
Un viaggio in Italia, nella sua grande bellezza sconosciuta, attraverso luoghi che custodiscono un patrimonio culturale di grandissimo valore di cui non si sospetta nemmeno l'esistenza, nonostante sia sotto gli occhi di tutti. Città, villaggi, chiese, abbazie, affreschi, mosaici e tutte le opere d'arte "nascoste" nella grande provincia italiana che parlano di noi, della nostra storia e di ciò che siamo.
Il Vietnam dilaniato dalla guerra e dal comunismo; New York - il simbolo dell'America - ferita dalla violenza e dall'intolleranza; l'omosessualità come condizione di diversità ed emarginazione. Trentacinque poesie, ispirate al vissuto di questo giovanissimo autore vietnamita, emigrato in America ancora bambino. Ad animare "Cielo notturno con fori d'uscita", la sua prima raccolta poetica, è una lingua nuova, di commistione e creazione, in cui l'amore per il classicismo - il mito, l'estetica, l'armonia, la fede nell'ordine e nella simmetria - si fonde con la ricerca di nuove forme, sempre fedeli al verso libero e a un dialogo fra prosa e lirismo sorprendente e vitale.
Un libro corredato da illustrazioni e fotografie in bianco e nero originali dell'epoca e alcuni brevi racconti e parabole di Kafka medesimo. Il celebre scrittore non lasciò quasi mai Praga durante la sua breve vita (1883-1924): "Praga non ti lascia. Questa mammina ha gli artigli", scrisse a diciannove anni. Queste pagine accompagnano nei luoghi dello scrittore sin dalla nascita e lo seguono dalla casa natale nei numerosi traslochi, in concomitanza con l'ascesa economica e sociale; poi le scuole, il ginnasio statale e l'imperialregia università tedesca Kerl-Ferdinand, la casa dell'amico Max Brod, i teatri, le sale di lettura e di svago letterario, i luoghi di lavoro, le passeggiate preferite, fino alla tomba, nel cimitero ebraico.
"Le cose sono andate esattamente così, ma anche in modo completamente diverso". Questo è un romanzo che parla di Berlino, di amore, di paternità, di intrecci di vite raccontate. E la storia di un uomo sulla trentina che ha una domanda che gli ronza in testa fin da ragazzino: cosa succede quando diventa possibile prolungare la propria vita? Una domanda che prima o poi si pongono tutti, ma che in questo caso risponde a una possibilità reale. Quella che si concretizza con una telefonata dall'ospedale, quando giunge la notizia che la soluzione a una malattia genetica è arrivata. Da qui prende avvio un racconto dalle atmosfere lunari, un diario irriverente, una brillante riflessione esistenzialista, infine un romanzo profondamente contemporaneo. "Il corpo della vita" è infatti il frutto di un autore che osa sfidare il pensiero comune, la voce di un uomo che affronta un'esperienza estrema con la forza della ragione e con la ragione sdrammatizza, si prende gioco di sé e infine ci racconta come si presenta la vita in questo primo scorcio del XXI secolo nella nostra vecchia Europa. A corroborare il racconto sono squarci di vita vissuta, come una vacanza in Messico con Gloria, una settimana sul Lago di Garda con Julia, morta d'overdose. Schegge di passato inframezzate da quadretti di quotidianità ospedaliera, gallerie di compagni di stanza, ragguagli sul decorso della propria malattia, visite di studenti di medicina interessati al caso di epatite autoimmune del protagonista.
Un assassino sconvolge la vita di una tranquilla città finlandese con una serie di inspiegabili omicidi legati dall'esile filo della sottrazione: dalle case scompare infatti sempre un oggetto appartenuto alla vittima. La morte più sorprendente di tutte è però quella di Sanna, moglie del poliziotto incaricato di seguire il caso: appena venticinquenne, è portata via da una malattia anch'essa inspiegabile. Kimmo Joentaa si ritrova così doppiamente coinvolto nel mistero della morte: al dolore per la perdita della giovane moglie si aggiunge il vortice degli omicidi che lo colpiscono con la forza di una rivelazione; perché con ogni nuova vittima torna a morire anche Sanna e trovare il colpevole diventa l'unico modo per non farsi travolgere dal dolore.
Finlandia, primi anni Settanta: due pedofili uccidono una ragazzina di tredici anni. Passano trentatre anni, il caso non è mai stato risolto, l'ispettore di polizia che allora indagava va in pensione. Qualche giorno dopo, nello stesso punto scompare un'altra ragazza. La nuova indagine è affidata a Kimmo Joentaa, che procede con molta prudenza e sensibilità. Nonostante passato e presente sembrino dolorosamente convergere, la polizia spera di ritrovare ancora in vita la ragazza. I due assassini, che dai tempi del primo omicidio non si erano piú rivisti, iniziano a controllarsi, l'uno angosciato dai rimorsi, l'altro indifferente a quanto gli accade intorno. E quando Joentaa chiuderà il caso, non sarà lui, ma solo il lettore, a conoscere la verità.
Omeros, aedo del tempo presente, racconta la storia di due pescatori, Ettore e Achille, innamorati della stessa donna, Elena, sensuale cameriera di un hotel di Santa Lucia, piccola isola sovrastata da due coni vulcanici, al centro del Mar dei Caraibi. E ogni personaggio, anche quelli di contorno, è come incastonato in un'aura luminosa, che scaturisce sia dalla felice irruenza del magma metaforico di Walcott, sia dal carisma di nomi, gesti e pensieri che riecheggiano, non senza venature ironiche, quelli dei corrispettivi eroi omerici. Ma il poema racconta anche la storia di un tradimento: l'isola, a lungo contesa dagli imperi rivali di Francia e Gran Bretagna, è stata infine consegnata ai turisti.
"C'è un'esultanza fortissima, una celebrazione della fortuna, quando uno scrittore è testimone degli albori di una cultura che si definisce da sé, ramo dopo ramo, foglia dopo foglia..." scrive Walcott parlando dei Caraibi, e di uomini e donne che "non leggono ma sono lì per essere letti, e se vengono letti nel modo giusto creano la propria letteratura". Non stupisce allora che egli consideri scrittori fratelli Saint-John Perse, Aimé Césaire e Patrick Chamoiseau. Ma il suo sguardo valica i confini dei Caraibi, per abbracciare un orizzonte ben più ampio: da Philip Larkin, che "ha inventato una musa, il cui nome era Mediocrità", a Ted Hughes, che con la sua poesia "ringhia come una bestia braccata", a Robert Frost, dalla "saggezza invernale", a Les Murray, che in virtù della sua "forza irsuta" sembra uscito da "una scena di Mad Max", a Iosif Brodskij, immerso nel "caos" della trasformazione che ogni poeta attraversa quando traduce se stesso. E a dispetto dell'eterogeneità degli oggetti su cui Walcott si sofferma, questa raccolta si fissa nella nostra mente come un'unica, folgorante immagine: merito, certamente, di una scrittura così intensa da rischiare a ogni riga di frammentarsi in lirica.
Egrette bianche, la quattordicesima raccolta di poesie di Derek Walcott, fonde elegia e rapsodia, sul ritmo di temi ricorrenti come l'eredità coloniale e lo spettro dell'impero, l'approssimarsi della morte e la scomparsa degli affetti, l'insofferenza per il turismo («una schiavitù senza catene, senza sangue sparso») e un amore per il viaggio vissuto nella consapevolezza – per citare Orazio – che «chi va per mare cambia cielo, non animo». Iosif Brodskij ha paragonato la poesia di Walcott alle onde di marea, a frangenti che montano, si ritirano e tornano a lambire la costa, mentre la magnificenza del suo linguaggio e la profusione di immagini evocano la lussureggiante natura delle Indie Occidentali. E il lettore non potrà che restare abbacinato a osservare «queste egrette / che incedono sul prato in truppe scomposte, bianche insegne / che arrancano derelitte; sono i rimpianti / scoloriti delle memorie di un vecchio, le loro strofe mai scritte. / Pagine che svolazzano come ali sul prato, segreti svelati».
"Prima luce" è un libro sulla morte, sulla morte della madre, anzitutto, e su quella di ciò che trascorre investendoci con un lascito di ardente e melanconica nostalgia. Un libro sul morire che s'insinua nella giornata di ciascuono di noi, e di riflesso un libro che canta la gratitudine per il dono della "luce silenziosa del mattino su steli d'erba lucente", inimitabile come sa esserlo la collera di un dio o un miracolo che si rinnova. Testo originale a fronte.
A due anni di distanza dall'11 settembre 2001, gli effetti dell'attentato ancora incombono sulla vita di tanti americani, impegnati a tentare di immaginare un futuro di guarigione e ritrovata serenità. Questo sforzo, individuale e collettivo insieme, ha bisogno di un simbolo, di un faro, di qualcosa che renda tangibile ciò che solo le parole - e a volte neppure quelle - riescono a evocare. Il monumento che dovrà assolvere il compito sarà un luogo di pace, un documento storico, una nuova partenza. Viene così indetto un concorso anonimo e aperto a tutti per scegliere il progetto che meglio rappresenterà questa voglia di memoria e rinascita. Ma per quello che sembra in tutto e per tutto uno scherzo del destino, il progetto prescelto - il Giardino - risulta essere opera di un bravissimo architetto, referenziato e stimato. E musulmano. Per un attimo sembra che quel nome, Mohammad Khan, arrivato in modo cosi inatteso al tavolo della giuria, sia una sorta di déjà-vu: una nuova esplosione, un altro attacco kamikaze, quasi un nuovo attentato alla società americana. Le reazioni dell'opinione pubblica alla notizia sono prevedibilmente di shock e incredulità. L'architetto vincitore si vedrà costretto a ripensare il suo modo di essere americano e musulmano, di essere figlio e compagno, e finirà con l'abbandonare la battaglia per rivendicare quegli stessi diritti che gli hanno permesso di diventare ciò che è, un onesto e produttivo cittadino americano.
Maine, 2012. Jack Wiseman sta morendo di cancro, e sua nipote arriva da New York per assisterlo durante le ultime settimane di vita. Trent'anni, una massa di riccioli ramati e un'indole impulsiva, Natalie sembra aver perso la bussola dopo il divorzio dal marito Daniel, fino a licenziarsi dallo studio legale in cui lavorava. Qualche giorno prima di morire, però, il nonno le affida un incarico che sembra risvegliare in lei il desiderio di mettersi in gioco: riconsegnare al legittimo proprietario un ciondolo di cui era entrato in possesso alla fine della Seconda guerra mondiale. Quando, giovane tenente dell'esercito americano a Salisburgo, aveva ricevuto mandato di proteggere un treno carico di beni degli ebrei ungheresi sottratti dai nazisti durante l'Olocausto. Comincia così un viaggio tra presente e passato fatto di segreti, inganni e amori, nel quale sfilano un'impetuosa ragazza sopravvissuta ad Auschwitz, la figlia di una ricca famiglia di Budapest impegnata nella lotta per il diritto di voto alle donne, una suffragetta minuscola di statura e grande di spirito, l'epopea tragica e piena di speranza degli ebrei tra l'Europa centrale e la Palestina.