
Questo libro è interdisciplinare: parla di pittura, di musica e di storia. Incrocia l’analisi tecnico-scientifica e stilistica dei ritratti con i dati noti o dubbi della biografia, alla ricerca di un volto vero, quello di Antonio Vivaldi, il Prete rosso, il settecentesco creatore delle Quattro stagioni e firma di una moltitudine di musiche barocche che si vanno ancora scoprendo. Chiunque segua la musica conosce il desiderio bruciante di vedere l’espressione del viso di chi compose una volta certe note che han-no attraversato secoli; e qui i primi capitoli, molto vivaci, indicano i pericoli, i falsi amici, le fuorvianti scorciatoie che l’iconografia musicale può incontrare. Così le pagine iniziali sono piene di buffi abbagli storici e divertenti para-dossi che nascono quando si pretende di ricavare le informazioni biografiche e caratteriali dai tratti somatici.
Nel caso del musicista veneziano è ancor più difficile scongiurare le trappole del riconoscimento, dato che Vivaldi, dopo la morte, cadde nell’oblio completo, per riuscirne solo agli inizi del Novecento. Le tracce sono quindi da di-stricare in una serie di dipinti e disegni a lungo anonimi, e in quelli identificati solo due secoli dopo, scoperti per un puro caso e attribuiti con scarso approfondimento. Questo libro intende fare il punto della situazione: quanti e quali sono i ritratti di Vivaldi; quali quelli autentici, dubbi o mal attribuiti. Di ciascuno analizzare il contesto storico, in relazione alla sua vicenda biografica. E per la prima volta indagare chi erano quei pittori e incisori che si cimentarono con il suo volto, perché lo ritrassero, quanto erano capaci e cos’altro erano soliti fare nella propria attività: così contestualizzati quei ritratti ci parlano diversa-mente. Alla fine si trovano conferme di tradizionali attribuzioni e smentite di altre ritenute sicure, spuntano rarità conosciute pochissimo nonché scoperte ex novo di ritratti finora ignoti, di cui uno forse importantissimo.
Perciò questi atti relativi all’effigie del Prete rosso formano un’indagine serrata, intellettualmente insidiosa, un’avventura dell’induzione e della deduzione in base a dati setacciati con precisione; limpida prova di ciò che è stato definito il «paradigma indiziario», ovvero un’anatomia di dettagli per accedere al grande fatto artistico e culturale.
L'avventura spirituale e religiosa di Ziauddin Sardar ha inizio nel 1972 in Inghilterra, quando, studente universitario, si vede piombare in casa due "fratelli" musulmani decisi a riportare sulla retta via i fedeli che non praticano in modo ortodosso. Alle proteste del giovane Zia che deve preparare un esame i due uomini di fede rispondono, implacabili: "Vuoi andare in paradiso? Sei sicuro di essere pronto per l'Esame Finale?". Inizia quindi un lungo viaggio in terra britannica per partecipare ad alcuni raduni islamici, fermandosi regolarmente a pregare anche in caso di pioggia torrenziale. Il libro, scritto in prima persona, racconta con sguardo profondo, partecipe e ironico le contraddizioni della rivoluzione iraniana, i viaggi in Pakistan, Cina e Nigeria (dove vivono gruppi desiderosi di essere governati dalla rigida legge della "shariah") e uno sconcertante pellegrinaggio alla Mecca, dove la famiglia Bin Laden ha fatto abbattere la città antica per costruire orrendi edifici in cemento.
Un po’ Dante, un po’ Virgilio, l’autore ci conduce per palazzi, vicoli e chiese di Napoli e ci “inizia” al sapere, in un viaggio nei luoghi e nei tempi, nel labirinto, non solo della sua città, ma anche della sua e della nostra anima. E così scopriamo che la Vergine Maria ha dovuto scacciare Diana, non solo dai suoi luoghi, ma anche dalle coscienze dei Neapolitani... E poi, è su fficiente percorrere il decumano maggiore, di sera, quando le voci della città tacciono, per udire ogni singola pietra intorno a voi palpitare del tempo e della vita che furono e che ancora sono: allora, è la città stessa che narra la sua storia.
Quando Alan Querdilion, un ufficiale della Marina britannica, si risveglia nel letto di uno strano ospedale sono passati centodue anni, il mondo non è più lo stesso e lui si ritrova imprigionato in un incubo. I nazisti hanno vinto la seconda guerra mondiale e regnano incontrastati. I prigionieri-schiavi vengono allevati e trasformati nella selvaggina di un feroce sovrano. Un terrore remoto e indicibile si impossessa lentamente di Alan: è "il terrore che si prova ad essere cacciati". Qualcosa di notte si muove nella foresta e brama sangue. Lo sente avvicinarsi da lontano, preceduto dal suono di un corno. Sono note isolate, appena avvertibili, separate da lunghi intervalli, "ognuna così solitaria nel buio e nel silenzio assoluto, come un'unica vela su un vasto oceano". Poco dopo la fine della guerra, e ben prima che il genere distopico infuriasse fra i lettori di tutto il mondo, un diplomatico inglese estremamente discreto, che passava da una sede all'altra del Medio Oriente, scriveva questo piccolo romanzo, che fa pensare a un racconto di Wells, e dove all'immagine di un futuro alternativo governato dai nazisti si sovrappone ben presto la terrificante visione di un mondo capovolto e arcaico, regolato dalla caccia fine a se stessa. Ossessione ricorrente da varie migliaia di anni fino a oggi, e forse oggi più che mai.
Il destino di Ercole, il più tragico degli eroi, è scritto nel suo sangue bastardo: per metà divino e per metà mortale, è frutto di una notte di passione rubata tra Zeus e la bellissima, inconsapevole Alcmena. Ma se l'ira di una donna tradita può essere implacabile, quella della Madre di tutti gli dei può trasformarsi in un'autentica maledizione. Era, accecata dalla rabbia per l'infedeltà del proprio sposo Zeus, ha in serbo per Ercole una vita di supplizi. Rifiutato dai genitori, che riversano tutto il loro amore sul suo gemello Ificle, il prodigioso ragazzo crescendo dimostra una forza fisica sovrumana, ma il suo animo è segnato da una ferita profonda. Nel senso di inadeguatezza e nella solitudine che lo abitano, trova terreno fertile la belva rossa della rabbia, che si abbatte persino su coloro che l'eroe ama davvero. Devastato dal senso di colpa, Ercole è così condannato a una lunga e tormentata espiazione: dodici insuperabili fatiche, impostegli dal pavido cugino Euristeo. Per guadagnarsi il proprio posto nell'Olimpo degli immortali, il figlio di Zeus si lancerà all'inseguimento di leoni invincibili, cerve dalle corna d'oro, mordaci uccelli dalle penne di bronzo, viaggerà ai confini del mondo e varcherà le soglie degli inferi. Ma ce la farà a lavarsi la coscienza dalle proprie gesta feroci, ad addomesticare la bestia ingorda che lo possiede e a trovare il coraggio di tornare ad amare? In questo primo volume del suo dittico, Simone Sarasso inizia a riscrivere la storia del più grande eroe dell'Occidente, e lo fa con uno stile moderno e visionario e il ritmo incalzante di un film d'azione, dando vita a un personaggio insospettabilmente vulnerabile, che incarna la fragilità stessa della condizione umana: un Ercole straordinariamente diverso da tutti quelli raccontati fino a ora.
Per metà uomo e per metà mortale, Ercole è condannato dalla madre degli dèi a una vita di supplizi. Se il suo corpo è dotato di forza sovrumana, il suo animo è segnato da una profonda ferita. Ed è da lì che sgorga, incontenibile, la rabbia dell'eroe. Accecato dalla "belva rossa" della gelosia, Ercole ha sterminato l'amata moglie e il figlio. Le dodici fatiche sono il suo disperato tentativo di espiare quella colpa e di dimostrare agli dèi di essere degno dell'immortalità. In queste pagine vediamo Ercole alle prese con le più sfiancanti e gloriose tra le fatiche: a Creta dovrà fermare l'imbizzarrito toro di Minosse, in Tracia domerà le cavalle infernali del re Diomede, attraverserà l'oceano per rubare i buoi di Gerione e gli inferi per catturare il famigerato cane a tre teste Cerbero. Ma la sfida più grande, ciò che lo separa dall'immortalità, è il suo rapporto con le donne: per provare di essere guarito dalla furia femminicida, verrà ridotto in schiavitù al servizio della regina di Lidia. Ma sarà proprio dalla gelosia della sua nuova sposa Deianira che arriverà per lui la punizione definitiva.
80 d.C. È il primo giorno dei giochi inaugurali dell'Anfiteatro Flavio, il primo di cento. La folla sugli spalti è in fibrillazione e il meglio dell'aristocrazia riempie la tribuna d'onore. Da qui, l'imperatore Tito si gode il suo capolavoro: un gigante di marmo e pietra a sfidare il cielo. Per la massima gloria di Roma. Sulla soglia dell'arena, che le generazioni future chiameranno Colosseo, c'è un gladiatore. Ha l'animo rotto ed è armato per uccidere. Il nome con cui il pubblico lo acclama, nell'odiato latino degli invasori, è Vero. Presso il suo popolo ne aveva un altro, ma è bruciato insieme al suo villaggio, alla sua lingua d'origine, al suo passato e alla sua libertà. Non esiste più niente per lui da allora, solo la rabbia da alimentare come un fuoco. Oggi, dopo anni di duro addestramento e infiammato dalla passione per la giovane Giulia, Vero sarà il protagonista del più atteso spettacolo di morte della giornata. Si combatte ormai da ore, nel Colosseo, ma non c'è lotta più crudele di quella che sta per cominciare: il gladiatore dovrà scontrarsi con il suo migliore amico e uno dei due cadrà sotto i colpi dell'altro. Perché nell'arena vige un'unica legge: vincere, e portare sulle spalle il peso del sangue, o morire, precipitando nell'oblio degli sconfitti.
Elmi e corazze di legionari si specchiano nel Tevere. L'Aquila e la Croce sulle insegne romane svettano al richiamo della battaglia. In prima fila, l'imperatore Costantino guida l'assalto dei suoi uomini, devastante. Il nemico è in fuga, ma il fragile ponte di legno non ne regge il peso. Non c'è via di scampo: le acque del fiume si tingono di rosso, chiudendosi su migliaia di cadaveri. È così che Costantino entra a Roma da trionfatore, con la testa del suo avversario Massenzio su una lancia. Ha realizzato l'ambizioso sogno di unificare il maledetto Impero. Ma a tenere tutto il mondo nelle proprie mani mani che hanno impugnato la spada, mani sporche di sangue - si sta soli. E Costantino lo sa bene. La sua sete di potere lo ha spinto a calpestare chiunque, anche chi lo ama, dalla bellissima moglie Fausta al suo mentore Diocleziano, pagando un prezzo altissimo: la sua libertà. Perché nei palazzi del potere e sui campi di battaglia ogni alleanza può rivelarsi fatale e ogni combattimento essere l'ultimo.
80 d.C. È il primo giorno dei giochi inaugurali dell'Anfiteatro Flavio, il primo di cento. La folla sugli spalti è in fibrillazione e il meglio dell'aristocrazia riempie la tribuna d'onore. Da qui, l'imperatore Tito si gode il suo capolavoro: un gigante di marmo e pietra a sfidare il cielo. Per la massima gloria di Roma. Sulla soglia dell'arena, che le generazioni future chiameranno Colosseo, c'è un gladiatore. Ha l'animo rotto ed è armato per uccidere. Il nome con cui il pubblico lo acclama, nell'odiato latino degli invasori, è Vero. Presso il suo popolo ne aveva un altro, ma è bruciato insieme al suo villaggio, alla sua lingua d'origine, al suo passato e alla sua libertà. Non esiste più niente per lui da allora, solo la rabbia da alimentare come un fuoco. Oggi, dopo anni di duro addestramento e infiammato dalla passione per la giovane Giulia, Vero sarà il protagonista del più atteso spettacolo di morte della giornata. Si combatte ormai da ore, nel Colosseo, ma non c'è lotta più crudele di quella che sta per cominciare: il gladiatore dovrà scontrarsi con il suo migliore amico e uno dei due cadrà sotto i colpi dell'altro. Perché nell'arena vige un'unica legge: vincere, e portare sulle spalle il peso del sangue, o morire, precipitando nell'oblio degli sconfitti.
Chi era Aeneas prima di diventare leggenda? Per generare quel figlio dagli occhi color del mare, la divina Afrodite non ha disdegnato le grazie di un comune mortale, lo spiantato Anchise. Ma nonostante i natali, la strada del piccolo Aeneas inizia in salita. Abbandonato dalla madre e allevato dalle ninfe, si fa uomo con il duro addestramento di un centauro: non sa che nelle sue vene scorre il sangue di una dea e del fondatore di Troia. E, prima di essere riconosciuto come nipote da re Priamo, è la ferocia selvaggia del misterioso Alessandro a insegnargli la violenza. L'amore, quello arriva dopo, a corte, e ha le lentiggini dorate della dolce Creusa. Ma sull'Olimpo qualcuno ha già scelto per lui: Aeneas non è destinato a una vita umile da pastore. È un principe guerriero, e il suo futuro sarà luminoso, così è scritto nelle stelle. E se a Sparta non riesce a evitare che Paride compia il maledetto ratto della bellissima Elena e scoppi la guerra tra le guerre, quando a Troia divampano le fiamme, Aeneas scopre sulla sua pelle che al Fato non si può che obbedire.
Erano sbirri corrotti, traditori della Repubblica, politici con le mani sporche di sangue, spacciatori irlandesi in affari con Cosa Nostra, ragazzi in nero pronti a tutto. Se solo un istante delle loro esistenze avesse imboccato una strada diversa, l'Italia come noi la conosciamo non sarebbe esistita... Tra il 1954 e il 1972 questa gente teneva in pugno il paese. Senza di loro la Storia italiana sarebbe tutta un'altra storia. Da Milano a Roma, da Cuba a New York, un viaggio nero e amaro alle radici di un'Italia senza eroi. La storia di un paese dilaniato dalle stragi, fatto a pezzi dalle guerre di partito, cresciuto nel sangue. Un'Italia che ha perso il ricordo dell'onore e dell'innocenza, dove le ideologie sono andate a farsi benedire da un pezzo. In mezzo a tutto questo si muove Andrea Sterling, un personaggio che è la personificazione del Male, il filo nero che unisce i delitti più efferati e oscuri compiuti nel nostro Paese.
Partire dal fondo per arrivare in cima. New York, inizi del Novecento: Charlie Luciano, Meyer Lansky, Bugsy Siegel e Frank Costello sono soltanto dei ragazzini: figli degli ultimi, emigranti senza un soldo in tasca, rinchiusi a Ellis Island e poi risputati nel fango del Lower East Side, il quartiere più miserabile di tutti e cinque i distretti. I ragazzi hanno sete di riscatto, non vogliono assomigliare ai propri genitori che tirano a campare con un salario da fame. Decidono di diventare qualcuno a qualunque costo: onoreranno la Terra delle Opportunità a modo loro. La scalata parte dal basso: gioco d'azzardo, quello che i poveracci consumano in strada. Meyer si riempie le saccocce imbrogliando ai dadi. Bugsy rapina i polli. Frank sogna di sposare la ragazza dei suoi sogni, ma ha il grilletto facile: per tutti è il Pistolero. Charlie vende "protezione", dall'East Village fino a Delancey Street la sua parola è legge: se qualche irlandese ti importuna, ragazzino, rivolgiti a Luciano. Per due centesimi a settimana se ne occuperà lui, e nessuno ti darà più fastidio. I quattro danno vita a una joint venture mai vista prima nel mondo da cui provengono: italiani ed ebrei gomito a gomito per gettare le fondamenta di un autentico impero del crimine. Ma è alla proclamazione del Volstead Act, il 17 gennaio 1920, che arriva la rivoluzione: il Proibizionismo cambia ogni cosa, i soldi grossi sono dietro l'angolo...