
Quando, il 10 agosto 1914, le campane suonano a martello annunciando la mobilitazione, nemmeno il mite, smarrito Anthime riesce a sottrarsi all'esultanza generale, alle discussioni febbrili, alle risate senza fine sovrastate da inni e fanfare. E poi - lo dice anche Charles con la consueta sicumera - è questione di quindici giorni al più, sarà una guerra lampo. Un ultimo, antinomico sguardo d'addio alla deliziosa Bianche - la giovane che ama ma che Charles ha ovviamente conquistato per primo - e, insieme a lui e agli inseparabili Padioleau, Bossis e Arcenel, eccolo partire da Nantes alla volta dell'ignoto. Ignoto che rimarrà tale per tutti i cinquecento giorni che passerà al fronte, perché per Anthime la guerra non può che essere un evento tenebroso e indecifrabile: anche quando si lancia curvo e goffo contro il nemico, preceduto dalla lama della baionetta che fora l'aria gelida, anche quando apprende della morte di Charles, abbattuto insieme al Farman F 37 sul quale compiva un volo di ricognizione, anche quando vede Bossis inchiodato a un puntello di galleria, anche quando si vomita addosso di paura e di disgusto - anche quando una scheggia di granata, simile a una levigata ascia neolitica, punta su di lui come per regolare una questione personale. D'ora innanzi, la sua vita minuscola sarà diversa - inaspettatamente, sorprendentemente diversa.
Trentaquattro anni, camicetta azzurra attillata, pantaloni skinny antracite, corto caschetto alla Louise Brooks - in una parola, incantevole. È così che ci appare Constance, poco attiva e poco qualificata, ma in compenso duttile, molto incline alle disavventure sentimentali e misteriosamente capace di scatenare, con la sua morbida svagatezza, l'imprevedibile. Una quindicina di anni fa, fra l'altro, Constance è stata l'interprete di un successo planetario, "Excessif", una di quelle canzoni che fanno ballare il mondo intero, dalla Lapponia allo Yemen, e assicurano a chi le compone - nella fattispecie il suo ex marito, Lou Tausk - un'esistenza oziosa e dorata. Una canzone che tutti ricordano ma che continua a essere popolarissima, guarda caso, fra gli apparatcik della Corea del Nord, incluso uno dei consiglieri più influenti del Leader supremo, Gang Un-ok. Giovane, charmant, educato in Svizzera e presumibilmente aperto al dialogo con l'Occidente, Gang è insomma il bersaglio ideale del languido fascino di Constance, che dopo varie, e per noi irresistibili, peripezie finirà - agente segreto suo malgrado - in una opulenta villa di Pyongyang con la missione quanto mai rischiosa di sedurre Gang, e destabilizzare la Corea del Nord.
Tutto era cominciato con un ragazzo dalla maglietta bianca e i capelli lunghi che dal palco de L'air du temps incantava le ragazze con la forza giovane della sua musica e la musicalità antica della sua lingua. A quei tempi Serey sembrava vivere solo di rock e della matematica che studiava all'università, eppure molto altro impegnava il suo cuore: da sei anni era lontano dal suo paese, da quando i Khmer Rossi avevano chiuso le frontiere della Cambogia. È durante questo esilio forzato che lo incontra lei. Di qualche anno più giovane, anche Anne deve fare i conti con la solitudine: quella di essere cresciuta senza un genitore, affidata a un padre il cui dolore aveva trasformato la dolcezza in severità. Tra Anne e Serey l'amore è quello disperato e senza domani di chi si abbandona all'altro come a una patria ritrovata, di chi impara per la prima volta la propria lingua madre.
Ma quando i Khmer vengono ricacciati sulle montagne e le frontiere riaperte, Serey deve tornare a casa e scoprire cosa è successo alla sua famiglia negli anni in cui Pol Pot ha trasformato la Cambogia in un inferno. Un periodo in cui il regime ha armato le mani dei contadini contro i propri stessi fratelli in nome di un'ideologia per cui era «meglio uccidere un innocente che lasciare in vita un solo traditore».
Quando, dopo undici anni senza avere sue notizie, le sembra di intravedere il volto di Serey in un servizio al telegiornale, Anne decide di partire per la Cambogia. Inizia così la battaglia, disperata, indimenticabile, di una donna forte e disposta a tutto per dare voce a chi è stato messo a tacere dalle ragioni della Storia.
Il fiume delle cento candele è un romanzo scritto come una lunga, struggente lettera d'amore, un canto rivolto all'amato assente e al suo paese che diventa una meditazione sofferta sulla verità e la giustizia, su quali parole usare per onorare i morti e pacificare i vivi. Anche quando ogni parola sembra venir meno.
Eckermann, sebbene avesse solo trent'uno anni quando incontrò il poeta settantaquatrenne, si dedicò totalmente a lui e gli stette vicino durante gli ultimi nove anni di vita. Nelle pagine di queste conversazioni sfilano i personaggi più illustri dell'epoca, ma anche chi ebbe un ruolo importante nella vita intima e famigliare del grande scrittore tedesco: Napoleone e Schiller, Byron e Voltaire, un amore di gioventù e la presenza della famiglia negli ultimi anni di vita; ma anche Carlyle, Delacroix, Hegel, Molière, Mozart, Manzoni. E poi, i suoi pensieri sull'arte, l'architettura, l'astronomia, la Bibbia, la letteratura cinese, i sogni, l'etica, la libertà, l'immaginazione, l'immortalità, l'amore, la natura, e molto altro ancora: ogni cosa trova spazio in questo volume. Così definito dallo stesso Eckermann: "Non solo penso che le conversazioni contengano molte delucidazioni e inestimabili insegnamenti per la vita, l'arte e la scienza, ma ritengo anche che questi schizzi dal vero contribuiranno a completare soprattutto l'immagine che ci siamo fatti di Goethe leggendo le sue opere così multiformi".
Contemporaneo di Dante, Meister Eckhart divise la sua vita fra la predicazione e l'insegnamento della teologia, di cui fu magister a Parigi. Egli illumina nei suoi Sermoni le immagini elementari, quelle che appartengono all'esperienza anche del più umile tra gli ascoltatori, e insieme le collega e articola.
Londra, Kennington Road. La grande casa georgiana al numero 137 è in vendita. Tanto affollata un tempo, ora è soltanto un nido vuoto, troppo grande per una donna sola. Troppo carica di ricordi per chi non vuole più essere prigioniera del proprio passato. E così Edwina Spinner, ex artista e illustratrice, ha deciso di andarsene. Mentre conduce l'agente immobiliare di stanza in stanza, si sente trasportare indietro nel tempo. La sua mente torna a cinquant'anni prima, quando si era trasferita lì dopo le nozze, giovanissima, con il primo, grande amore. Torna ai suoi bambini, i gemelli Rowena e Charlie, così imprevedibili, così diversi. Torna al secondo marito e al figlio acquisito, che l'ha sempre detestata - e che lei ora non riesce nemmeno a nominare. Ogni angolo della casa è intriso della loro gioia, delle loro lacrime, del loro sangue. Ci sono porte da cui Edwina sente ancora risuonare risate cristalline. Altre che preferirebbe non aprire mai più, per non lasciare uscire i segreti più inconfessabili. Come il ricordo della notte che ha spezzato per sempre la sua famiglia. Ma nemmeno Edwina conosce davvero tutta la storia. La verità su quella notte è un mosaico al quale mancano alcune tessere: un indizio nascosto in un baule mai aperto, una confessione rimandata da troppo tempo. E, per scoprire tutta la verità, Edwina dovrà affrontare proprio l'unica persona che non avrebbe voluto rivedere mai più. Un romanzo che si tinge ora di suspense, ora di commozione, per raccontare i segreti e i drammi di una famiglia e ricordarci la forza dei legami di sangue e del perdono.
Ultima settimana del novembre 1327. Il novizio Adso da Melk accompagna in un'abbazia dell'alta Italia frate Guglielmo da Baskerville, incaricato di una sottile e imprecisa missione diplomatica. Ex inquisitore, amico di Guglielmo di Occam e di Marsilio da Padova, frate Guglielmo si trova a dover dipanare una serie di misteriosi delitti (sette in sette giorni, perpetrati nel chiuso della cinta abbaziale) che insanguinano una biblioteca labirintica e inaccessibile. Per risolvere il caso, Guglielmo dovrà decifrare indizi di ogni genere, dal comportamento dei santi a quello degli eretici, dalle scritture negromantiche al linguaggio delle erbe, da manoscritti in lingue ignote alle mosse diplomatiche degli uomini di potere. La soluzione arriverà, forse troppo tardi, in termini di giorni, forse troppo presto, in termini di secoli.
Un'abbazia medievale isolata. Una comunità di monaci sconvolta da una serie di delitti. Un frate francescano che indaga i misteri di una biblioteca inaccessibile. Un nuova edizione con i disegni e gli appunti preparatori dell'autore.
Quattro letture che analizzano il tema della menzogna e dell'ironia in Cagliostro, Manzoni, Campanile e Hugo Pratt. Cagliostro mente con la parola e con il suo comportamento, così come menzognere sono le leggende nate intorno alla sua figura. Manzoni mostra il divario tra linguaggio verbale (fonte di menzogna) e segni naturali, facendo ironia somma col linguaggio letterario, così come avviene in Campanile che mente proprio per gioco. Anche Pratt usa la finzione come gioco fantastico e ironico. Quattro testi di Eco che con sottile divertimento intellettuale ci offrono una modalità di lettura di personaggi della cultura contemporanea e della storia.
L'esame dei Misteri di Parigi, dei Beati Paoli, della meccanica dell'agnizione, di superuomini classici come Montecristo, Rocambole, Arsenio Lupin, Tarzan, eccetera, traccia una teoria del romanzo consolatorio e delle sue contraddizioni, valida anche per i prodotti di massa dei giorni nostri. Nietzsche ed Eugènc Sue, Pitigrilli e Ian Fleming, fumetti e feuilletons, i corsari in lacrime di Salgari e l'impeccabile ed elegante 007.
"La bustina di Minerva" è una rubrica iniziata sull'ultima pagina dell'"Espresso" nel marzo del 1985 e continuata con regolarità settimanale sino al marzo 1998, quando è diventata quindicinale. Ora le "Bustine" sono state selezionate e raccolte in questo libro. Si spazia da riflessioni sul mondo contemporaneo, alla società italiana, alla stampa, al destino del libro nell'era di Internet, sino ad alcune caute previsioni sul terzo Millennio e a una serie di "divertimenti" o raccontini. La raccolta dà il senso alla rubrica che, come vuole il titolo, intendeva raccogliere quegli appunti occasionali e spesso extravaganti che talora si annotano nella parte interna di quelle bustine di fiammiferi che si chiamano appunto Minerva.