
Un uomo del Medioevo, immerso nel suo tempo. Questo il Dante che ci racconta un grande storico in pagine di vivida bellezza. Dante è l’uomo su cui, per la fama che lo accompagnava già in vita, sappiamo forse più cose che su qualunque altro uomo di quell’epoca, e che ci ha lasciato la sua testimonianza personale su cosa significava, allora, essere un giovane uomo innamorato o cosa si provava quando si saliva a cavallo per andare in battaglia. Alessandro Barbero segue Dante nella sua adolescenza di figlio d’un usuraio che sogna di appartenere al mondo dei nobili e dei letterati; nei corridoi oscuri della politica, dove gli ideali si infrangono davanti alla realtà meschina degli odi di partito e della corruzione dilagante; nei vagabondaggi dell’esiliato che scopre l’incredibile varietà dell’Italia del Trecento, fra metropoli commerciali e corti cavalleresche. Il libro affronta anche le lacune e i silenzi che rendono incerta la ricostruzione di interi periodi della vita di Dante, presentando gli argomenti pro e contro le diverse ipotesi e permettendo a chi legge di farsi una propria idea, come quando il lettore di un romanzo giallo è invitato a gareggiare con il detective e arrivare per proprio conto a una conclusione.
Basta un istante per cambiare il corso del destino: un fuoriprogramma, un contrattempo. Un semplice sguardo tra un uomo e una donna. Kyle e Coryn appartengono a due mondi lontani, due orbite che mai avrebbero potuto incontrarsi. Lui è una giovane rockstar, sempre in giro per il mondo; lei è prigioniera del suo ruolo di moglie e madre in una gabbia dorata, sottomessa a un marito geloso che la considera al pari di uno dei suoi tanti oggetti di lusso, da sfoggiare e possedere. Un giorno, mentre è bloccato nel traffico di San Francisco, Kyle decide di cambiare strada. Una brusca sterzata, un incidente. E l'incontro con Coryn: ai due, è sufficiente uno sguardo per innamorarsi, un altro sguardo per riconoscersi. Perché Kyle sa leggere la paura negli occhi della donna, la stessa paura che, da bambino, vedeva negli occhi di sua madre, e che lo ha reso incapace di provare felicità. Da quel momento, amare Coryn e desiderare di salvarla sono la stessa cosa. E anche se a dividerli ci sono ostacoli insormontabili, i loro destini adesso sono legati per sempre: soltanto insieme potranno guarire le ferite che si portano dentro e tornare finalmente a vivere.
Davide Bergamaschi. Occhi da bambino, corpo da adulto, forte e vivo come lo si è solo a sedici anni. Di fronte a lui, invisibile tra una folla di persone che ballano e bevono, un uomo anziano, stanco e pericoloso, lo osserva. E lo sceglie. Il ragazzo viene rapito, scaraventato a forza su un camion e costretto a lottare a mani nude contro uno sconosciuto. È il suo ingresso nel mondo dei combattimenti clandestini all'ultimo sangue: o uccidi o vieni ucciso. All'inizio Davide piange, protesta, si ribella: cresciuto in una quotidianità ovattata e rassicurante, non sa cosa sia la violenza. Ma il suo corpo conosce l'istinto, e vince i primi incontri. L'uomo, il suo rapitore, scorge in lui il potenziale di un combattente diverso da tutti gli altri, e forse anche qualcosa di più, una sorta di erede a cui trasmettere la sua conoscenza, i suoi valori e le sue personalissime leggi morali. Lo aiuterà a sopravvivere in un mondo disumano, gli insegnerà che la prigionia, i soprusi, l'omicidio e la morte possono diventare accettabili, una nuova "normalità". Dopo 1442 giorni, un centinaio di omicidi alle spalle e la perdita di ogni inibizione o moralità, di Davide Bergamaschi non sarà rimasto più niente e dalle sue ceneri sarà nato Batiza, il più feroce degli assassini. Il secondo romanzo di Paola Barbato è l'educazione alla violenza di un moderno gladiatore in un inferno popolato da sadici con il colletto bianco.
«Quello che ci unisce è un filo sottile.
Gli altri pensano che il dolore sia una
bomba che ti esplode nel cervello, ma
non è così. E’ un filo sottile, il dolore.
Un filo rosso.»
Da cinque anni Antonio Lavezzi non ha più una vita. Una tragedia orribile ha distrutto la sua famiglia e lui è scappato, rifugiandosi in un paese dell’alto Veneto e nel suo lavoro di ingegnere edile. Metodico e preciso, si è impegnato per avere un’esistenza il più possibile anonima, al riparo da altri traumi. Poi, un giorno, il telefono squilla: Antonio deve correre in cantiere, è morto un uomo. All’inizio sembra solo un drammatico incidente, ma ben presto si svela essere qualcos’altro: quel morto è un messaggio per lui, una richiesta d’aiuto. Qualcuno gli chiede di fare ciò che nessun altro fa, gli chiede di liberare quella sete di vendetta che per troppo tempo ha tentato di comprimere, e di metterla al suo servizio. Antonio è confuso, ha paura di sporcarsi le mani, ma lentamente, senza quasi accorgersene, viene risucchiato in un vortice di messaggi da decifrare, di incontri sconvolgenti, di gesti inspiegabili. Non è lui a orchestrare il gioco, e non è neppure l’unico anello della spaventosa catena mortale: a lungo si limiterà a eseguire gli ordini e non farà troppe domande, ma al culmine della tensione sarà costretto a scegliere che cosa diventare. In un thriller che non dà tregua, Paola Barbato costruisce un’implacabile macchina narrativa alimentata dalla cronaca nera di questi anni, e mette a nudo sentimenti e ossessioni che non vorremmo mai confessare. Perché Antonio Lavezzi è un uomo come tanti, e il suo bisogno di giustizia è anche il nostro.
Sono passati solo due anni, e di tutto ciò che è stata non è rimasto nulla. Lena era brillante, determinata, brava a detta di tutti, curata, buona. Poi nella sua vita era entrato Saverio, e tutto era stato stravolto. Quel ragazzo più giovane, che viveva per essere contro qualsiasi regola, pregiudizio, conformità, l'aveva trasformata. E non erano solo i vestiti, i capelli, le parole. Era lei, le sue sicurezze, il suo amor proprio. Tutto calpestato in nome di un amore che agli occhi di tutti gli altri era solo nella sua testa. Il giorno in cui lui era finito in Arno, dato per disperso prima e per morto poi, qualcosa in Lena si era spento definitivamente. Sono passati due anni, e di Saverio le resta il cane Argo, che ancora la vive come un'usurpatrice, e un senso di vuoto dolente e indistruttibile. La sera in cui trova nella cassetta della posta un cellulare, Lena pensa che si tratti di uno scherzo, oppure di uno sbaglio. Ma bastano pochi minuti per rendersi conto che quell'oggetto può cambiare la sua vita. Perché i messaggi che arrivano, e a cui lei non può rispondere, parlano di cose che solo Saverio può sapere. E quindi è vivo. È tornato. Così, senza che Lena se ne accorga, quell'oggetto diventa l'unica linfa vitale a cui abbeverarsi, e non importa che i messaggi siano sempre più impositivi e le ordinino di commettere atti di cui mai si sarebbe pensata capace. Perché se lei farà la brava, lui rientrerà nella sua vita. O questo è ciò che pensa. Almeno fino a quando le persone che le stanno intorno cominciano a morire. E il gioco si fa sempre più crudele. E la prossima vittima prescelta potrebbe essere lei.
Immagina di risvegliarti da una notte senza sogni e di ritrovarti sdraiata su una superficie fredda e dura, i vestiti del giorno prima ancora indosso e nessun ricordo delle tue ultime ore. Intorno a te solo un buio spesso a cui lentamente lo sguardo si abitua. Cominci a intravedere delle sbarre alla tua sinistra. Non può che essere un incubo, tra poco sarai nella tua stanza, avvolta nelle soffici lenzuola di casa e la vita riprenderà come prima. Questo non è ciò che accade ad Anna, che in quella gabbia, tra quelle sbarre, in un capannone pieno di gabbie simili alla sua e di persone come lei, si risveglia per davvero. Da quell'istante inizia una lotta contro chiunque l'abbia presa, una guerra impari perché Anna non ha altre armi che la sua rabbia e la nudità a cui a poco a poco è stata costretta per combattere contro chi detiene il potere, qualcuno che nessuno ha mai visto, ma la cui presenza si avverte in ogni centimetro di quel luogo spaventoso, di giorno e di notte. Spetterà a lei, circondata da persone diversissime, alcune rese folli dal macabro gioco, altre succubi di un "Lui" dai tratti sempre meno sfumati, decidere se giocare o lasciarsi morire.
1983. L'uomo seduto nella macchina blu è nuovo di quelle parti, ma Remo non ha paura, non sa che cosa sia un estraneo. L'uomo ha tra le mani un passerotto caduto dal nido, almeno così dice, e chiede a Remo di aiutarlo a prendersene cura. Il bambino, sette anni passati quasi tutti per strada, che i genitori hanno altri pensieri, non esita neppure per un attimo. E sale. Tre giorni dopo viene restituito alla famiglia, illeso nel corpo e nell'anima; racconta di un uomo biondo, bellissimo, che lo ha riempito di regali e che ha giocato con lui, come nessun adulto aveva mai fatto. Non è la prima volta che succede e non sarà l'ultima. Trentadue bambini in sedici anni. Tutti tenuti per tre giorni da un uomo che cerca di realizzare i loro desideri e li restituisce alla famiglia, felici. Quando la polizia comincia a collegare i rapimenti lampo, l'uomo scompare. 2015. Il padre di Greta non è mai arrivato una sola volta in ritardo a prenderla. Ma lo sgomento negli occhi della maestra gli fa capire che qualcosa non va, perché Greta a scuola non è mai entrata. Scompare così, la figlia di Remo Polimanti, come lui era scomparso trent'anni prima. Anche lei viene subito restituita alla famiglia, ma priva di vita. Greta non è che la tappa iniziale di una scia di sangue che collega i figli dei bambini rapiti anni prima. Ma perché il rapitore "buono" si è trasformato in un assassino? O forse c'è qualcuno che intende emularlo. O sfidarlo. O punirlo.
Un crudele e imprevedibile serial killer, soprannominato il Seviziatore, mette a dura prova le capacità investigative dell'anatomopatologa e psichiatra Giuditta Licari, alla quale è affidato il caso. Specialmente quando il pericoloso omicida dimostra di poter arrivare molto vicino a lei. Fredda, razionale e distaccata, come e forse più del killer, la dottoressa dovrà leggere la realtà con gli occhi dell'assassino, in un continuo e sempre più inquietante rovesciamento di ruoli tra vittime e carnefici, fino all'inaspettato finale.
Le stagioni che danno il titolo a quest'opera di Paolo Barbaro non sono solo quelle del tempo, ma anche - e soprattutto - quelle dell'anima, del corpo, della vita. Nella prima parte del dittico, Dario, assicuratore quarantenne con moglie e figli, insegue il desiderio e l'ardore perduti lasciandosi rapire da Bruna, che due pomeriggi a settimana, dopo il lavoro, lo aspetta nella casa di Sant'Elena, a Venezia. Nel susseguirsi della dolce monotonia amorosa, basterà però un piccolo cambiamento a spezzare l'incantesimo dell'idillio. Nella seconda parte, il protagonista ormai anziano, che la malattia costringe a un'immobilità sempre più definitiva, osserva il mondo dal suo ultimo riparo nella città lagunare: la casa. È una cronaca della fine, un consapevole e sereno accomiatarsi dalla realtà che lo circonda, mentre la sua realtà si riduce sempre più a una stanza, alla voce della moglie, al saluto di un amico, ai vividi ricordi che tornano a fargli visita da un passato lontano. Nel dipanarsi di queste ondate di racconti e memorie, Venezia si manifesta ancora una volta come vera, vitale protagonista. Con ponti, canali, campielli, giardini segreti e terrazze sul mare, ordisce trame e incrocia destini, favorendo incontri, spaesamenti, addii. L'acqua alta si fa allegoria della fine che incombe, anche se pagina dopo pagina è un'altra metafora - di speranza - a imporsi. Nel suo invecchiare, l'uomo somiglia infatti a quella Sant'Elena tra le cui calli Dario rincorre una passione che credeva perduta.
Il romanzo, attraverso il doppio binario delle confessioni dei due protagonisti, un uomo e una donna - un ingegnere e una suora - delinea un rapporto problematico e delicato senza ambiguità, frutto di una diversa e profonda esperienza spirituale.
Un uomo che è stato "lontano nel mondo" per anni torna al paese d'origine, al luogo che credeva eterno. Profondamente turbato, si accorge che intanto il legame con i tempi "di prima" è spezzato per sempre. Il protagonista che ripercorre lo Stradone dei Ronchi trova uomini e cose profondamente mutati. Le immagini familiari, le "sue" immagini, quelle che hanno formato la sua identità, gli appaiono come lampi, come miraggi: svaniscono nel momento in cui cerca di catturarle e fissarle. Non appena si avvicina a un luogo con l'attesa del riconoscimento, questo sparisce, sostituito da un altro. Il paese è cambiato, di ciò che era un tempo si intuiscono solo le forme e al protagonista rimane l'angoscia di un paese perduto.
Che lettori va cercando questo libro che cerca segnali d'amore nell'universo? Coloro che vogliono conoscere tutto di Luca Barbareschi? Anche, certo. Ma più ancora chi, di questo personaggio che non si può dire si sia negato alle cronache lungo gli ultimi quarant'anni, pensa di sapere già tutto. Perché ogni pagina, ogni riga, ogni parola risulterà una scoperta. Senza negare né rinnegare nulla, Luca Barbareschi - con la "spudoratezza" di sempre - si racconta. Cerca segnali. D'amore. In una autonarrazione ironica, divertente, piena di energia. Di ciò che ha vissuto come uomo, come attore, come manager culturale, ci dice per la prima volta le motivazioni profonde. E come la ricerca di ciò che sta dietro l'apparenza si sia trasformata via via in cammino spirituale, un cammino che unisce ebraismo e neuroscienze, trasgressione e restituzione, rabbia e amore. Il "pirata" Barbareschi all'assalto non più dei velieri nemici ma di se stesso. Confrontandosi con le parole dei grandi - da Shakespeare all'ironia pungente di David Mamet, il suo autore di elezione - Barbareschi ha scritto un romanzo autobiografico dedicato a quanti non hanno smesso di credere nei loro sogni, nei cieli notturni, nelle storie antiche, nelle lunghe attese, nella voglia di fare festa perché la vita è questo strano gioco nel quale tutti ci troviamo a recitare.