
È il 15 aprile 1912 quando il Titanic affonda e più di 1500 persone perdono la vita. La notizia della tragedia fa il giro del mondo. Quando arriva tra le verdi campagne dello Yorkshire, in Inghilterra, nella tenuta di Downton Abbey, il conte e la contessa di Grantham appaiono più sconvolti e turbati di chiunque altro. Lo stesso destino che non ha concesso loro un figlio maschio, ma soltanto tre femmine, Mary, Edith e Sybil, gli ha appena strappato anche il legittimo erede della loro proprietà, Patrick Crawley, morto a bordo del transatlantico. Ora il nuovo beneficiario è Matthew, cugino di terzo grado della famiglia, un uomo "inopportuno", "scandaloso", che, in spregio a ogni nobile tradizione e costume, lavora per vivere.
Ad Ascot, nella tribuna della Royal Enclosure, tra le matrone coi loro fronzoli di organza, Edith Lavery, figlia di un revisore di conti, spicca davvero. Col suo elegante tailleur di lino celeste, la sua grazia giovanile, il cappellino che le dà un'aria frivola e così sobria e chic, è davvero irresistibile. Agli occhi soprattutto di Charles, conte di Broughton, aristocratico purissimo e... suo prossimo consorte, erede del marchese di Uckfield, figlio di Lady Uckfield, la celebre e terribile Googie, ancien riche che ha accresciuto la sua ricchezza con la Thatcher e l'ha raddoppiata con l'accomodante New Labour. Con la sua scrittura elegante, misurata e ironica, che "ricorda Jane Austen e Evelyn Waugh" (Tim Lott), Julian Fellowes ci offre, con "Snob", un romanzo esilarante che ci svela i codici, i rituali, le abitudini di un mondo ostinatamente chiuso in se stesso e ossessionato dal pericolo di nouveaux riches e parvenus d'ogni specie.
È il 1948 e Dieter Muller, allievo del maggiore filosofo del Novecento, il pensatore tedesco Martin Heidegger, prima di compiere il gesto estremo di togliersi la vita, scrive una lunga lettera al figlio. La lettera illumina il clima della cultura tedesca degli anni Trenta, la percezione di trovarsi dinanzi a una svolta cruciale della storia umana in cui si sfidavano nel duello finale, in una vera e propria apocalisse dell'accadere storico, l'universalismo giudaico-cristiano della tecnica, rappresentato dal dominio anglo-americano, e le forze della tradizione europea. Sono gli anni in cui il nazionalsocialismo trionfa, e Martin Heidegger si trasforma nel profeta di una intera generazione chiamando la gioventù tedesca alla lotta per la grandezza perduta della Germania sotto la guida del Fuhrer. Dieter Muller racconta al figlio la sua fede incrollabile in quegli ideali, e il fervore con cui lui e altri giovani intellettuali tedeschi del tempo condussero quella battaglia. Finché, rifugiatosi in Argentina dopo la guerra, la foto di un ebreo condotto alla camera a gas dalle SS, lo pone dinanzi alla terribile verità del genocidio e della soluzione finale. Una verità insopportabile per Dieter Muller, che non esita a porre fine alla propria vita. Dall'istante in cui entra in possesso della lettera del padre, un solo pensiero ossessiona il giovane Muller: rintracciare il responsabile della fine del padre, Martin Heidegger.
Il mondo intorno a lei è fatto solo di suoni, rumori, voci. Ed è grazie a quelle voci frammentarie e confuse che Amber Reynolds capisce di aver avuto un incidente d'auto e di essere in una stanza di ospedale. In coma. Amber non ricorda nulla di quanto le è accaduto, e una domanda la perseguita da subito: com'è possibile? Io non guido quasi mai... Poi, tra quelle voci ne riconosce due, che diventeranno il suo unico contatto con l'esterno. Quelle di suo marito e di sua sorella. Ignari che Amber li possa sentire, i due discutono, litigano, rivelano dettagli e indizi. E lei si rende conto di non potersi fidare. Entrambi hanno qualcosa da nascondere. E, forse, non sono un'ancora di salvezza, bensì un pericolo vicino e insidioso. No, l'unico modo per scoprire cosa le è successo è ricostruire nella sua mente, passo dopo passo, gli eventi dell'ultima settimana, fino al momento dell'«incidente». Ma Amber ha paura. È impotente, in balia di chi le sta intorno. Come l'uomo che si accosta al suo letto la sera, quando gli altri sono andati via. E che le sussurra all'orecchio velate e inquietanti minacce... Amber deve svegliarsi, prima che sia troppo tardi. Perché anche lei ha un segreto da proteggere. Anche lei ha un piano da portare a termine.
Tanith corre con i lupi dell'Orda, sfidando il gelo delle Terrefredde. Si muove con l'accortezza di un predatore e ne possiede la ferocia, ma è solo una ragazzina. Cresciuta dal branco e dalla misteriosa Sciamana, Tanith non ha paura di niente, come i lupi che l'hanno accolta tra di loro. Né delle gigantesche creature che popolano i ghiacciai né dei soldati dell'imperatore venuti da lontano per imprigionare suo padre, il leggendario Signore dei Lupi. Per liberarlo, la giovane dovrà viaggiare fino ai confini di Tlön, un regno in decadenza lacerato da sanguinose battaglie tra clan rivali. Insieme a Tanith combattono l'amato fratello Garr, che l'aiuterà a scoprire davvero se stessa, e il boia Malamorte, depositario di antichi riti negromantici e di un segreto che potrebbe salvare l'impero dalla distruzione. Perché su Tlön incombe l'oscura minaccia di un popolo primigenio che esige tremendi sacrifici umani per ritornare alla luce. Con "I demoni del ghiaccio" Stefano Federici racconta l'epopea fantasy di una giovane ribelle, pronta a sfoderare gli artigli contro il Male che si risveglia nel cuore della sua terra e contro quello che segretamente si annida nel suo.
Un classico del romanzo d'appendice di cappa e spada, di nuovo disponibile in italiano. Nella Francia d'inizio XVIII secolo, il cavaliere di Lagardère si trova al centro di un complotto ordito dal principe di Gonzaga per uccidere il duca di Nevers, sposarne la vedova e impossessarsi della fortuna della figlia Aurore. Dopo un lungo esilio in Spagna e in possesso del colpo segreto del defunto duce (l'invincibile botta di Nevers"), ritroviamo Lagardère diciannove anni dopo a Parigi, durante la scintillante Reggenza di Philippe d'Orléans. Travestito da gobbo, è pronto a realizzare la sua vendetta. Classico del genere 'cappa e spada' e in possesso di tutti gli elementi caratteristici del romanzo popolare d'appendice dell'Ottocento, 'Il Cavaliere di Lagardère' riporta il lettore in un'epoca in cui gli uomini mettevano in gioco la vita per la difesa dell'onore. "Perchè, se tu non verrai da Lagardère, Lagardère verrà da te". "
Nella Francia d’inizio XVIII secolo, il cavaliere di Lagardère si trova al centro di un complotto ordito dal principe di Gonzaga per uccidere il duca di Nevers, sposarne la vedova e impossessarsi della fortuna della figlia Aurore. Dopo un lungo esilio in Spagna e in possesso del colpo segreto del defunto duca (l’invincibile “botta di Nevers”), ritroviamo Lagardère diciannove anni dopo a Parigi, durante la scintillante Reggenza di Philippe d’Orléans. Travestito da gobbo, è pronto a realizzare la sua vendetta. Classico del genere cappa e spada e in possesso di tutti gli elementi caratteristici del romanzo popolare d’appendice dell’Ottocento, Il cavaliere di Lagardère riporta il lettore in un’epoca in cui gli uomini mettevano in gioco la vita per la difesa dell’onore.“Perché, se tu non verrai da Lagardère, Lagardère verrà da te”.
La cultura italiana ha radici millenarie e una grande capacità di universalizzarsi, e ha regalato al mondo architetti, pittori, scultori, musicisti e scrittori unici e straordinari. Questo libro intende introdurre il lettore ad alcuni classici della letteratura italiana: sarà, per così dire, una sorta di "viaggio letterario" in Italia. Per brevità, ho selezionato soltanto alcuni autori per me particolarmente significativi: Dante, Manzoni, Collodi, De Amicis e Guareschi. Le loro opere offrono uno spaccato della storia e della società dell'Italia del loro tempo, e dimostrano la possibilità di dialogo, di comprensione e di convivenza tra persone di diversa sensibilità culturale: un dialogo reso possibile, a mio avviso, dal profondo humus cristiano del Paese. Ma al di là di queste ragioni oggettive, ho scelto questi testi anche perché sono i miei classici, quelli che mi hanno accompagnato nel corso della vita, e la cui lettura mi ha lasciato qualcosa. Sono certo che potranno essere molto utili anche a quanti finora non hanno avuto occasione di accostarsi ad essi.
Ognuno di noi è la somma delle esperienze che ha fatto, delle persone che ha incontrato e dei luoghi dove è stato, dei libri che ha letto e dei film che ha visto, delle storie che ha ascoltato. Per questo "le radici sono sempre plurali" e sono sempre in movimento, in continuo divenire: "rispetto all'identità, le radici sono il cammino, sono le strade, più lievi da percorrere e da portare come bagaglio, perché camminano insieme con noi". Seguendo la fitta rete dei loro incroci e delle loro divaricazioni, Gian Luca Favetto racconta radici che, come per ognuno di noi, si diramano nello spazio e nel tempo: radici che nascono da un torrente, da un campo di calcio, da una pagina scritta, da uno schermo cinematografico. Parte dal Vietnam, dove ha radici il suo albero genealogico, e ci porta nella campagna piemontese, a Venezia, a Benares, a Madrid, in Giappone, per farci conoscere le persone che, anche con un solo sguardo, hanno cambiato il corso della sua vita. Perché "se insegui radici trovi persone"; perché è il racconto che incatena e incanta, incastonando ogni momento nelle nostre vite. "Le vite sono fatte di storie più che di atomi e ciascuno ha le sue, ciascuno è le sue storie. Diventano sue anche quelle degli altri, se ascoltate, poiché l'ascolto le fa rivivere. E nelle storie affondano le radici".
Storie di Giufà, edite e inedite, della tradizione mediterranea, raccontate così come ascoltate dalla viva voce di chi ancora le narra.
Giufà è il personaggio più conosciuto e "interculturale" del Mediterraneo: le sue storie sono narrate in Italia, nel Magreb, in Turchia, nell'Europa del Mar Morto, in Spagna e in Francia. Il personaggio spesso assume nomi diversi…ma la sostanza non cambia: Giufà è spesso lo sciocco a volte stolto a volte sapiente, è l'ingenuo a volte furbo, è il disgraziato a volte fortunato. Giufà è tutto e il contrario di tutto.
Sara Favarò, poeta, cantastorie, interprete della musica popolare, ricercatrice delle tradizioni popolari, attrice, autrice di ricerche antropologiche, romanzi, saggi sociali, poesie. Collabora con le scuole sulle tematiche della legalità e delle tradizioni popolari.
Prefazione di Roberto Saviano
La verità, in questo romanzo,
passa anzitutto attraverso la ribellione.
“Gli sparano cinque colpi alla testa. Tutti mirati alla nuca. Per ammazzarlo e per sfregiarlo.”
Roberto Saviano
Una storia di violenza e ribellione, al sole di Sicilia, al sole di una mafia arcaica come la terra su cui prospera. Turi, che lavora come uno schiavo per pagare i debiti contratti con un latifondista; Possano, il predicatore-profeta che come un oracolo dice antiche verità inaccettabili per i potenti; Michele, che alla miseria preferisce la via del brigantaggio; Alfio, che vive il dramma dell’emigrazione in Venezuela; e Stellina, la figlia di Turi, che vuole vincere la più grande battaglia, quella contro la malattia e la morte. Personaggi come icone di un tempo segnato dalla lotta dell’uomo contro la natura e contro l’altro uomo. Una storia che ha la forza primordiale dei miti, ma il bisogno di speranza degli uomini di oggi.
“Chi nasce al Sud sa bene che non tutti i modi di ammazzare sono uguali. Alle mafie non basta eliminare. Nella modalità della morte è siglata una precisa comunicazione. Giuseppe Fava, Pippo per chi lo conosceva, lo sfregiano sparandogli in testa quando si sta muovendo in una situazione che non c’entra nulla col suo lavoro. L’esecuzione di Pippo Fava gli uomini di Cosa Nostra la compiono il 5 gennaio del 1984, mentre sta andando al Teatro Verga a prendere sua nipote che aveva appena recitato in Pensaci Giacomino!, l’inno pirandelliano al nostro eterno Stato incapace. Ma la morte di Pippo Fava non termina con quegli spari. Non si esaurisce con quel singolo atto di violenza. La si stava preparando da tempo e sarebbe continuata per molto tempo ancora.”
Dalla Prefazione di Roberto Saviano