
Nel 1921 Virginia Woolf seleziona personalmente otto suoi racconti e li fa uscire con il titolo "Lunedì o martedì", provocando il disappunto del marito Leonard, che lo definisce uno dei peggiori libri mai pubblicati perché infarcito di errori tipografici (poi fortunatamente corretti nelle successive edizioni). Si legge, tra le pagine di questi scampoli di prosa, il progressivo distacco della scrittrice dal romanzo tradizionale, in un rischioso quanto affascinante equilibrio tra intensità d'immagini e sperimentazione linguistica.
In una sera del settembre del 1914, la famiglia Ramsay, in vacanza in una delle isole Ebridi, decide di fare l'indomani una gita al faro con alcuni amici. Per James, il figlio più piccolo, quel luogo è una meta di sogno, piena di significati e di misteri. La gita viene però rimandata per il maltempo. Passano dieci anni, la casa va in rovina, molti membri della famiglia sono morti. I Ramsey sopravvissuti riescono a fare la gita al faro, mentre una delle antiche ospiti finisce un quadro iniziato dieci anni prima. Passato e presente si intrecciano, il tempo assume un diverso significato.
Romanzo sicuramente autobiografico di Virginia Woolf, pubblicato per la prima volta nel 1927, "Gita al faro" è composto da tre parti: The window (La finestra), Time passes (Il tempo passa), The lighthouse (Il faro). Il tempo, che funge da sfondo alla narrazione, si concentra in tre brevissimi momenti: un tardo pomeriggio in La finestra; una notte, che in realtà si dilata in un tempo non convenzionale e non più misurabile in Il tempo passa; una mattina presto, anni dopo, in Il faro. Il lettore, a sua insaputa, viene condotto ad indagare i significati profondi della vita, della morte e della transitorietà dell'esperienza terrena. I personaggi, soprattutto la signora Ramsay, fulcro del romanzo, vengono scoperti dal narratore e dal lettore contemporaneamente, attraverso una voce che disvela le trame del pensiero come fossero generate al momento.
Il romanzo "La signora Dalloway", pubblicato nel 1925 e ambientato due anni prima, si svolge a Westminster, nel cuore di Londra: in una mattina di sole, la signora Dalloway esce a comprare dei fiori per la festa che si terrà la sera stessa a casa sua. Da qui la giornata si svolge come un giorno qualsiasi: riceve una visita, vede il marito, si riposa, parla con la figlia, accoglie gli ospiti alla festa. Non ci sono colpi di scena, ed è proprio l'automatismo dei gesti quotidiani compiuti dalla signora Dalloway, in quella che potrebbe essere definita "vita di superficie", che permette a Virginia Woolf di creare lo spazio per un tempo doppio, una doppia vita: grazie alla ripetitività delle azioni, la signora Dalloway può immergersi in pensieri e ricordi che si sovrappongono alla routine e che raccontano la sua storia, modificando e trasformando l'ordinarietà di sottofondo, perché, in fin dei conti, per raccontare una vita basta una giornata.
Fu solo nel 1937 che il pubblico poté leggere "Gli anni", la cronaca della storia di una famiglia della upper middle class inglese, i Pargiter, dal 1880 ai primi anni trenta. Era dal 1931 che la Hogarth Press, la casa editrice dei coniugi Woolf, non dava alle stampe un romanzo di Virginia. Gli anni fu quello di maggior successo, l'unico che entrò nella classifica del "New York Times" dei libri più venduti. Ciò è dovuto a diversi fattori, tra cui la crescente fama della romanziera e la sua maggior partecipazione alla vita pubblica. Ma un motivo non trascurabile sembra essere il genere al quale più facilmente è ascrivibile l'opera, il romanzo di famiglia. Una famiglia in cui le relazioni più frequentemente prese in esame non sono quelle dirette, come tra padri e figli per esempio, ma quelle tra fratelli e sorelle, tra cugini, o tra zie e nipoti, spesso non sposati. Gli anni, pur essendo stato concepito già nel 1931, sembra risentire dell'atmosfera di pericolo incombente che la salita al potere dei movimenti fascisti in Europa stava portando con sé. Negli stessi anni in cui Joyce stava completando il suo testamento narrativo, Finnegans Wake, Virginia Woolf scriveva dunque la propria "capsula del tempo" da consegnare ai posteri.
Scritto tra il 1928 e il 1929 in seguito a una serie di conferenze sul tema "donne e romanzo", questo testo costituisce uno dei più eloquenti trattati femministi del Novecento: partendo da un tema apparentemente secondario e cioè che una donna, per scrivere, debba avere del denaro e "una stanza tutta per sé", Virginia Woolf porta alla luce le restrizioni imposte nel corso dei secoli alla creatività femminile dalla società, dalle leggi e dalle convenzioni. Attraverso riflessioni arricchite da sentimenti e storie personali, la Woolf dà vita a una forma ibrida tra saggio e racconto che come descritto nella chiara introduzione di Egle Costantino - le permette di universalizzare le esperienze narrate in un testo lucido e stimolante, divenuto un punto di riferimento imprescindibile per approfondire e comprendere la questione femminile.
Il volume raccoglie i sei romanzi fondamentali della Woolf: "La stanza di Jacob", "La signora Dalloway", "Al faro", "Orlando", "Le onde", "Tra un atto e l'altro".
Questo volume presenta, in una nuova traduzione e con un apparato di note esplicative, uno dei saggi più rivoluzionari di Virginia Woolf. Il saggio, che ha avuto circolazione autonoma e ha subito diverse revisioni tratta il tema della malattia. L'autrice lamenta che la letteratura non abbia rivolto alla malattia fisica altrettanta attenzione che alle attività della mente. Opponendosi a un pensiero e a una sensibilità secolari, rivendica le opportunità della malattia e mostra, con una serie di immagini originali, come senza malattia certe verità rimarrebbero per sempre escluse alla conoscenza umana. Il libro include un'introduzione storico-letteraria al saggio e una discussione più generale del complesso rapporto tra malattia e letteratura.
Dalle due conferenze sul tema "Le donne e il romanzo" dell'ottobre 1928 trae origine un saggio che raccoglie tutte le riflessioni in merito della scrittrice inglese Virginia Woolf. L'opera offre un'analisi, sotto il duplice aspetto storico e culturale, del ruolo della donna nel mondo letterario, fino a quel momento di esclusivo appannaggio maschile. L'autrice, in quello che può essere considerato il primo saggio femminista, fa luce sull'incapacità della donna di affermare se stessa poiché priva o meglio privata dei mezzi necessari, e soprattutto di "una stanza tutta per sé", metafora di uno spazio in cui dar voce alla prospettiva femminile. Ed è proprio in occasione delle due conferenze e nel luogo in cui i grandi esponenti della cultura inglese escludono le donne (le università), che la Woolf decide di ridicolizzare i letterati del suo tempo e denunciare il loro atteggiamento di chiusura verso l'universo femminile.