
"Ho fatto del mio meglio per scrivere una biografia definitiva," afferma Painter, "il racconto completo, fedele e circostanziato della vita di Proust, senza inventare il minimo dettaglio; anche quando ho descritto le condizioni atmosferiche di una particolare giornata o l'espressione di un viso in questo o quel momento, l'ho fatto in base a testimonianze attendibili." Painter ci restituisce così la realtà nel suo divenire stesso, nei suoi mille frammenti che vanno poi a ricomporsi nelle dimensioni temporali della "Recherche".
Il Novecento è il secolo di Boris Pahor: ne ha vissuto gli orrori e le conquiste, facendosene testimone per eccellenza. Il racconto della sua esperienza esistenziale è, dunque, un racconto etico e vivo, denso di avvenimenti e aneddoti che seguono un tracciato cronologico ma mai banale o scontato. La sua biografia si sviluppa attraverso questo racconto, fatto da Pahor in prima persona, e contestualizzato dalla curatrice. Non si tratta solo di una autobiografia ma anche di una storia di Trieste, storia in cui si specchia la storia del novecento europeo. Così, accanto alla storia viva, in presa diretta di Trieste, della comunità slovena e delle altre comunità che arricchivano e in parte arricchiscono, la città; accanto alla cronaca della disgregazione dell'impero asburgico, della Grande guerra, dello squadrismo e del fascismo, Boris Pahor racconta la sua crisi esistenziale, l'esperienza della guerra in Africa, l'adesione al fronte di liberazione sloveno e la conseguente deportazione nei lager, il difficile ritorno alla libertà e alla vita.
"Il fascismo ci aveva portato via le scuole, la lingua, persino i nomi. Tutto ciò che poteva esprimere, anche vagamente, la nostra identità nazionale fu cancellato." Boris Pahor era solo un bambino quando a Trieste fu proibito parlare sloveno. L'italianizzazione forzata, imposta dal fascismo alla città multiculturale in cui era nato e cresciuto, lo segnò per sempre. Studente più volte bocciato, seminarista per ripiego, soldato dell'esercito italiano, antifascista militante, deportato politico, insegnante e infine scrittore acclamato, Pahor ripercorre qui gli snodi della sua esperienza scandita dai tre no che oppose con uguale fermezza al fascismo, al nazismo e al comunismo. Attraverso il racconto personale - dall'incendio della Casa di cultura slovena ai campi di concentramento, dalle memorie di infanzia al primo amore salvifico - l'autore di "Necropoli" ricorda ai troppi che vogliono dimenticare che il fascismo non fu un regime tollerante, ma incarnò un male violento e oppressivo. E ripete che è giusto commemorare le vittime della barbarie delle foibe, ma è altrettanto necessario ammettere prima i soprusi di una dittatura senza pietà nei confronti delle minoranze. Perché la tragedia delle terre di confine nasce proprio dai silenzi di una memoria troppo indulgente con se stessa.
Nel 1943, nell'Italia occupata dai nazisti, uno studente in Legge sloveno Rudi - getta la divisa e si rifugia sui monti. Preso il treno per andare verso la sua città natale, incappa in un commando di tedeschi a cui sfugge miracolosamente trovando rifugio in campagna. È qui che viene accolto dalla diciottenne Vida, una ragazza sognante, pervasa da ideali forse ingenui ma profondi e da un desiderio irresistibile di andarsene, di cambiare l'orizzonte della sua vita. Rudi si sente molto attratto da lei, ma non tollera il fatto che Vida rinneghi la propria slovenità. Il senso di inferiorità culturale che la ragazza esprime con le sue scelte lo irrita profondamente e lo spinge a riaffermare, per contrasto, le proprie radici, rievocando episodi e aneddoti che hanno segnato la sua vita e quella della comunità slovena in Italia dopo la fine della Grande Guerra e l'avvento del fascismo. A confondere ancor di più sensazioni e sentimenti sopraggiunge una ragazza che Rudi aveva conosciuto in treno: Majda, una staffetta partigiana, incaricata di portarlo da suo fratello. Rudi entra così in contatto con la lotta armata. Ma è questa lotta, dalla cui fascinazione non riesce a liberarsi, che lo condanna all'isolamento. La sua vita non può concedersi all'amore, tutti i ruoli imposti dalla Storia non possono essere dismessi, ad ogni costo.
Radko Suban, alter ego dell'autore, torna a Trieste dopo la drammatica esperienza del lager e la degenza nel sanatorio dove l'amore per l'infermiera francese Arlette gli ha fatto riscoprire il gusto per la vita. La città natale, con i suoi caffè che un tempo echeggiavano delle conversazioni di una intellighenzia tra le più brillanti d'Europa, è la stessa di ieri ma Radko fatica a riconoscerla, mentre le grandi potenze ne tengono ancora in sospeso il destino. La comunità slovena è più straziata che mai dopo la costituzione della Jugoslavia che un tempo sembrava incarnare l'anima della resistenza a tutti i fascismi e che già versa, appena nata, nella peggiore caricatura totalitaria. Arlette, che prometteva di aiutarlo con la sua presenza, gli scrive ma si guarda bene dal raggiungerlo. Presto Radko comprende che i rapporti che riesce a intessere sono falsati dalle ideologie, dal calcolo. Ormai dovrà avanzare su un terreno minato, eredità trasmessa dalla guerra alla pace ritrovata, ricavarsi la strada in un labirinto ostile. Imparare di nuovo a orientarsi nella notte: questo è il compito che si trova davanti. Impossibile, forse, il solo però che valga la pena di affrontare se si è uomini.
Campo di concentramento di Natzweiler-Struhof sui Vosgi. L'uomo che vi arriva, una domenica pomeriggio insieme a un gruppo di turisti, non è un visitatore qualsiasi: è un ex deportato che a distanza di anni è voluto tornare nei luoghi dove era stato internato. Subito, di fronte alle baracche e al filo spinato trasformati in museo, il flusso della memoria comincia a scorrere e i ricordi riaffiorano con il loro carico di dolore e di rabbia. Ritornano la sofferenza per la fame e il freddo, l'umiliazione per le percosse e gli insulti, la pena profondissima per quanti, i più, non ce l'hanno fatta. E come fotogrammi di una pellicola, impressa nel corpo e nell'anima, si snodano le infinite vicende che parlano di un orrore che in nessun modo si riesce a spiegare, ma insieme i tanti episodi di solidarietà tra prigionieri, di una umanità mai del tutto sconfitta, di un desiderio di vivere che neanche in circostanze così drammatiche si è mai perso completamente.
Questo libro comincia con il primo re d'Italia, che tanto per confondere le idee si chiama Vittorio Emanuele II. Parla soprattutto piemontese e francese, e fa errori quando scrive in italiano. Tarchiato e con i baffoni spalancati, sposa la cugina Maria Adelaide, magra e pallida, ma capace di mettere al mondo tanti figli e di non protestare se il marito sembra interessato solo alla caccia e alle donne. Gli succede Umberto I, baffi ad ala di gabbiano, anche lui incline a far fuoco, ma sugli scioperanti più che sulla fauna: non a caso finirà vittima di un attentato. Prima però sposa, per ragioni dinastiche, un'altra cugina, "quella pizza della Margherita" come amava ripetere, "la regina più imperlata d'Italia". Sarà seguito da Vittorio Emanuele III, detto Dondolo, baffetti all'insù e grande amante di monete da collezione e perfino della moglie. Un po' meno del Paese, che infatti affiderà a Mussolini e alle sue follie di grandezza. E quando l'amata Elena non avrà più tempo per lui, perché troppo occupata a curare i feriti di guerra, Dondolo deciderà di liquidare il Duce, per poi consegnare l'Italia nelle mani inadatte del figlio Umberto II, re solo per un mese... Una storia dinastica che demolisce i Savoia sotto i colpi di una sferzante ironia. Prefazione di Massimo Gramellini.
La segretaria di un broker viene trovata agonizzante in ufficio dal suo capo. La testa fracassata. Morirà pochi minuti dopo. Quella mattina era andata al lavoro più presto del solito. Il commissario della polizia di Genova ha appena dato le dimissioni dopo la fine amara dell'indagine sul mondo del calcio, ed è travolto dalle tristi vicende della sua vita privata. L'indagine tocca dunque al suo vice. I possibili sospetti sono molti, a cominciare dal broker, che nasconde sicuramente affari loschi e vanta importanti protezioni, ma il movente è poco chiaro, e l'arma del delitto non si trova. Col passare dei giorni si capisce che quella brutta storia è molto più complicata di come sembrava all'inizio.
È una delle estati più calde degli ultimi anni, e neanche la Riviera Ligure scampa a quell'afa che mozza il fiato. A Villa Moncalvo, il conte regge tra le mani il suo bene più prezioso. Suo padre gliel'aveva detto: "È un ritratto preso di profilo e t'inganna. Tu credi di poterlo guardare senza essere visto, in realtà è lui che legge dentro di te." Ma ora che la fine è imminente, il vecchio, senza moglie né figli, non deve rendere conto a nessuno. Forse solo a quel tesoro che nasconde da una vita, e che ora vorrebbe proteggere da mani avide. Quelle di Agnese, per esempio, la badante polacca che infatti, alla sua morte, si premura di "fare pulizia" nella casa, come giusta ricompensa per anni di fatica e dedizione. Una sollecitudine che non resta a lungo senza conseguenze. Nemmeno con Marco Luciani l'estate è molto clemente. Anche se a rubare il sonno al commissario della polizia di Genova non è il caldo, ma il pianto disperato del nuovo datore di lavoro. Alessandro è arrivato circa tre mesi prima, abbandonato in una cesta davanti alla sua casa di Camogli, e da quel momento la vita di Luciani non è più stata la stessa. Ma seppur messo a dura prova, il commissario non ha perduto il suo istinto. Sa che anche di fronte a una morte all'apparenza naturale bisogna porsi delle domande. Soprattutto se su di essa aleggia lo spettro di un capolavoro dal valore inestimabile, di cui si sono perse le tracce.
In una nuova edizione speciale, tornano le prime due indagini del commissario Marco Luciani: "Domenica nera" e "Il vicolo delle cause perse". "Domenica nera": Sul prato dello stadio di Genova i giocatori si guardano perplessi. Sulle gradinate il pubblico rumoreggia. Il secondo tempo della partita che può decidere le sorti del campionato dovrebbe essere già iniziato, ma l'arbitro Ferretti non arriva. Verrà ritrovato impiccato nel suo spogliatoio: è una bomba, per l'ambiente del calcio italiano. Tutti sussurrano la parola che non si può dire ad alta voce: corruzione. Ma il commissario Luciani non ci sta a fare il gioco di chi vorrebbe insabbiare la vicenda. Andrà fino in fondo, a costo di farsi nemici molto potenti. "Il vicolo delle cause perse": La segretaria di un broker viene trovata agonizzante in ufficio, un lunedì mattina presto: per lei non c'è più nulla da fare. Nessun testimone, nessun movente, l'arma del delitto sparita. Il commissario Luciani ha appena dato le dimissioni, dopo la fine dell'inchiesta sul mondo del calcio, quindi il caso di omicidio tocca al suo vice, Giampieri. Le indagini però si complicano, il numero di morti aumenta e gli eventi precipitano: perché tutte le tessere dell'oscuro mosaico vadano al loro posto sarà necessario l'intervento di Luciani, e forse anche l'aiuto di san Giuda, patrono delle cause disperate e dei desideri segreti.
Marco Luciani ha lasciato la polizia e l'Italia: un taglio netto, una nuova vita a Barcellona, da padre single. A parte occuparsi del piccolo, vivacissimo Alessandro, l'ex commissario si limita a gestire la casa che Alice, amica e amante occasionale, affitta ai turisti. Forse, però, dentro di lui non si è del tutto spento il gusto di indagare, di frugare nelle vite degli altri, di completare i puzzle. O forse, più prosaicamente, i soldi cominciano a scarseggiare. È così che Luciani si rassegna ad accettare l'incarico di ritrovare la figlia scomparsa di un imprenditore italiano. La ragazza si chiama Martina, ha diciannove anni e viveva in un'Accademia di tennis poco fuori Barcellona, dove si allenava per diventare una professionista. Segni particolari: una bellezza fuori dal comune. La polizia locale non si occupa del caso perché, stando alle apparenze, Martina si è allontanata volontariamente, per sfuggire alle pressioni soffocanti di un padre padrone che la voleva campionessa a tutti i costi. Ma nessuno ha più sue notizie, e il suo telefonino è sempre muto... L'istinto di Luciani gli suggerisce che qualcosa non torna e lo spinge a scavare nella vita della ragazza, iscrivendosi all'Accademia e spacciandosi per un amatore che vuole migliorare il suo gioco. Ben presto, la sua indagine informale si scontra con i silenzi o le bugie delle amiche di Martina, dei maestri - qualcuno in rapporti non solo tennistici con le allieve - e dell'ambiguo gestore dell'Accademia.