
Il portoghese Yanez de Gomera e il principe malese Sandokan vedono minacciati i loro beni, le loro stesse vite e quelle dei loro amici quando subiscono l’attacco di una misteriosa forza maligna che si manifesta attraverso una nebbia verde e lascia dietro di sé una scia di cadaveri. I due vecchi pirati libertari sono allora costretti a richiamare a raccolta le Tigri della Malesia per intraprendere quella che si presenta come la più pericolosa delle loro avventure. Una vera e propria discesa agli inferi su un’imbarcazione che porta il nome di La Mentirosa. Ben presto incontreranno Friedrich Engels, il professor Moriarty, sottomarini minacciosi, società segrete cinesi, Rudyard Kipling, i postriboli della Cambogia, gli orangutan del Borneo, trafficanti di schiavi, una sopravvissuta della Comune di Parigi, fondamentalisti islamici, filologi greci, la flotta militare britannica, filosofi stoici, piante carnivore, messaggi cifrati, banchieri filippini alleati di José Martí, spie antimperialiste… Paco Ignacio Taibo II sceglie di scrivere, sotto forma di pastiche, un nuovo, avvincente capitolo della saga salgariana. Un intreccio di avventura, sesso e politica, dove felicemente coesistono lo spirito ribelle e antimperialista del narratore, l’attenzione alla Storia e i grandi modelli del feuilleton ottocentesco.
Orbo, cinico, solitario e, talvolta, inspiegabilmente idealista, questo è Héctor Belascoaràn, il detective privato partorito dall'inventiva di Paco Ignacio Taibo II. Nella strade piovose di Città del Messico indaga su torbide storie di amore e morte che coinvolgono lottatori mascherati e giovani suicidi. A nord, nelle città di frontiera, insegue un'attrice in fuga sotto un sole cocente, accompagnato da ricordi e rimpianti. In uno stato del sudovest del Messico, percorso da fermenti di rivolta, cerca un morto che forse è fin troppo vivo. Questo volume raccoglie i romanzi "Fantasmi d'amore", "Sogni di frontiera" e "Svaniti nel nulla".
In questi scritti e interviste il grande scrittore messicano si sofferma sul carattere dirompente della letteratura che definisce "l'atto culturale più sovversivo che esista e l'unico spazio che sta ancora producendo pensiero utopico". Paco Ignacio Taibo II parla anche dei suoi personaggi, delle sue letture, del suo romanzo impossibile e interminabile. "Credo nella letteratura, scrive, e in sua madre il romanzo, col fervore di un fondamentalista eretico, un super tifoso del calcio, un gruppettaro del rock. Credo che non esistano i classici, le letture obbligatorie o alla moda. Credo che il Parnaso non esista e che se esistesse sarebbe una taverna messicana i cui portieri non sarebbero Octavio Paz o i membri del comitato svedese del Nobel".
In "Fuga, ferro e fuoco" s'intrecciano due racconti ambientati in epoche distinte. Da una parte la rivolta di un gruppo di suore nella città messicana di Puebla, nell'anno di grazia 1776; dall'altra, la vicenda personale dello scrittore, vecchio e malato, che si lascia alle spalle una vita priva di emozioni, e si ritira in una casa della Puebla di oggi per scrivere il suo romanzo. Mentre evoca quel lontano successo - la ribellione delle suore contro il potere delle autorità religiose e civili - la città è sconvolta dagli scontri fra studenti e polizia. In questi disordini, ecco il figlio rivoluzionario dello scrittore, che cerca riparo nella casa del padre per curare un compagno ferito. Il passato e il presente risultano così molto meno distanti di quanto si potrebbe pensare, e da queste coincidenze storiche nasce un senso più profondo e complesso della realtà e del romanzo.
A Oviedo, nel cuore delle verdi Asturie, cinque ragazzi vivono sulla loro pelle gli orrori della Guerra civile. Mentre papà e zio passano i giorni rintanati in un armadio nel vano tentativo di sfuggire ai falangisti, il piccolo Paco Ignacio e i suoi amichetti ingannano il tempo e la fame negli spazi angusti di un seminterrato, tendendo l'orecchio alle granate, sognando i luoghi proibiti della città, ascoltando gli inni dei nemici e divorando i volumi della vecchia biblioteca di famiglia. Giocare con i personaggi di carta, loro attività prediletta per resistere alla guerra, diventerà un'esperienza unica, che li accompagnerà per tutta la vita. Un legame indelebile, più forte del logorio del tempo e delle estenuanti violenze della dittatura franchista. Romanzo decisivo, intenso e palpitante, Per fermare le acque dell'oblio è - oltre che un dono dell'autore al proprio figlio - un tuffo nella memoria, un canto alla vita e all'amicizia, "un libro per piangere quegli anni, per suscitare compassione nei giovani che mi leggono, per scuotermi di dosso i mostri. È un libro per fermare le acque dell'oblio, per far sì che non tornino a inondarci le altre acque, quelle del terrore e delle formule rigide e vendicative".
Nel magico Oriente, una storia incantata per entrare nel mondo della matematica, per penetrare il segreto dei numeri, per capire il loro stretto legame con i grandi problemi filosofici e morali dell'uomo. Per dimostrare che la matematica possiede non solo verità, ma anche suprema bellezza. "Se contempliamo il cielo in una notte limpida e tranquilla, sentiamo di non poter comprendere le meravigliose opere di Dio. Ai nostri occhi stupiti le stelle formano una luminosa carovana che viaggia in un deserto infinito, dove sterminate nebulose e pianeti erranti seguono eterne leggi nelle profondità degli spazi e ci suggeriscono una nozione ben precisa: l'idea di 'numero'". Età di lettura: da 12 anni.
Pubblicato nel 1917, "Dono d'amore" ("Palataka") è una raccolta di sessanta poesie che completa il percorso iniziato da Rabindranath Tagore con "Petali sulle ceneri" ("Pushpanjali"). Scritte e continuamente rimaneggiate in un lungo periodo tra il 1885 e il 1915, in ricordo dei grandi affetti perduti ma che sopravvivono nella vita del poeta, queste liriche contengono, accanto ai temi ricorrenti di tutta la sua opera - l'amore, il dolore, la solitudine, la natura, l'incontro con Dio, il significato della vita e della morte -, un messaggio che oltrepassa il tempo: ogni aspetto della vita è dono, bisognerebbe goderne finché lo si riceve, senza mai perdere di vista la sua gratuità e la gioia che se ne ricava. Proprio perché gratuito e impetuoso, questo "dono d'amore" arriva come una visita notturna, conosce l'impazienza, i segreti, lo scrosciare del monsone, il desiderio e l'emozione del ritrovarsi. Si alternano, nei vari componimenti, indimenticabili paesaggi sul Gange, spiagge sabbiose su cui le tartarughe prendono il sole, rive alberate e ombrose per i boschetti di bambù, stanchi pomeriggi afosi in cui, alla ricerca dell'amata, si arriva alla convinzione che sia fuggita via "nel silenzio e nelle parole", irrimediabilmente perduta.
Sono inanellate in questo libro, una dopo l'altra, le perle più luminose dello scrittore bengalese Rabindranath Tagore, premio Nobel per la Letteratura, che celebrò l'amore umano e divino incantando generazioni di lettori in tutto il mondo. Ogni gioiello di questo scrigno prezioso declina in mille sfumature l'amore per se stessi, per gli altri, per Dio e l'intera Creazione. Sono schegge narrative, liriche e parabole, alcune tradotte per la prima volta in Italia. La straordinaria capacità evocativa del narratore-poeta fa risuonare a ogni pagina echi della grande letteratura sacra e profana: da Gilgamesh al Cantico dei Cantici, dalla Bhagavad gita ai mistici Sufi, da Dante a Shakespeare fino ai romantici Wordsworth e Keats. Cesellando frasi e versi con sensibilità tutta orientale, Tagore crea intarsi di rara bellezza, una preziosa alchimia che abbraccia cielo e terra e che prova ai pessimisti che l'amore, quello autentico, vince sempre: sul dolore, sull'ingiustizia, sulla morte.
Un giovane inquieto, che conquista i cuori di chi lo incontra, ma che è incapace di sottostare alle catene dell’amore e vive costantemente in fuga dagli altri e da se stesso, percorrendo il mondo come un vagabondo senza pace e senza affetti; un maestro, logorato dalla vita e da un lavoro ingrato, che in una notte di tempesta ritrova la donna che non aveva saputo amare da giovane e non può dirle nemmeno una parola; un ufficiale postale che non sa decifrare l’affetto che nutre per lui la piccola orfanella affidatagli: sono tanti i protagonisti di queste storie che s’intrecciano lungo il corso del Gange.
Ma più ancora degli uomini, spesso soli, a volte meschini e altre sfuggenti, sono le donne le vere protagoniste di quest’India povera e forse ormai scomparsa, che nessuno come Rabindranath Tagore ha saputo così efficacemente raccontare: donne che tradiscono, ma anche che sacrificano tutto sull’altare dell’amore, donne ferite e che vorrebbero ferire, donne rifiutate e donne capaci di intuire il senso dei movimenti impercettibili del cuore. Un universo femminile misterioso e affascinante come l’India, ancora immersa in una tradizione all’apparenza immortale, e invece così fragile nei riti e nei valori, già sull’orlo di una modernità che la travolgerà e ne muterà drammaticamente i connotati.
Radindranath Tagore nasce a Jorasanko (Calcutta) il 6 maggio 1861 da una famiglia dell’alta aristocrazia del Bengala. A diciassette anni compie il suo primo viaggio in Europa: va in Inghilterra a studiare legge e letteratura e vi resta un anno e mezzo. Quando torna si fa conoscere come poeta, pubblicando due raccolte di versi: I canti della sera e I canti del mattino, di forte impronta romantica, che gli valgono l’appellativo di «Shelley del Bengala». Nel 1883 sposa la giovanissima Mrinalini Debi, con la quale un anno dopo si ritira a Ghazipur dove si dedica a nuovi drammi e saggi letterari. Nel 1890 è di nuovo in Europa: visita l’Italia, la Francia e ancora l’Inghilterra. Al suo ritorno s’impegna nell’attività politica con il movimento nazionale del Bengala, e poi soprattutto in quella educativa, fondando una scuola sperimentale a Santiniketan. Il campo dei suoi interessi è vastissimo: è musicista (scrive lui stesso la musica delle sue poesie), pensatore, drammaturgo, narratore (più avanti negli anni si avvicinerà anche alla pittura). Gli anni tra il 1907 e il 1913 sono decisivi per Tagore, anche per la sua notorietà internazionale. Lavora alle poesie che comporranno la raccolta Gitanjali (1912, Canti d’offerta) e che, tradotte in inglese – Tagore pur scrivendo in bengali traduce quasi tutta la sua produzione – gli varranno il Premio Nobel nel 1913. Nel 1915 incontra per la prima volta Gandhi col quale, nonostante le divergenze politiche, stringe un’amicizia profonda e duratura. Il suo impegno culturale e pedagogico, frattanto, s’intensifica: nel 1921 fonda l’università internazionale di Vishva Bharati e, spinto dall’esigenza di un incontro tra cultura orientale e occidentale, intraprende viaggi in tutto il mondo. Negli ultimi anni della sua vita, colpito da una grave malattia, si ritira a Santiniketan, dove si dedica totalmente all’attività letteraria. La produzione di questo periodo è vastissima, e comprende, oltre a numerose raccolte poetiche, drammi, novelle, riflessioni, aforismi e saggi di critica letteraria. Si spegne nella sua casa natale di Jorasanko il 7 agosto 1941.
Tutto comincia nella provincia più dimenticata della Bassa Padana, dove una nonna feroce tiene in scacco la famiglia a colpi di umiliazioni e crudeltà. Il denaro per lei è potere, e il potere è controllo. La nipote, protagonista di questa storia, a cinque anni dice a sua madre: «Quando la nonna Viviana muore ballerò sulla sua tomba con delle scarpe rosse». La madre si sente in colpa: «Come ti ho passato tutto questo? Dal sangue?». Due battute che sono l'esempio dello stile che incendia la pagina. Il sound di un esordio infuocato dai colori cangianti della cattiveria, per cui Chiara Tagliaferri ha orecchio assoluto. E il talento letterario di riprodurla attraverso personaggi femminili memorabili: la nonna, la madre, la sorella, se stessa. Strega comanda colore è un romanzo che sabota l'ipocrisia, è la storia di una ragazza che si oppone alla maledizione che la vita le ha scagliato addosso. Tra violenza, risentimento e tenerezza. La protagonista cresce affamata: vuole l'amore, vuole la bellezza ma vuole ancora di più i soldi. Per liberare chi ama, costruisce pazientemente la sua vendetta. E poi scappa: dalla pianura piena di nebbia arriva in una Roma piena di luce. Sprovvista di tutto, ma determinata a spogliare chiunque di ciò che lei desidera. Rubare agli altri per dare a se stessa diventa il suo vero lavoro. Per riuscirci inganna, mistifica, si scopre bravissima ad accalappiare fidanzati ricchi che tentano inutilmente di colmare le sue voragini. Intanto mente moltissimo, a tutti. Fino a che incontrerà l'unica persona capace di renderla vulnerabile. Una saga familiare luminosa e scellerata, la storia di un'emancipazione che passa attraverso il sangue, l'epopea di una ragazza che impara dal niente un alfabeto emotivo e che si salva anche grazie alla possibilità di un grande amore. Una storia di streghe. Finalmente.
Questa edizione delle opere di Antonio Tabucchi raccoglie in due tomi tutti gli scritti fondamentali dell'autore divenuto celeberrimo nel 1994 con Sostiene Pereira, bestseller internazionale. Oltre ai capolavori - tra i quali si ricordano Notturno indiano, Requiem e Tristano muore -, alle sue densissime pagine saggistiche, agli interventi civili politici, al teatro e agli scritti su Pessoa, il Meridiano accoglie per la prima volta in assoluto il romanzo inedito Lettere a capitano Nemo, surreale e onirica fantasmagoria tabucchiana risalente agli anni '70, e una sezione di pagine sparse con scritti rari o inediti. Il progetto editoriale è di Paolo Mauri, da sempre amico di Tabucchi, che firma inoltre l'introduzione e una partecipe cronologia; mentre le preziose notizie sui testi sono a cura della giovane studiosa Thea Rimini.
In breve
"Un luogo non è mai solo 'quel' luogo: quel luogo siamo un po' anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati."… Un’opera specialissima, che sulla mappa del mondo allarga il mondo contiguo delle sterminate letture che hanno anticipato, provocato e sempre accompagnato i viaggi. I luoghi sono nomi, tappe, residenze. Ma quel che più conta è la civiltà del guardare, del rammentare, e del connettere i luoghi alla gente. L’andare e il sostare. Lo scoprire, insieme alla bellezza, la diversità del mondo.
Il libro
"Sono un viaggiatore che non ha mai fatto viaggi per scriverne, cosa che mi è sempre parsa stolta. Sarebbe come se uno volesse innamorarsi per poter scrivere un libro sull’amore." Ma certamente Antonio Tabucchi ha molto viaggiato. E dei suoi viaggi ha scritto. In sedi disparate e con un effetto sino a ora inevitabilmente dispersivo. Questo libro inverte la tendenza: chiama all’appello i luoghi visitati e rivisitati. E le scritture che li hanno raccontati. Le rimodella. Ne sortisce un’opera specialissima, che sulla mappa del mondo allarga il mondo contiguo delle sterminate letture che hanno anticipato, provocato e sempre accompagnato i viaggi. I luoghi sono nomi, tappe, residenze. Ma quel che più conta è la civiltà del guardare, del rammentare, e del connettere i luoghi alla gente. L’andare e il sostare. Lo scoprire, insieme alla bellezza, la diversità del mondo.
Lo si vede, Antonio Tabucchi, seduto sullo zoccolo della statua dell’abate Faria a Goa, in India; davanti al tempio di Poseidone a Capo Sunio, in Grecia; nel “cimitero marino” di Sète, in Linguadoca. E lì, con lui, condividiamo le reminiscenze del Conte di Montecristo, i versi di Sophia de Mello Breyner, il “mare che si ripete” di Paul Valéry. Lo si vede di notte spiare le grandi statue barocche dell’Aleijadinho a Congonhas do Campo, in Brasile, o lasciarsi ispirare da Cortázar nelle sale di Paleontologia del Jardin des Plantes a Parigi. E, ancora, si fa presenza affettuosa quando con semplicità ci conduce su per una certa strada, una piccola strada della “sua” Lisbona, e ci mostra l’evidenza di un sentimento (e di una parola) di non immediata comprensione: la saudade.
Nondimeno, la mappa ideale di questo libro si apre ai luoghi che visitiamo "per interposta persona": le città fantastiche degli scrittori, le geografie immaginarie, le storie letterarie. Nell’uno e nell’altro caso – nei viaggi reali come in quelli letterari – Tabucchi ci invita a muoverci e a ritornare. Ogni volta l’appuntamento è una sorpresa, perché il mondo è sempre un altrove, una scoperta di noi stessi attraverso gli altri.

