
«Nel mio lavoro, quando qua e là si formano i primi segni di una storia, o quando in lontananza vedo spuntare da dietro una collina di prosa l'accenno a una storia, gli sparo addosso». Così dichiarava Thomas Bernhard nel 1970, un anno prima di dare alle stampe questo trittico, dove l'alta montagna che «regna sovrana come natura assoluta» e le valli del Tirolo popolate da «pazzi che a migliaia vanno in giro con la loro pazzia» prestano cupi bagliori a una scrittura che, se a tratti si permette un'inconsueta indulgenza nei confronti dell'intreccio, subito la contraddice o la trascende. Dall'insanabile incomprensione che oppone Midland, villeggiante inglese, agli abitanti di Stilfs, immersi in un «inferno di solitudine» e certi non già di vivere «nel luogo più ideale» ma di scontare una «immane punizione», all'irresistibile, lacerante dialogo tra un avvocato di Innsbruck, Enderer, e un cliente che ha il torto di portare un mantello di Loden identico a quello di uno zio morto suicida, sino all'ascensione sul massiccio dell'odiato Ortles di due fratelli, un acrobata e uno scienziato, che hanno trasformato solitudine e paura nella ricerca della perfezione assoluta - «perfezionarsi della disperazione» -, il lettore troverà in queste pagine un esempio della migliore prosa di Bernhard - un condensato di sinistra comicità.
«Perché un corpo sia stabile è necessario che abbia almeno tre punti d'appoggio» dice uno dei protagonisti di questo romanzo, che George Steiner considerava il capolavoro di Bernhard e «fra i più importanti del Novecento». I tre punti d'appoggio sono qui l'anonimo narratore, il taciturno imbalsamatore Höller e soprattutto Roithamer, docente di scienze naturali a Cambridge, cui la figura di Wittgenstein presta più di un dettaglio biografico. Con lucida ostinazione Roithamer ha realizzato nel centro esatto della foresta del Kobernausserwald, dove lui e la sorella, la sola persona che abbia amato, sono cresciuti, un temerario progetto architettonico - un cono perfetto, utopistica dimora felice - che lo ha prosciugato di ogni energia. Alla sua morte Höller invita il narratore nella soffitta della casa dove abita, nel punto più impervio di una gola: lì, nel fragore assordante del fiume che si getta fra le rocce, Roithamer si era ritirato per lavorare al cono, lì sono conservati i suoi libri e le sue carte, fra cui un manoscritto ossessivamente riveduto e corretto. Sullo sfondo di una natura ostile e insieme familiare, la voce di Roithamer si intreccia alle parole e ai silenzi dei due amici, mentre la scrittura di Thomas Bernhard ci sospinge implacabile fino ai limiti estremi del pensiero, fino all'ultima correzione - quella che, nel tentativo di emendarla, estingue l'esistenza stessa.
In un sonnolento villaggio austriaco, un solitario studioso di scienze naturali decide di confessare la propria «infermità psicoaffettiva» e di «rovesciar fuori» la parte interiore di sé. Con questa intenzione si reca a casa dell’amico Moritz, un agente immobiliare abituato, per lavoro, al contatto quotidiano con gli altri. Nel vivo delle confidenze compare una coppia di clienti: lui è un costruttore svizzero, lei è persiana. Fin dal primo istante la donna affascina l’intellettuale, che scopre in lei una degna compagna di passeggiate, conversazioni e disquisizioni filosofiche.
A poco a poco attraverso la narrazione del loro incontro affiora un mondo di solitudini in cui l’atto esistenziale di maggior senso è quello della confessione. Non sempre, però, l’autosvelamento produce un beneficio. Lo scienziato ne trae vantaggio: l’incontro con la donna lo rende di nuovo «avido di vita» e lo allontana dall’idea accarezzata del suicidio. Alla persiana, invece, non accade la stessa cosa. In fondo al suo tentativo di confessarsi, infatti, c’è ben altra e più profonda solitudine, il cui senso è racchiuso nel suo estremo, definitivo sì.
Mary amava i cavalli. E sapeva come trattarli. Nessuno sospetta che la santità vada a cercare, come una strana predatrice, una ragazza in una sperduta regione dell'Australia. Che vada in mezzo alla vita dura di una famiglia dove il padre è un ombra lontana e dove c'è bisogno di tutto, eccetto di una che si mette a insegnare ai piccoli senza distinguere tra nativi e emigrati, tra poveri e ricchi. Dicevano che beveva, conobbe la scomunica, ma Mary non fermò i suoi cavalli e le sue suore e, in una terra abbandonata dagli uomini e da Dio, portò avanti la sua missione. Una grande storia ambientata in un mondo lontano, dove più selvaggio sembra il vento e più intenso il sentimento che agita gli uomini. Lei, Mary discussa e fiera, è diventata la prima santa australiana.
Londra, fine anni '70. Chris, un quarantenne infelicemente sposato, abborda una ragazza per strada, credendola una prostituta. Lei, una serba di nome Roza, è divertita dall'equivoco e accetta un passaggio, chiarendo subito il malinteso. Chris, dal canto suo, è ammaliato dalla singolare bellezza e dalla sensualità della ragazza, che accomiatandosi lo invita a tornare a farle visita. Un incontro dopo l'altro, Roza si dimostra molto interessata a parlare, a raccontare tutto di sé e del proprio passato: il rapporto con l'amatissimo padre, un partigiano della resistenza antifascista iugoslava sotto il comando di Tito, l'avventuroso arrivo in Inghilterra, i suoi tanti amori, i lavori che è stata costretta a fare per sopravvivere e i drammi vissuti. Ha così inizio un'amicizia molto particolare, un sottile gioco di seduzione fatto di sguardi e parole, di lunghi racconti e immaginazione. Dopo "Il mandolino del capitano Corelli", Louis de Bernières tratteggia un'indimenticabile figura femminile sullo sfondo della recente storia europea. E costruisce un romanzo che, sino al finale del tutto inaspettato, è un'appassionata quanto sofferta riflessione sul tema eterno del discorso amoroso.
Il cardinale Dominic Trujillo Guzman soffre da tempo di lancinanti dolori al ventre, accompagnati da orrifiche allucinazioni: una schiera di demoni avvolti da pestilenziali effluvi, dediti a giochi autoerotici con cui stimolano le immense pudenda. A nulla valgono i rimedi indigeni che gli somministra Concepcion, la giovane e bella cuoca diventata sua concubina, dalla quale ha avuto un figlio, il piccolo Cristobal. La diagnosi del più illustre medico della capitale è infausta quanto incomprensibile: Teratoma di Tapabalazo. Convinto che si tratti della giusta punizione per la sua vita dissoluta, il cardinale lancia una crociata di evangelizzazione per snidare eretici e miscredenti e ottenere così il perdono divino. Nel frattempo, a Cochadebajo de los Catos, remoto villaggio andino che fa da sfondo alla vicenda, succede di tutto, compreso il tragicomico scontro tra gli integerrimi crociati del famigerato monsignor Rechin Anquilar e gli eroici e goduriosi abitanti del pueblo, capitanati da Dionisio Vivo e da Remedios, con l'immancabile aiuto dei fedeli giaguari neri. Uno spaccato di vita sudamericana, succulento e immaginario ma pur sempre veritiero, sospeso tra storia, commedia e misticismo, in un magico realismo dal sapore piccante e indimenticabile, come le pietanze che offre il ristorante di Dolores, ex puttana ravveduta e diventata cuoca provetta.
Enrica non è una ragazza qualunque. È avventata, vitale, imprevedibile. Senza certezze e senza paura. Ma ha un punto debole: tiene troppo al numero dei suoi follower. Nemmeno Bruno Brunori è uno qualunque, è un volto di punta della televisione, tanto che ha forti speranze di condurre il prossimo festival di Sanremo. Però anche lui ha un punto debole: il suo destino è legato indissolubilmente all'Auditel. Ma gli ascolti stanno crollando in maniera irreversibile. Quando Bruno capisce che dovrà dire addio ai suoi sogni e che perderà il lavoro, decide di manipolare i dati. Con la complicità di Pietro, un suo vecchio amico, riesce a mettere le mani sui segretissimi elenchi delle famiglie campione che con le loro scelte determinano il successo. I due si mettono in viaggio attraverso l'Italia a caccia di consensi. Hanno cinque giorni di tempo per salvarsi dal disastro. Vanno di casa in casa, di famiglia in famiglia, entrano in contatto con il ventre del paese. E incappano in Enrica, a cui la provincia va stretta, che per inquietudine si unirà a loro in quest'avventura dall'esito imprevedibile. E scoprirà a sue spese che nulla né in televisione né sul web è come appare. "A ciascuno i suoi santi" è un racconto on the road di un'Italia smarrita e vivace al tempo stesso. Franco Bernini ci accompagna in questo viaggio con uno sguardo a volte ironico, a volte amaro, sempre capace di stupirci. Un affresco spietato ma anche pieno di speranza.
I sogni sono importanti nella casa di Harry. Per tutta l’infanzia, lui e i suoi cinque fratelli crescono sentendo la madre colorare il loro povero mondo con le proprie fantasie, e allora le stanze spoglie della casa si riempiono magicamente di mobili, la fame diventa più sopportabile e le urla del padre, un ebreo polacco emigrato in Inghilterra e sempre attaccato alla bottiglia, fanno meno paura.
Ma i sogni, si sa, sono come le bolle di sapone: bellissime finché le si osserva in lontananza, peccato che, quando si cerca di afferrarle, non resti niente in mano. Solo la mamma non si rassegna e continua a inseguire il suo sogno più grande, l’America.
Finché, un mattino, quando Harry ha dodici anni, il postino recapita una busta misteriosa. Quando Harry la apre e vede uscire i biglietti per il piroscafo diretto oltreoceano, non crede ai suoi occhi. Improvvisamente una nuova vita piena di promesse sembra possibile e la famiglia attraversa per l’ultima volta la strada di ciottoli sotto casa, dice addio ai vicini, alle fabbriche e alla cittadina operaia del Lancashire in cui ha vissuto per anni e si mette in viaggio per raggiungere alcuni parenti emigrati a Chicago. Harry è senza parole: per la prima volta vede una grande città, con i suoi grattacieli, le macchine e un lago enorme come il mare, mentre con i fratelli può finalmente godersi gli agi desiderati per anni, la luce elettrica, una vasca da bagno, il telefono.
Ma la Grande Depressione non risparmia nessuno e risveglia i fantasmi che sembravano relegati nel passato. Ancora una volta, la splendida bolla di sapone rischia di scoppiare fra le dita di Harry e dei suoi, proprio quando sembrava fossero ormai riusciti ad afferrarla.
Si conobbero a un ballo alla Webster Hall di New York e si innamorarono fin dal primo sguardo. Era il 1935 e poco dopo Harry e Ruby erano sposati.
Dal loro primo appartamento, una stanza ammobiliata nell’Upper West Side, agli anni nel Greenwich Village, al centro della scena artistica newyorchese e circondati da ballerini, musicisti e scrittori, fino alla scelta di trasferirsi in una comunità per anziani nel New Jersey, la loro è la parabola del grande sogno americano.
Insieme, attraverso la Grande Depressione, la guerra mondiale, il Maccartismo. Insieme, nei momenti duri – licenziamenti, crisi – e in quelli felici – l’acquisto della prima casa, la nascita dei due figli. Una storia d’amore durata quasi settant’anni.
Poi succede l’inevitabile: Ruby si ammala di leucemia e muore. Uno dei due doveva essere il primo, lo sapevano, ma Harry rimane improvvisamente solo: un’esperienza del tutto nuova e devastante. Così si mette a scrivere. Le parole arrivano da lontano, seguendo il flusso della memoria.
Indietro nel tempo, fino alla cittadina operaia del Lancashire in cui ha trascorso l’infanzia e alla strada di ciottoli sotto casa, divisa da un muro invisibile di pregiudizi e ideologie. E poi al primo giorno in America, dopo la scelta della madre di lasciarsi tutto alle spalle per emigrare a Chicago. Indietro nel tempo, al suo arrivo in una New York in ginocchio per la crisi del ’29, per poi perdersi nel ricordo del suo grande amore. E del giardino dorato costruito insieme, in cui ora ama passeggiare ripensando a Ruby.
Harry è un ragazzino di quattro anni, il più piccolo di cinque fratelli. Il padre, un ebreo immigrato dalla Polonia, lavora alle manifatture tessili, sperperando gran parte del suo salario al pub. La madre manda avanti la famiglia come può, ricorrendo a mille espedienti. La loro povera casa si allinea con altre simili su una strada di ciottoli di una cittadina industriale del nord dell’Inghilterra. Una strada come tante, ma solo in apparenza, perché al suo centro corre un muro invisibile: gli ebrei da una parte, i cristiani dall’altra. Due mondi con usanze, credenze, pregiudizi diversi si fronteggiano, quasi non fossero parte di un’unica realtà, quella della miseria.
La Prima guerra mondiale incombe, e con essa eventi che cambieranno per sempre la vita della famiglia, e quella della strada. Ma solo l’amore contrastato di Lily, la sorella maggiore di Harry, per Arthur, un ragazzo cristiano, sarà in grado di aprire una crepa nel muro, lasciando filtrare un raggio di luce.
Jim non aveva mai notato una donna prima di quel momento, troppo concentrato sulla fuga dalla miseria della casa in Irlanda in cui era nato, sul lavoro da apprendista cuoco nella cittadina inglese di Stockport che aveva appena trovato. Ma quella che stava di fronte a lui era diversa da tutte le altre. Dall'aspetto si sarebbe detta una gran signora, i modi raffinati e la pelliccia di visone adagiata sulle spalle. Gli occhi, però, erano inconfondibili: quella donna aveva fame. Jim aveva deciso di non fare domande, le aveva preparato il suo piatto migliore e l'aveva lasciata andare via, senza saldare il conto e senza una parola. Rose era fatta così. Amava fingersi una persona che non era, costruirsi ogni giorno una vita diversa. Fin da bambina raccoglieva dalla strada cartoni laceri e li portava a casa come se fossero gli eleganti arredi del suo palazzo. Quando, però, anni dopo il loro primo incontro, Rose e Jim si ritrovano per caso in una strada di New York, lei sarta in un magazzino putrido e malfrequentato e lui venditore ambulante di hot-dog, tutto quello che sono stati costretti ad affrontare e le menzogne che hanno accompagnato il loro primo incontro sembrano scomparire. Per Rose, lui potrebbe rappresentare l'occasione per amare finalmente la propria vita e per smettere di inventarne una migliore. Un omaggio dedicato dall'autore a sua sorella Rose, l'elemento più ribelle e audace della famiglia Bernstein

