
Quattro pensionati - un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia - ammazzano il tempo inscenando i grandi processi della storia: a Socrate, Gesù, Dreyfus. Ma certo è più divertente quando alla sbarra finisce un imputato in carne e ossa: come Alfredo Traps, rappresentante di commercio, che il fato conduce un giorno alla villetta degli ex uomini di legge. La sua automobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vegliardi, che gli illustrano il loro passatempo. L'ospite è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Come aiutarli? Niente paura, lo rassicurano: "un crimine si finisce sempre per trovarlo". E se la colpa non viene alla luce, la si confeziona su misura: "bisogna confessare, che lo si voglia o no, c'è sempre qualcosa da confessare". Tra grandi abbuffate e abbondanti libagioni, il gioco si fa sempre più pericoloso, finché il piazzista si avvede d'essere non già un tipo banale, mosso solo da meschine aspirazioni di carriera e sesso, bensì un delinquente machiavellico, capace di usare la sua amante come un'arma infallibile contro il superiore cardiopatico.
Esiste il delitto perfetto? Gastmann, «demonio in forma umana», ne è convinto, e per dimostrarlo al commissario Bärlach – e vincere la temeraria scommessa fatta in una bettola sul Bosforo – getta uno sconosciuto dal ponte di Galata. Ormai i due sono incatenati l'uno all'altro. Per oltre quarant'anni il commissario seguirà imperterrito le orme di Gastmann, nel vano tentativo di fornire le prove dei delitti via via più audaci, efferati e sacrileghi che costui ha commesso per capriccio. Finché un giorno l'assassinio dell'ispettore Shmied della polizia di Berna - la città dove Barlach è nato, e che lui chiama il suo <<aureo sepolcro>> - lo metterà nuovamente di fronte al suo nemico, e al sinistro viluppo di trame politiche e finanziarie di cui questi tira le fila. A Barlach non resta molto da vivere: giusto il tempo di regolare i conti una volta per tutte. Ormai ha emesso il suo verdetto - ed è una condanna a morte.
Quando Georges Simenon, che di noir se ne intendeva, lesse questo romanzo cupo, implacabile e lacerante, disse semplicemente: <<Non so che età abbia l'autore. Se è alla sua prima prova, credo che farà strada>>.
«Sono un mercenario, e sono fiero di esserlo». A parlare è il colonnello FD 256323: questo il numero che gli hanno assegnato quando si è arruolato al servizio dell'«amministrazione», venti o trent'anni prima – non ricorda bene, e del resto chi lo conta più il tempo? Allora la terza guerra mondiale con le sue devastazioni nucleari aveva decimato l'umanità...
Il vecchio commissario Bärlach è a fine corsa. A pochi giorni dalla pensione, giace in un letto d'ospedale. Il complesso intervento a cui è stato sottoposto è andato bene, sì, ma gli è stata diagnosticata una malattia senza scampo. È messo male, Bärlach, e le riviste che ha a disposizione per distrarsi non lo distraggono affatto: «Erano bestie, Samuel... Tu sei un medico e puoi renderti conto. Guarda un po' questa fotografia» dice all'amico Hungertobel porgendogli un numero di «Life» del '45. Una scena di inaudita efferatezza: nel campo di concentramento di Stutthof il dottor Nehle, medico del lager, con «l'imperturbabilità di un idolo» sta operando un prigioniero senza narcosi. Di colpo Hungertobel impallidisce. In quella foto gli è parso di riconoscere il suo antico compagno di studi Emmenberger, ora stimato proprietario della più esclusiva clinica di Zurigo, un luminare amato dai suoi pazienti, che «credono in lui come in un dio». L'atroce sospetto, però, non tarda a rivelarsi infondato, anzi «una follia»: dalle informazioni che Bärlach riesce a ottenere risulta infatti che Nehle si è tolto la vita alla fine della guerra. Eppure qualcosa non gli torna. Ci sono strane discrepanze - e ancor più strane somiglianze: le figure di Nehle ed Emmenberger sembrano confondersi. Negli occhi di Bärlach, stretti a fessura, torna a brillare l'antica vitalità quando convince Hungertobel a farlo trasferire sotto falso nome, come paziente, nella clinica di Emmenberger. Lì potrà condurre la sua ultima, solitaria battaglia contro il Male.
Alla fine degli anni Ottanta Gerald Durrell intraprende una spedizione in Madagascar per catturare qualche esemplare di aye-aye, un lemure caratteristico della zona, e garantirne così la riproduzione all'interno del Jersey Wildlife Preservation Park. Giunto nell'isola Durrell si mette sulle tracce dei misteriosi lemuri. E nel mercato "zoma" salva il primo esemplare, altrimenti destinato alle pentole di un'abile massaia indigena. Durrell sa trasformare ogni evento, ogni aspetto dell'indagine scientifica in sorprendente avventura, in resoconto brillante e vivace: anche un tentativo di suicidio, prontamente rimandato per accudire un piccolo lemure, anche lo studio del vocabolario degli aye-aye, con i loro "pop".
Sono gli anni che precedono la seconda guerra mondiale e l’eccentrica famiglia inglese dei Durrell vive oziosamente sull’isola greca di Corfù. Gerald, il più piccolo, è un bambino di dieci anni con uno spirito di osservazione acuto e ricco di arguzia. Ha un’immensa passione per il mondo naturale e soprattutto per ogni genere di animali, e dal suo punto di vista la fertile Grecia assomiglia a un paradiso terrestre. Ogni giorno ci sono nuovi insetti da collezionare, nuovi pesci da studiare, nuove esplorazioni da compiere in groppa alla paziente asinella Sally e accompagnato da quel brontolone del cane Roger. La natura entusiasma Gerry molto più di quanto facciano mamma e fratelli, l’altra singolare fauna che il ragazzo non manca di osservare con disincanto e ironia. Margo, la sorella, è in perenne lotta con il suo aspetto fisico e cerca strampalate vie per curare sovrappeso e acne. Il fratello Leslie è un patito delle armi da caccia e, sdraiato all’ombra, passa il suo tempo a leggere trattati di balistica, senza grandi velleità di concretizzare alcunché. Larry, il fratello maggiore e futuro scrittore di successo, trascorre le sue giornate a deridere i famigliari con caustiche battute, salvo poi invitare a casa gli amici più stravaganti e improbabili. E mamma è una svampita vedova che adora i suoi figli e governa con levità e tolleranza in quella grande villa piena di stanze.
Attorno ai Durrell c’è il mondo dei greci, quel mondo fatto di dura fatica tra gli ulivi, le viti e il mare sotto il cocente sole mediterraneo, e la piccola comunità degli espatriati per i quali il rombo dei cannoni che si stanno preparando nel cuore dell’Europa è lontano anni luce.
In mezzo a questa umanità di cui racconta esilaranti aneddoti di vita quotidiana, Gerald trova il suo mentore nel dottor Stephanides, un medico e scienziato che lo prende a cuore e lo guida a un apprendimento più sistematico della zoologia. A dargli le maggiori soddisfazioni è però sempre l’incanto della natura: un’emozionante pesca al polipo a mezzanotte, un bianco barbagianni o una famiglia di porcospini da accudire come animali domestici, la magia dell’accoppiamento delle lumache, gli svolazzi del gufo Ulisse che tutte le sere torna a casa per cena riempiono le giornate del piccolo naturalista con un entusiasmo e una curiosità che, pagina dopo pagina, contagiano il lettore.
Nominato funzionario dell'impero britannico sull'isola di Zenkali, Peter Foxglove non vede l'ora di raggiungere quello che tutti a Londra definiscono un autentico paradiso tropicale. Avvolta nella luce solare e sorvegliata dai coni di due vulcani, l'isola ha i colori di un arazzo variopinto cinto da un mare blu intenso e da una meravigliosa barriera corallina. La popolazione vive pacifica, nonostante l'atavica rivalità tra le due tribù dei Fangoua e dei Ginka. La flora e la fauna sono rigogliose e fonte di benessere: un'unica specie vegetale, l'albero Amela, regge l'intera economia dell'isola e dà lavoro a tutti i suoi abitanti, i quali non conoscono né tasse né catastrofi naturali. L'unico cruccio per i tranquilli isolani è l'estinzione di un uccello, l'uccello beffardo, venerato per secoli come un dio dalla tribù dei Fangoua e chiamato così per il suo richiamo simile a una risata sfrenata. Foxglove, dunque, ha di che rallegrarsi sbarcando a Zenkali con un incarico delicato, ma all'apparenza non troppo gravoso: costruire nell'isola, giudicata d'importanza strategica dai capi di stato maggiore britannici, una pista d'atterraggio. Quando, tuttavia, in un'amena valle vengono scoperti quattrocento alberi Ombu e quindici coppie di Uccelli Beffardi, accade l'irreparabile per gli irreprensibili funzionari britannici. Il re Kingy sconfessa il suo ministro furfante e si oppone alla costruzione della pista di atterraggio che prevede l'inondazione della sacra valle del volatile.
II viaggio di Thasren Mein dalle gelide terre del Nord al porto di Alecia era durato diversi giorni. Era partito all'alba dal Mondo Oscuro, la landa desolata in cui il suo popolo era stato esiliato secoli prima, aveva attraversato a cavallo la steppa nell'inverno senza fine, costeggiato le Montagne Nere e infine era giunto al mare. Di fronte a lui, dall'altra parte dello specchio d'acqua, l'isola di Acacia, un groviglio imponente di rocce lambito dalle onde. È questa la sua destinazione. È qui che vive re Leodan Akaran, discendente della nobile stirpe che cinquecento anni prima aveva ridotto in schiavitù il suo popolo e che tuttora controlla le terre del Mondo Conosciuto grazie a degli oscuri traffici. Ora finalmente lui, Thasren, fratello dell'ultimo re di Mein, è stato incaricato di uccidere l'odiato nemico e di ristabilire l'antico potere del suo popolo. È la missione più importante della sua vita, per la quale è disposto a mettere a rischio la sua stessa esistenza. Così, in una notte di luna, si introduce nella fortezza degli Akaran e riesce ad accoltellare alle spalle il sovrano. Dopo la tragica morte di Leodan, i suoi quattro eredi vengono separati e condotti in gran segreto ai confini del regno, affinchè possano sopravvivere e ristabilire un giorno il potere della dinastia degli Akaran.
"La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato". Come si racconta una vita se non esplorandone i luoghi simbolici e geografici, ricostruendo una mappa di sé e del mondo vissuto? Tra la Basilicata e Brooklyn, da Roma a Londra, dall'infanzia al futuro, il nuovo libro dell'autrice di "Cleopatra va in prigione" è un'avventura che unisce vecchie e nuove migrazioni. Figlia di due genitori sordi che al senso di isolamento oppongono un rapporto passionale e iroso, emigrata in un paesino lucano da New York ancora bambina per farvi ritorno periodicamente, la protagonista della "Straniera" vive un'infanzia febbrile, fragile eppure capace, come una pianta ostinata, di generare radici ovunque. La bambina divenuta adulta non smette di disegnare ancora nuove rotte migratorie: per studio, per emancipazione, per irrimediabile amore. Per intenzione o per destino, perlustra la memoria e ne asseconda gli smottamenti e le oscurità. Non solo memoir, non solo romanzo, in questo libro dalla definizione mobile come un paesaggio e con un linguaggio così ampio da contenere la geografia e il tempo, Claudia Durastanti indaga il sentirsi sempre stranieri e ubiqui. "La straniera" è il racconto di un'educazione sentimentale contemporanea, disorientata da un passato magnetico e incontenibile, dalla cognizione della diversità fisica e di distinzioni sociali irriducibili, e dimostra che la storia di una famiglia, delle sue voci e delle sue traiettorie, è prima di tutto una storia del corpo e delle parole, in cui, a un certo punto, misurare la distanza da casa diventa impossibile.