
Che cosa si nasconde dietro la vicenda di un oscuro liutaio del Settecento emigrato in cerca di fortuna dalla Baviera alle terre dell'odierno Nord Italia? Quali imprevedibili sviluppi può generare per uno storico il tentativo di risolvere l'enigma di un violino? Come si intreccia uno sguardo su una realtà tanto lontana con le osservazioni sul nostro presente di cittadini europei? Punto di partenza di Philipp Blom è la cittadina di Füssen, in Algovia, ai piedi delle Alpi. Apparentemente è un anonimo borgo, ma qui si sono formati per secoli centinaia di liutai attivi da Parigi a Praga, da Londra a Napoli, che hanno segnato la fabbricazione e il commercio dei violini. Mescolando conoscenza e intuito, grandi eventi e microstoria, seguendo i flussi degli uomini e le rotte delle merci, la ricerca di Blom si snoda lungo varie direttrici: una più ampia e prettamente storica, dalla Guerra dei Trent'anni ai giorni nostri, e una connessa all'evoluzione del gusto musicale, tra Mozart, Beethoven, Vivaldi e le raffinate tecniche delle migliori botteghe artigiane; una più personale, ispirata dal viaggio in Italia di Goethe e in grado di restituire il fermento che all'epoca animava il Vecchio Continente, da Vienna e Venezia. Nel descrivere la parabola di un centro fiorente nell'Europa di più di tre secoli fa, Blom suggerisce che anche fama e prestigio possono nascere dalla necessità, come per i liutai di Füssen diventati tali per far fronte all'infertilità dei terreni nelle aree alpine. Allo stesso modo, la spinta a spostarsi può essere determinata da un cambiamento climatico, da una catastrofe ambientale o da una curiosità vitale, elementi che in ogni tempo influenzano l'esistenza degli individui.
Dopo un week-end trascorso per dovere a casa dei genitori, Cecile sta rientrando a casa. È mattina prestissimo, e lei prova un senso di leggerezza. Ma quando il treno sta per partire qualcuno le si siede accanto. Qualcuno con un'aria familiare. È invecchiato, eppure non ci sono dubbi che sia Philippe, con cui Cecile aveva avuto una storia ai tempi dell'università... L'incontro casuale, sul treno per Parigi delle 6.41, tra un uomo e una donna che molti anni prima si sono amati e odiati. L'imbarazzo e gli sguardi distolti. Poi il silenzio freddo del viaggio. Ci sarà spazio, prima dell'arrivo, per un cenno di riconoscimento, di scuse o magari per un caffè?
Una giovane donna ebrea scampata al massacro della propria famiglia in Russia, fugge in America armata solo della sua bellezza e della sua forza d'animo. E scopre che sua figlia forse è ancora viva. Un grande romanzo sull'amore in tutte le sue incarnazioni - materno, romantico, passionale, platonico, sconveniente, irragionevole. Lilian fugge braccata dalla miseria e dalla rovina. È bella, impudente e temeraria: feroce e magica come l'America stessa che l'ha accolta. Ha trovato un impiego come sarta presso un teatro Yiddish e si è subito procurata due amanti, padre e figlio, che le consentono una vita di agi. Finché non viene a sapere che sua figlia Sophie potrebbe trovarsi in Siberia con una famiglia di ebrei scampati al massacro. E allora parte di nuovo in un viaggio rocambolesco - fa la clandestina nei treni o paga "in natura" il proprio biglietto, diventa segretaria di una puttana di colore e l'aiuta a uccidere il suo sfruttatore - che la porterà da New York all'Alaska, in una di serie di avventure, tra sogno e disincanto, nostalgia e passione, brutalità antiche e nuovi amori.
Maria Antonietta, gravata a 14 anni del fardello dell'etichetta, osteggiata e dileggiata a ogni passo, sembra addensare su di sé la vendetta della Storia che esige una vittima sacrificale e sceglie la più ingiusta. Tutto il secolo XVIII si coalizza contro di lei sino a ridurla a vedova Capeto, disegnata con astio da David sulla carretta che va al patibolo. Alle ombre della storia risponde la veemente eloquenza di Bloy, proiettandole su una scena ulteriore, metastorica, dove l'apparizione di Maria Antonietta si impone come "dimostrazione di una qualche legge misteriosa".
"Non c'è che una tristezza, quella di non essere dei santi": con questa famosa massima si conclude La donna povera, romanzo incentrato su Clotilde, privata un po' alla volta di ogni bene e felicità per giungere alla spogliazione perfetta che è la vera ricchezza spirituale. La perdita più dolorosa consiste nella privazione di un vero amore cristiano (il nobile Leopold) e di un figlio, un innocente colpito dall'incomprensibilità del male. Tra profezie sinistre, peccati indicibili e inimmaginabili eroismi, oggi come un secolo fa, Léon Bloy continua a scuotere le nostre coscienze intorpidite e a mostrarci la miseria dell'uomo, la forza dell'odio, il potere della Grazia e la grandezza di Dio.
Torna in tutte le librerie d’Italia l’Esegesi dei luoghi comuni del “terribile” Léon Bloy, mistico, infaticabile “giustiziere” dei contemporanei, caustico e livoroso critico della modernità. L’Esegesi dei luoghi comuni è una tra le opere più impressionanti e dure di tutta la letteratura europea del Novecento. Un libro senza mezze misure né peli sulla lingua, dove le frasi fatte, i luoghi comuni, la sciocca banalità dei contemporanei è svuotata di ogni pretesa assennatezza o presunto buonsenso: Niente e' assoluto, tutto e' relativo; Gli affari sono affari; Nessuno al mondo e' perfetto; Sono come San Tommaso; Solo la verita' offende; Il denaro non fa la felicità, ma...; sono solo alcuni dei modi di dire attraverso cui Bloy demolisce il mondo e il tempo del borghese.
Essere in Affari significa essere nell’Assoluto. Un vero uomo d’affari è uno stilita che non scende mai dalla colonna. Non deve aver pensieri, sentimenti, occhi, orecchi, naso, gusto, tatto e stomaco se non per gli Affari. L’uomo d’affari non conosce padre, né madre, né zio, né zia, né moglie, né figli, né bello, né brutto, né pulito, né sporco, né caldo, né freddo, né Dio, né diavolo. Ignora perdutamente le lettere, le arti, le scienze, la storia, le leggi. Non deve conoscere e sapere altro che gli Affari.
Luogo comune xii, Gli affari sono affari
Attraverso l’interpretazione di centottantatré luoghi comuni, Bloy da vita a qualcosa più di un “semplice” sciocchezzaio o di un “moderno” bestiario sulla banalità del mondo contemporaneo: l’Esegesi vuole essere un’opera di radicale smascheramento delle falsità e delle ipocrisie su cui si fonda la società moderna. È infatti contro il borghese, suo nemico designato, che Bloy e la sua Esegesi si scatena: egli è per Bloy la mortificazione stessa della parola e del pensiero, schiacciato dalle sue merci, dalla sua meschinità, dalle sue formulette di presunta saggezza quotidiana. E la ferocia con cui aggredisce i loro affetti più cari – il denaro, gli affari, la ricchezza – le loro inespresse, malcelate fedi – la tecnica, la salute, l’intrattenimento – fa crollare tutto il mondo del borghese sotto i colpi dell’invettiva viscerale e oltraggiosa di quest’opera insolitamente affascinante – ostile.
Amar ben altro che ciò che è ignobile, puzzolente e stupido; bramare la Bellezza, lo Splendore, la Beatitudine; preferire un’opera d’arte a una porcheria e il Giudizio Universale di Michelangiolo a un inventario di fine anno; aver più bisogno di saziarsi l’anima che di riempirsi l’intestino; credere infine alla Poesia, all’Eroismo, alla Santità, ecco quel che il Borghese chiama “esser fra le nuvole”
Luogo comune xxiv, Esser fra le nuvole
Il misticismo ispirato, che a tratti diviene addirittura violento, esasperato, il richiamo costante all’Assoluto come irriducibile termine di confronto attraverso cui intendere il mondo e il tempo del borghese è infatti elemento ineliminabile in tutta l’opera e la biografia di Bloy. E l’Esegesi del “terribile” reazionario Bloy, rappresenta ancora oggi, nonostante l’“inattualità” – e la diffidenza – che ha da sempre accompagnato l’autore e l’opera in questione, la difesa di un modo e un tempo del pensiero irriducibile a ogni etichettatura; e a una lettura odierna rimane intatta e non di rado ancor più pregnante la portata disperatamente morale e filosofica – mai moralistica – della sua critica radicale alla società, all’umanità stessa e al suo orizzonte di progresso.
Nel 1885 Béranger Saunière, a poco più di trent'anni, è nominato curato di Rennes-le-Chàteau, un piccolo villaggio dell'Aude. La chiesa e la canonica sono in rovina e anche lui è in difficoltà. lmprovvisamente, però, incomincia a comportarsi come se disponesse di una grande fortuna: restaura, costruisce, conduce una vita dispendiosa. Ospita un arciduca d'Austria, un ministro della Repubblica ecc. Qual è il suo segreto? O di quale segreto è il depositario?
Weimar, 1939. La guerra è appena iniziata e Anna, una diciottenne orfana di madre, che vive con il padre ma senza il suo affetto, conosce Max Stern, un medico ebreo trentaseienne, e se ne innamora. Quando Stern è costretto a fuggire, ricercato dalle SS non solo perché ebreo ma per la sua attiva partecipazione alla rete di resistenza antinazista, Anna decide di ospitarlo nella propria casa, in un sottoscala dimenticato, di nascosto dal padre, che non fa mistero delle proprie simpatie per il regime. Max e Anna diventano amanti. Aiutata dalla fornaia Mathilde, membro della resistenza, Anna tenta di procurarsi dei documenti falsi per espatriare in Svizzera con Max. Ma proprio quando i documenti sono pronti e Anna sta per annunciare a Max di essere incinta, il padre scopre il nascondiglio e fa arrestare il medico, che viene internato nel campo di concentramento di Buchenwald, costruito nei boschi intorno alla città. Dopo un duro confronto col padre, Anna scappa di casa e si rifugia da Mathilde, la fornaia: non rivedrà mai più né suo padre, che presto si trasferisce a Berlino, né Max, che verrà impiccato nel campo. Nell'anno in cui Anna mette al mondo Trudy, la figlia concepita con Max, Mathilde viene scoperta mentre trasporta un carico di armi verso il campo ed è uccisa. Al forno si presenta un ufficiale nazista, il quale fa chiaramente capire ad Anna che avrà salva la vita se accetterà di essere la sua amante. E così sarà, fino alla fine della guerra e alla fuga del soldato in Sud America.
Nel 1987 Miri Ammerman torna a Elizabeth, in New Jersey, la città dov'è nata, per partecipare alla commemorazione degli eventi tragici che, trentacinque anni prima, hanno segnato per sempre la sua vita e quella di molte altre persone: all'inizio degli anni Cinquanta, quando Miri era una quindicenne, innamorata per la prima volta, nel giro di pochi mesi tre aerei mandarono in fiamme il cielo invernale schiantandosi su Elizabeth. È sullo sfondo di questi avvenimenti realmente accaduti, in un momento in cui i viaggi aerei rappresentavano una novità entusiasmante, e in tanti sognavano di volare da qualche parte, che Judy Blume immagina e tesse la storia indimenticabile di tre generazioni di famiglie, amici e sconosciuti, le cui vite verranno profondamente cambiate da questa serie di disastri. Nel farlo, traccia un ritratto vivido di un luogo e un tempo particolari, quando Nat King Cole cantava Unforgettable e le ragazze volevano pettinarsi tutte come Liz Taylor, quando agli amori e alle amicizie giovanili si mescolava l'isteria collettiva per la bomba atomica, con in sottofondo le voci della minaccia comunista. "Ti vedrò nei miei sogni" è un romanzo percorso da un toccante senso di normalità e soprattutto da una tangibile e istintiva voglia di speranza. I personaggi della Blume vivono esperienze tragiche, affrontano il dolore per la perdita di persone care e hanno nostalgia dei bei tempi andati, ma nonostante questo non smettono mai di ricordare che vale la pena di vivere la vita, sempre.
Susanna Bo non è soltanto autrice di una storia autobiografica come tante, ma è, a differenza di molti che raccontano se stessi in versi o in prosa, una scrittrice con un suo stile e una vocazione narrativa molto forte, grazie a cui sa ben dosare gli elementi del racconto per spingere il lettore alle risa e alle lacrime, a volte nello stesso tempo, e ad alzare lo sguardo. Questa è una "storia vera" e però è allo stesso tempo un "romanzo", con una sua struttura che man mano si è imposta alla spontaneità diaristica e ubbidisce allo statuto narrativo proprio del genere letterario, grazie a una scansione degli avvenimenti non solo cronologica. Al suo interno campeggiano i due protagonisti: Susi, "la brava ragazza" tutta casa e chiesa ma insofferente degli stereotipi, inguaribilmente ironica e autoironica; Luigi, "l'ateo", più esperto di discoteche che di chiese, l'ingegnere di poche parole che diventerà l'amore della sua vita e la guida, anche per lei, nel condurre la sua e la loro "buona battaglia"; intorno si muovono altri personaggi reali, l'amico di infanzia, le giovani coppie, i genitori: e lo sfondo è, per quanto volutamente sfumato, una piccola città di provincia a forte vocazione turistica, inquadrata con la sua riviera da un obiettivo che non è quello del turista. Prefazione Enrico Rovegno.
Lui è bello, intelligente ed è il classico bravo ragazzo, ma ha un talento innato per non farsi mai coinvolgere dai sentimenti. Lei se ne innamora al primo sguardo e la seconda volta che si parlano gli assicura che lo sposerà. È così che comincia la storia di Paolo e Barbara, un uomo e una donna che si riveleranno decisamente fuori dal comune e che faranno scelte fuori dal comune: come quella, nel 2008, di diventare missionari in estremo oriente, partendo dall'Italia con due figlie e una terza in arrivo. Che cosa può aver spinto due persone con un'esistenza tranquilla, agiata, e un discreto equilibrio mentale, a lasciare tutto per trasferirsi all'altro capo del mondo? Solo un grande desiderio può dare il coraggio o l'incoscienza di abbandonare le proprie sicurezze per accogliere qualcosa di totalmente ignoto, come la vita in un paese straniero. E sarà proprio questo che Paolo e Barbara scopriranno: che quel desiderio che li ha portati lontano è lo stesso che li aveva spinti a scegliersi e ad amarsi. E che la prima terra di missione, quella più importante da salvare, non è nient'altro che una: la loro stessa vita.

