
Verona, piazza Dante. Sotto il monumento all’Alighieri quattro pensionati si incontrano ogni giorno: sempre lo stesso bar, sempre lo stesso tavolino, sempre lo stesso caffè. Guardano la vita che scorre davanti ai loro occhi, seguono i passi veloci delle persone che attraversano la piazza e sembrano sempre di corsa, sempre in ritardo. Per loro invece il tempo è come se non esistesse: giunti al termine della loro vita lavorativa sono finalmente liberi. Ma contemporaneamente sentono di allontanarsi ogni giorno dalla realtà che li circonda, fatta di violenza, ingiustizia, odio e rassegnazione, che non riconoscono e non sentono più loro. Così, attraverso i racconti, cominciano una lenta fuga nello spazio della fantasia: qui possono tessere delle storie che parlino di loro stessi e di un vecchio mondo dove vincono il bene, il coraggio e la speranza. Un mondo che ormai sembra non esistere più. Usando le narrazioni di questi quattro amici, Vittorino Andreoli ci porta a interrogarci sulle fasi della vita, sul presente e sul futuro, sulla nostra società e soprattutto sul ruolo dell’uomo nella storia.
Baia di Mobile, Alabama. Una vecchia Volkswagen si ferma davanti alla casa del signor Davis. Ne scende un ragazzo: è Josh Bell, diciassette anni, venuto a consegnare la cena all'anziano padrone di casa. È un lavoretto da sbrigare in fretta per racimolare qualche soldo e poi correre alla spiaggia. Eppure questa volta, chissà perché, il vecchio e il ragazzo si ritrovano a parlare. Will Davis racconta di un tempo lontano, di uragani, di mitiche battute di pesca e di incontri - come quello con un professore speciale e poi con le pagine de «Il vecchio e il mare». E proprio l'amicizia per le storie ed i libri cementa l'amicizia fra Will e Josh. Fino al tragico evento che imprimerà un nuovo corso all'esistenza del ragazzo.
Rocco Schiavone indaga sull'omicidio di una professoressa in pensione. E intanto l'ombra del passato si fa pressante: la pena per Sebastiano, l'amico fraterno che non ha mai smesso di dare la caccia a Enzo Baiocchi, che gli ha assassinato la moglie, lo rende inquieto e gli ruba il sonno. Antonio Manzini continua il suo romanzo sul vicequestore scontroso, malinconico, ruvido e pieno di contraddizioni che i lettori ormai conoscono e apprezzano; lo fa con una capacità di invenzione e con una passione per il personaggio, per tutti i personaggi, che difficilmente possiamo riscontrare in altri scrittori di oggi.
Il romanzo è ambientato in Sicilia, nell'epoca della costituzione dei Fasci, delle rivolte sociali e delle lotte contadine. Sullo sfondo di queste vicende si consuma il fallimento degli ideali del Risorgimento e i vari personaggi sperimentano l'impossibilità di stabilire un rapporto educativo con i figli.
Individui spaesati e distratti, in esilio dalle loro origini o da sé stessi; l'incontro inatteso tra un uomo che vive da anni lontano dalla famiglia e la figlia adolescente della sua ex moglie; il percorso quieto e tortuoso di un fidanzamento senza amore; il piccolo mistero di un bambino non desiderato: a partire da queste situazioni la libertà di scelta dei personaggi viene messa alla prova. E una voce narrante inconfondibile fotografa le loro reazioni, descrive, classifica senza giudicare e restituisce il sapore vero di gesti apparentemente insignificanti, in realtà definitivi. Nella prefazione, scritta appositamente per questo volume, l'autrice riflette sui meccanismi della memoria e dell'immaginazione all'origine dei suoi racconti.
Un colpo di pistola chiude la vita di un ricco imprenditore tedesco. È un incidente? Un suicidio? Un omicidio? L'esecuzione di una sentenza? E per quale colpa? La risposta vera è un'altra: è una mossa di scacchi. Dietro quel gesto si spalanca un inferno che ha la forma di una scacchiera. Risalendo indietro, mossa per mossa, troveremo due maestri del gioco, opposti in tutto e animati da un odio inesauribile che attraversano gli anni e i cataclismi politici pensando soprattutto ad affilare le proprie armi per sopraffarsi. Che uno dei due sia l'ebreo e l'altro sia stato un ufficiale nazista è solo uno dei vari corollari del teorema.
Un colpo di pistola chiude la vita di un ricco imprenditore tedesco. E' un incidente? Un suicidio? Un omicidio? L'esecuzione di una sentenza? E per quale colpa? La risposta vera è un'altra: è una mossa di scacchi. Dietro quel gesto si spalanca un inferno che ha la forma di una scacchiera. Risalendo indietro, mossa per mossa, troveremo due maestri del gioco, opposti in tutto e animati da un odio inesauribile che attraversano gli anni e i cataclismi politici pensando soprattutto ad affilare le proprie armi per sopraffarsi. Che uno dei due sia l'ebreo e l'altro sia stato un ufficiale nazista è solo uno dei vari corollari del teorema.
"C'è un criterio a mio parere infallibile per saggiare la verità ("autenticità") del personaggio (ma è ciò poi cosa diversa dalla verità-"autenticità" della narrazione?): e cioè, se il personaggio - quali che siano le virtù di cui si adorna l'identità fittizia che gli è prestata - "ci riesce antipatico", se ci sentiamo a disagio in sua compagnia o addirittura non lo sopportiamo, ciò non può essere che a causa del fatto che il personaggio è "sbagliato" perché irreale... Resta però che dovremmo comunque in qualche modo chiederci - ed è questione del massimo momento - se Varen'ka Olesova - lei (il Personaggio) ci piace o non ci piace, se stiamo volentieri in sua compagnia o a seguirne le 'peste', se ce ne sentiamo (l'abbiamo detto!) "intrigati"... Quanto a me, conosco la risposta. Sia detto fra noi, mi sono anche, temo, un poco innamorato..." (dalla postfazione di Daniele Morante)
Maria Salviati ha settantadue anni, un figlio, e un marito sparito nel nulla da più di trent'anni. "La professoressa", cosi ancora la salutano i ragazzi che la incontrano per strada. Ma oggi Maria è una donna anziana, sola, e ossessionata dalla paura di dimenticare. E allora non le resta che ripetere la sua vita a voce alta con le parole che resistono, come "una piccola poesia imparata a memoria", anche se ogni giorno se ne va una strofa, una rima. Finché una mattina qualcuno bussa alla sua porta. Gabriele è un agente immobiliare, con un sorriso timido e un ciuffo ribelle sulla fronte. Spunta dal nulla, per comunicarle che la vecchia casa in campagna a un'ora scarsa da Roma ha trovato dei potenziali acquirenti. Senza pensarci troppo Maria prende la sua borsetta e lo segue. Ma le visite sono poche, e mai quelle giuste. Maria e Gabriele trascorrono intere giornate in attesa, su una panchina, e insieme ripercorrono la storia di quella vecchia casa in mattoni. E cosi Maria, finalmente, può smettere di parlare da sola e recitare a qualcuno la piccola poesia della sua breve esistenza, dall'infanzia fino agli anni più intensi di vita, quelli trascorsi con il marito Augusto, il giocoso e inconcludente mago Vapore, e l'amato figlio Pietro, sognatore e comunista. Maria avrebbe voluto proteggerli dalle loro piccole e grandi bugie, tenerli stretti dentro la lucidità del suo sguardo. Ma neanche l'amore può tanto.