior colla per ciò che si spezza è la tenerezza.
In una città devastata dalla paura e dal dolore ci sono almeno due persone che gioiscono, segretamente, della possibile morte l'una dell'altra. Quella dell'11 settembre 2001 è una mattina come tante nella routine quotidiana di Marshall e Joyce. Lei esce presto per salire sul volo diretto a San Francisco dall'aeroporto di Newark. Lui fa tardi al lavoro per flirtare con la maestra d'asilo di sua figlia. Giunge al World Trade Center appena in tempo per vedere l'inferno e salvarsi. Dall'ufficio di Joyce, intanto, arriva un contrordine che le risparmia di perdere la vita sull'aereo che si schianterà in Pennsylvania. Sopravvivere al più grande attentato che il terrorismo internazionale sia mai riuscito a mettere a segno nel cuore d'America non significa però scampare al caos di un'esistenza allo sbando. Perché Joyce e Marshall, dopo essersi amati, sposati e aver generato due figli, stanno ora combattendo la più feroce e avvilente delle guerre: il divorzio. Ma il loro disordine "particolare" non che è il frammento di una più vasta crisi della famiglia, della società e della politica del paese. Con sguardo impietoso, scrittura graffiante e soprassalti visionari Ken Kalfus racconta l'America in modo dissacrante, rivelandosi uno dei più arditi narratori della sua generazione.
Un libro che con stile narrativo descrive la preparazione e lo svolgersi degli eventi bellici mettendo al centro del racconto la grandissima figura del generale Kuribayashi: il comandante in capo a Iwo Jima che si ribellò alla convenzione estetica della morte eroica e non solo proibì ai suoi soldati di lanciarsi negli attacchi suicidi ma combattè con i suoi uomini in prima linea per contrastare l'avanzata degli americani e la conquista di un primo avamposto di suolo giapponese. Da questo libro Clint Eastwood ha tratto il suo film "Lettere da Iwo Jima".
Gopal è un giovane straordinario che, nel canto e negli strabilianti mutamenti del suo corpo, rivela doti assolutamente fuori dal comune. Madhavacharya, un monaco del convento di Galta, decide perciò di condurlo nel suo monastero e di diventare il suo guru. Gopal, chiamato Ram Das Baba, è riconosciuto come uno dei sommi maestri del suo tempo, quando si imbatte in Vivek, un giovane dai costumi occidentali del tutto diverso da lui. Tra il giovane e il santo si stabilisce un'intensa relazione che condurrà Vivek a divenire un saggio illuminato in lotta per il risveglio politico e l'indipendenza nazionale dell'India.
In una serie di lettere la pittrice messicana Frida Kahlo (1907-1954), oggi considerata tra le più significative artiste del ventesimo secolo, racconta la sua vita, la sua arte, le sue tragedie (la poliomelite contratta da piccola e l'incidente stradale che, diciottenne, la rese invalida costringendola a continue operazioni), i suoi sogni e i suoi amori: la sua passione per Alejandro, il lacerante rapporto con l'artista Diego Rivera, la sua adesione al marxismo. Il libro è arricchito da un ampio apparato iconografico, in bianco e nero.
Camminare è diventato un gesto sovversivo. Non serve essere atleti professionisti, aver scalato l'Everest o raggiunto il Polo Nord, come Erling Kagge. La rivoluzione è alla portata di chiunque. Basta decidere di rinunciare a qualche comodità e spostarsi a piedi ogni volta che è possibile. Anche in città, anche nel quotidiano. Sottrarsi alla tirannia della velocità significa dilatare la meraviglia di ogni istante e restituire intensità alla vita. Chi cammina gode di migliore salute, ha una memoria più efficiente, è più creativo. Soprattutto, chi cammina sa far tesoro del silenzio e trasformare la più semplice esperienza in un'avventura indimenticabile.
Kafka è uno dei profeti dell'animo contemporaneo. In questa antologia che raccoglie alcuni dei suoi più potenti racconti - da "Un medico di campagna" a "La tana", da "Un eroismo quotidiano" a "Un messaggio imperiale" - possiamo seguire la voce che ha documentato in modo sorprendente e a tratti profetico la crisi e la speranza dell'uomo di oggi: tutti i toni della cupezza, dell'ossessione e dell'infelicità moderna trovano nella scrittura di Kafka acuta espressione, restituendoci il dramma dell'esistenza umana, costantemente stretta tra i propri limiti e la propria ansia di infinito. Racconto dopo racconto, emerge così da queste pagine il desiderio di reperire una speranza possibile, di trovare una via che finalmente conduca alla meta sempre intravveduta.
"La vera via - afferma Kafka - attraversa una corda che non è tesa in alto ma rasente terra." È la via senza meta, un cammino infinito per strade interrotte e sentieri che sviano, un itinerario di salvezza fatto di indugi e drammatiche cadute su una impercettibile corda tesa rasoterra. Come una paradossale invocazione, come una lacerazione impossibile da rimarginare, la scrittura aforistica di Kafka evoca il dramma dell'uomo contemporaneo e celebra l'abbandono a una vita irrimediabilmente priva di senso. Una scrittura e un pensiero che molto devono ai temi dell'ebraismo, che testimoniano il destino storico del popolo nomade e senza patria come simbolo metafisico di un'esistenza sradicata.
Un doloroso atto d'accusa, una disperata richiesta di affetto per un figlio troppo debole al padre troppo forte.
Josef K. condannato a morte per una colpa inesistente è vittima del suo tempo. Sostiene interrogatori, cerca avvocati e testimoni soltanto per riuscire a giustificare il suo delitto di "esistere". Ma come sempre avviene nella prosa di Kafka, la concretezza incisiva delle situazioni produce, su personaggi assolutamente astratti, il dispiegarsi di una tragedia di portata cosmica. E allora tribunale è il mondo stesso, tutto quello che esiste al di fuori di Josef K. è processo: non resta che attendere l'esecuzione di una condanna da altri pronunciata.