
Anna coltiva un unico, profondo desiderio: essere indipendente. E invece, orfana e costretta a vivere a carico della ricca cognata - a sua volta mossa dal solo desiderio di maritarla al miglior partito su piazza e togliersela di torno -, Anna rifiuta i corteggiatori e si convince di esser condannata a una vita dimezzata. Fino a quando non accade l'impensabile: un'inaspettata, cospicua eredità arriva a cambiarle la vita e a garantirle l'autonomia tanto desiderata. Ma arrivano anche le impreviste ma prevedibili difficoltà. Colta da un irrefrenabile impulso di generosità, Anna decide di condividere la sua fortuna, e concepisce un progetto filantropico inteso a donare la felicità a dodici donne provate dalle asprezze della vita. Ma dopo una spassosa girandola di situazioni che l'ingenua Anna non poteva immaginare, tutto precipita... Con la verve che distingue la sua scrittura, Elizabeth von Arnim ritorna a un tema che le sta particolarmente a cuore, l'indipendenza femminile, già al centro di "Lettere di una donna indipendente". Mettendo con delicatezza alla berlina la protagonista e il suo progetto improbabile, Elizabeth von Arnim dà voce al tema del destino delle donne, sempre legato al matrimonio, e di quali concrete alternative si possano davvero presentare a chi desideri restare "fuori dal coro".
La giovane principessa Priscilla è stanca, stanca morta della vita di corte, del protocollo, delle dame di compagnia e di tutti gli obblighi cui deve sottostare per il solo fatto di essere figlia del granduca di Lothen-Kunitiz. Così progetta la fuga da palazzo, una fuga inesorabilmente e frettolosamente anticipata non appena il granduca decide di dare Priscilla in moglie a un cugino. Accompagnano Priscilla il bibliotecario Fritzing - ufficialmente bibliotecario, in realtà una via di mezzo tra un padre, troppo assente quello vero, e la madre che Priscilla ha perso anni prima - e la cameriera Annalise, ignara del fatto che la principessa abbia deciso di trasferirsi in un piccolo cottage della campagna inglese soffocato dai rampicanti, senza servitù, per condurre finalmente una vita del tutto normale. Priscilla può adesso cominciare la vita che sogna da sempre: non avere nessun obbligo, se non quello di essere buona e aiutare i bisognosi. Ma la sua idea di bontà distribuire banconote di grosso taglio tra i paesani allibiti, rimpinzare di dolciumi i bambini, somministrare del rum a una vecchietta malata - non è delle più canoniche. Neanche a dirlo, presto i sogni si infrangono: i soldi finiscono, la cameriera avvilita tesse un ricatto ai danni di Priscilla, le famiglie del villaggio mal tollerano lo scompiglio che l'arrivo della principessa ha portato con sé. Ma, come in ogni fiaba che si rispetti, non manca il lieto fine. O quasi.
Estate 1919. Oppressa da una profonda tristezza causata dagli orrori della guerra, Elizabeth si rifugia nel suo chalet svizzero. Arriva sola, l'animo rabbuiato dalle pesanti perdite subite e consapevole della malvagità umana, nella casa tra i monti che fino a pochi anni prima riecheggiava della presenza e delle risate di numerosi amici. Vuole ritrovare la gioia di vivere, scuotersi dall'apatia, tornare ad amare la natura, ad apprezzare i fiori e i panorami incantevoli che la circondano. Non è un'impresa facile, ma lentamente comincia a riaccendersi in lei una sottile vena di energia. Anche per il suo compleanno è sola. Concede ai domestici un giorno di libertà e si accinge a dedicarsi a qualche lavoro pesante che la costringa a non pensare, quando le arriva un regalo inatteso: due donne inglesi, reduci da un'escursione e in cerca di una pensione dove trascorrere la notte, giungono per caso allo chalet. Elizabeth le invita a pranzo, poi per il tè, quindi a rimanere con lei per alcune settimane. E dalla loro presenza nascerà la promessa di una nuova felicità. Pieno di scene divertenti e intriso della solita lieve ma spietata ironia che contraddistingue lo stile di Elizabeth von Arnim, "Uno chalet tutto per me", scritto in forma di diario, ci offre una serie di pensieri profondi sull'importanza del preservare la vita e sull'insensatezza della guerra.
Con l'incombere della prima guerra mondiale, Anna Rose e Anna Felicitas, due gemelle diciassettenni orfane di entrambi i genitori, vengono affidate ai loro poco solleciti parenti inglesi. Lo zio Arthur, tronfio patriota, è un tutore decisamente riluttante: le ragazze sono tedesche da parte di padre e, chissà, potrebbero agire come spie nemiche... Spedite in America, durante la traversata in transatlantico incontrano Mr Twist, un ingegnere benestante dallo spiccato istinto materno, con cui stringono durevole amicizia. Purtroppo Mr Twist non ha considerato le conseguenze del prendere sotto la sua ala protettiva due giovani e bellissime donne assolutamente sprovviste di tatto e di risorse che continueranno a richiedere il suo aiuto per lungo tempo dopo il loro arrivo a destinazione, a New York. Ne derivano numerose avventure raccontate con l'arguzia tipica dello stile della von Arnim in un romanzo (già pubblicato da Bollati Boringhieri con il titolo "Cristoforo e Colombo", 2004) che esplora la natura dei sospetti riversati sulle due Anna e su Mr Twist in un paese che si appresta alla guerra.
"Partita d'impulso, da sola, in una spedizione autunnale, colei che narra in prima persona entra di soppiatto in un altro giardino incantato, quello mitico della sua infanzia: un eden dal quale, ci dice, fu espulsa alla morte di suo padre. Ora, mentre si aggira di soppiatto per quei luoghi, badando a non farsi sorprendere, la clandestina incontra alcuni fantasmi del passato, o meglio, rievoca alcune figure della sua fanciullezza legate a esso: un nonno severo e atteggiato; un padre complice ma non disposto a compromessi; una comica istitutrice. Infine incontra, magica e inquietante presenza in carne e ossa, una bambinetta saccente e indipendente chiamata proprio Elizabeth..." (dalla prefazione di Masolino d'Amico)
Don Luca, un semplice prete di campagna si racconta. Nel borgo ai margini della città, partecipa alla vita della sua gente come se in ciascuno dei suoi parrocchiani il grande mistero della vita trovasse una vera e propria consacrazione. La sua storia è al tempo stesso la storia di tutti.
Il romanzo prende spunto da un'antica tradizione cristiana, secondo cui l'apostolo Giovanni avrebbe vissuto i suoi ultimi giorni nell'isola greca di Patmos. Nelle memorie di Ermogene, un contadino del posto, la vita di Giovanni si fonde con quella di Gesù, degli altri discepoli e del tempo in cui essi vissero, in una narrazione di ispirazione biblica che riporta in vita alcuni personaggi chiave della cristianità. "Il vegliardo di Patmos" è un'opera dal respiro antico, ma che mantiene il soffio di vitalità e attualità proprio di certi eventi che oltrepassano gli anni e i secoli, proiettati negli orizzonti infiniti.
Aher non è orfano. Aher in Sudan una famiglia ce l’ha. Ha una madre e un padre, e dei nonni. Anche se di loro non si ricorda niente e non sa se li rivedrà di nuovo. Aveva tre anni, forse quattro quando suo zio se l’è caricato in spalla e l’ha portato via. Non c’era altra possibilità per sottrarlo alla violenza della guerra civile. Dopo giorni e giorni di cammino, all’arrivo al campo profughi in Etiopia non trovano nessuno ad aspettarli. Niente cibo, né acqua, né medicine. C’è solo un lago con l’acqua ricoperta da una patina scintillante, che lo zio gli impedisce di bere. Ci sono fantasmi di uomini e donne che a stento si reggono in piedi. E tanti bambini e ragazzi, loro sì orfani, e senza qualcuno che si prenda cura di loro. Vengono chiamati ragazzi perduti, ma nessuno li sta cercando. Quelli più piccoli a volte piangono, sentono ancora la mancanza della mamma, ma per poco, perché poi bisogna continuare a lottare.
Quando anche lo zio lo lascia solo, Aher diventa uno di loro. Saranno la sua famiglia, i suoi compagni di cammino, a volte di gioco, il suo sostegno. A cinque anni Aher ha già affrontato fame, sete e malattie. Ha già visto la morte da vicino, e camminato per giorni e giorni. Eppure il suo viaggio – seimila chilometri attraverso il continente africano – deve ancora cominciare.
È notte, su una stradina di montagna in Svizzera. Un’auto procede veloce, diretta a Marsiglia. A bordo un uomo, Pietro Leone, funzionario dell’Onu a Ginevra. Accanto a lui dorme il figlio Nico, una console stretta fra le mani, i jeans a vita bassissima come ogni adolescente che si rispetti. I due sono in fuga, anche se nemmeno Pietro sa da cosa sta fuggendo. La sola certezza è che da giorni qualcuno tiene sotto controllo i suoi movimenti e che la moglie Emilia Viñas, spagnola, ricercatrice al Cern, la sera precedente non è tornata a casa. La donna è la responsabile di uno degli esperimenti con il Large Hadron Collider, l’Lhc, il più potente acceleratore di particelle mai costruito al mondo. Emilia ama il suo lavoro, al quale spesso, necessariamente, sacrifica la famiglia e soprattutto il rapporto con Pietro, che sembra giunto a un punto morto. Del resto, quella della fisica, da Einstein alla teoria delle stringhe, è un’avventura troppo affascinante.
Lo scopre anche Nuria Moreno, giornalista di Madrid giunta al Cern per realizzare un servizio per il suo giornale e conquistata da quel mondo all’inizio tanto lontano da lei. E proprio grazie alle sue domande, che si fanno via via più puntuali, veniamo coinvolti in un universo che a molti appare misterioso e incomprensibile, ma che in queste pagine si racconta e si manifesta con l’immaginazione e la passione che lo animano, rivelandosi intessuto della stessa sostanza, dello stesso desiderio di conoscenza, degli interrogativi sul futuro e sulla vita che agitano tutti noi... Da chi stanno scappando Pietro e Nico? Dov’è finita Emilia?
È notte, su un'autostrada svizzera. Una macchina procede a velocità sostenuta, diretta a Marsiglia. A bordo un uomo, Pietro Leone, funzionario dell'Onu a Ginevra. Accanto a lui dorme il figlio Pietro, una console stretta tra le mani, i jeans a vita bassissima come ogni adolescente che si rispetti. I due sono in fuga, da non si sa bene cosa. La sola cosa che Pietro sa è che da giorni qualcuno sta tenendo sotto controllo i movimenti suoi e della sua famiglia e che la moglie Emilia, ricercatore al Cern, è scomparsa da casa da qualche giorno. La donna stava lavorando, con un gruppo di fisici spagnoli, a un rivoluzionario calorimetro per decifrare le energie di fotoni ed elettroni...
In Messico un giovane storico vuole ricostruire gli ultimi giorni di Walter Benjamin, morto suicida nel 1940; ha trovato un testimone diretto di quel suicidio e si reca fin laggiù per intervistarlo. Ma Laureano, il vecchio esule che ha vissuto quegli anni, lo travolge con il fiume della sua memoria, quasi che la storia non aspettasse che l'occasione per essere raccontata. L'uomo ha quasi ottant'anni ma dentro di lui vive ancora il ragazzo asturiano che nell'ottobre del 1934 è diventato uomo in una battaglia combattuta dal popolo spagnolo due anni prima della Guerra Civile.
Pubblicato per la prima volta nel 1972, e vincitore nello stesso anno del Premio Campiello, "Randagio è l'eroe" è un romanzo picaresco, il cui protagonista, Giuan, è un artista ribelle ossessionato dall'Ultima Cena di Leonardo, che di notte percorre in bicicletta le strade di Milano per correggere i graffiti sui muri e trasformarli in messaggi d'amore. Giuan, infatti, diventa "randagio" per insegnare agli uomini l'eroismo della bontà, sacrifica la propria vita per regalare un miracolo al mondo. Quella che Arpino racconta è una storia di surreale poesia, che, a distanza di oltre quarant'anni dalla prima uscita, ci appare straordinariamente fresca e attuale. Così Guido Piovene presentava il romanzo sulla Stampa: "In questo romanzo, Arpino ha voluto portarci in una condizione di verità e nudità totali. Nuda la parola profetica, nuda la parola scurrile, morte le inibizioni che possono vivere solo accanto ai sentimenti medi. Abbiamo così un altro segno che il pendolo oscilla di nuovo verso l'emotivo, il fantastico, il surreale, il favoloso, il sentimento cosmico e metastorico, e anche un misticismo di tendenza randagia, fuori di qualsiasi chiesa. Non senza fastidio per quanto ormai sa di dogmatico, apodittico, unidimensionale, freddo, rigoristico, arcigno nel genere di cultura scientifico-razionalista in cui siamo cresciuti".

