
Apple ha tredici anni e vive in Inghilterra con la nonna da quando ne aveva due, perché la madre, giovanissima, se n'è andata in America a cercare fortuna come attrice. Apple vuole bene alla nonna, ma soffre la rigidità delle sue regole e il peso delle sue ansie. L'unica amica che ha la trascura e il ragazzo di cui è innamorata non la degna di uno sguardo. Il solo momento positivo nelle sue giornate sono le ore di inglese, in cui il professor Gaydon parla di poesia e invita i ragazzi a esplorare con le parole i loro sentimenti: la paura, l'amore, la gioia. Quando la madre torna a casa dopo undici anni, Apple sente colmarsi il vuoto che ha dentro ed è come se fosse di nuovo intera. Ma il ritorno della madre è dolceamaro, come lo era stata la sua fuga quella tempestosa notte d'inverno... Apple prova a dare un senso alle proprie emozioni. Ma solo quando conoscerà Rain e scoprirà di avere un talento, smetterà di temerle e capirà che cosa significa veramente amare.
Il palcoscenico è deserto. Il grido echeggia da dietro le quinte. Il pubblico in sala a poco a poco si zittisce. Un uomo con gli occhiali, di bassa statura e di corporatura esile, piomba sul palco da una porta laterale. Signore e signori un bell'applauso per Dova'le G.! C'è qualcosa di strano nella serata. Tra le sedie c'è un intruso, trascinato fino a quella cittadina poco raccomandabile da una telefonata inattesa: è l'onorevole giudice Avishai Lazar, amico d'infanzia di Dova'le. Deve giudicare la vita intera di quello che, lo ricorda solo ora, era un ragazzino macilento e incredibilmente vivace, con l'abitudine stramba di camminare sulle mani. Dova'le sul palco si mette a nudo, e imprigiona la sala nella terribile tentazione di sbirciare nell'inferno di qualcun altro. Nella storia di un bambino che camminava a testa in giù e da quella posizione riusciva ad affrontare il mondo. Un ragazzino che al campeggio paramilitare viene raggiunto dalla notizia della morte di un genitore e deve partire per arrivare in tempo al funerale. Ma chi è morto? Nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo, o forse lui non ha compreso. Il giovane Dova'le ha un viaggio intero nel deserto per torturarsi con l'angoscia di un calcolo oscuro che gli avvelena la testa. Mio padre o mia madre? Ora eccolo, quel ragazzino, ancora impigliato nell'estremo tentativo di venire a capo di quella giornata lontana, ancora incapace di camminare dritto.
Il palcoscenico è deserto. Il grido echeggia da dietro le quinte. Il pubblico in sala a poco a poco si zittisce. Un uomo con gli occhiali, di bassa statura e di corporatura esile, piomba sul palco da una porta laterale. Signore e signori un bell'applauso per Dova'le G.! C'è qualcosa di strano nella serata. Tra le sedie c'è un intruso, trascinato fino a quella cittadina poco raccomandabile da una telefonata inattesa: è l'onorevole giudice Avishai Lazar, amico d'infanzia di Dova'le. Deve giudicare la vita intera di quello che, lo ricorda solo ora, era un ragazzino macilento e incredibilmente vivace, con l'abitudine stramba di camminare sulle mani. Dova'le sul palco si mette a nudo, e imprigiona la sala nella terribile tentazione di sbirciare nell'inferno di qualcun altro. Nella storia di un bambino che camminava a testa in giù e da quella posizione riusciva ad affrontare il mondo. Un ragazzino che al campeggio paramilitare viene raggiunto dalla notizia della morte di un genitore e deve partire per arrivare in tempo al funerale. Ma chi è morto? Nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo, o forse lui non ha compreso. Il giovane Dova'le ha un viaggio intero nel deserto per torturarsi con l'angoscia di un calcolo oscuro che gli avvelena la testa. Mio padre o mia madre? Ora eccolo, quel ragazzino, ancora impigliato nell'estremo tentativo di venire a capo di quella giornata lontana, ancora incapace di camminare dritto.
Il palcoscenico è deserto. Il grido echeggia da dietro le quinte. Il pubblico in sala a poco a poco si zittisce. Un uomo con gli occhiali, di bassa statura e di corporatura esile, piomba sul palco da una porta laterale. Signore e signori un bell'applauso per Dova'le G.! C'è qualcosa di strano nella serata. Tra le sedie c'è un intruso, trascinato fino a quella cittadina poco raccomandabile da una telefonata inattesa: è l'onorevole giudice Avishai Lazar, amico d'infanzia di Dova'le. Deve giudicare la vita intera di quello che, lo ricorda solo ora, era un ragazzino macilento e incredibilmente vivace, con l'abitudine stramba di camminare sulle mani. Dova'le sul palco si mette a nudo, e imprigiona la sala nella terribile tentazione di sbirciare nell'inferno di qualcun altro. Nella storia di un bambino che camminava a testa in giù e da quella posizione riusciva ad affrontare il mondo. Un ragazzino che al campeggio paramilitare viene raggiunto dalla notizia della morte di un genitore e deve partire per arrivare in tempo al funerale. Ma chi è morto? Nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo, o forse lui non ha compreso. Il giovane Dova'le ha un viaggio intero nel deserto per torturarsi con l'angoscia di un calcolo oscuro che gli avvelena la testa. Mio padre o mia madre? Ora eccolo, quel ragazzino, ancora impigliato nell'estremo tentativo di venire a capo di quella giornata lontana, ancora incapace di camminare dritto.
Paolo Rumiz ha percorso a piedi, con un manipolo di amici, la prima grande via europea, l'Appia, e ce ne riconsegna l'itinerario perduto, da Roma fino a Brindisi, "più per dovere civile che per letteratura". Lo ha fatto spesso cavando dal silenzio della Storia segmenti cancellati, ascoltando le voci del passato e destando la fantasia degli increduli incontrati durante il viaggio. Da Orazio ad Antonio Cederna (appassionato difensore dell'Appia dalle speculazioni edilizie), da Spartaco a Federico II, prende corpo una galleria di personaggi memorabili e si incontrano le tracce di Arabi e Normanni. Intanto le donne vestite di nero, i muretti a secco, la musicalità della lingua anticipano l'ingresso nell'Oriente. Per conquistarsi le meraviglie di un'Italia autentica e segreta è necessario però sobbarcarsi anche del lavoro sporco - svincoli da aggirare, guardrail, sentieri invasi dai canneti, cementificazioni, talvolta montagne intere svendute alle multinazionali dell'acqua e del vento - e affrontare la verità dei luoghi pestando la terra col "piede libero". Al racconto fanno da contrappunto le mappe disegnate da Riccardo Carnovalini, che ha trovato il percorso sulle carte, nelle foto aeree e sul terreno, e che ha descritto l'itinerario nel libro: un contributo prezioso e uno strumento utile - considerata l'assenza di segnaletica - per chi volesse seguire le orme di questa marcia d'avanscoperta.
Paolo Rumiz ha percorso a piedi, con un manipolo di amici, la prima grande via europea, l'Appia, e ce ne riconsegna l'itinerario perduto, da Roma fino a Brindisi, "più per dovere civile che per letteratura". Come un pifferaio magico, ci chiama a seguirlo con le gambe e l'immaginazione lungo la via del nostro giubileo, la nostra Santiago di Compostela, della quale viene restituito l'itinerario dopo un secolare abbandono. Da Orazio ad Antonio Cederna (appassionato difensore dell'Appia dalle speculazioni edilizie), da Spartaco a Federico II, prende corpo una galleria di personaggi memorabili e, mentre si costeggiano agrumeti e mandorleti, si incontrano le tracce di arabi e normanni. Intanto le donne vestite di nero, i muretti a secco, la musicalità della lingua anticipano l'ingresso nell'Oriente. Per conquistarsi le meraviglie di un'Italia autentica e segreta è necessario però sobbarcarsi anche del lavoro sporco - svincoli da aggirare, guardrail, sentieri invasi dai canneti, cementificazioni, talvolta montagne intere svendute alle multinazionali dell'acqua e del vento - e affrontare la verità dei luoghi pestando la terra col "piede libero". Al racconto fanno da contrappunto le mappe disegnate da Riccardo Carnovalini, che ha trovato il percorso sulle carte, nelle foto aeree e sul terreno, e che ha descritto l'itinerario nel libro: un contributo prezioso e uno strumento utilissimo - considerata l'assenza di segnaletica - per chi volesse seguire le orme di questa marcia d'avanscoperta.
È salito su un'infinità di cime, affrontando spesso vie estreme e ha rischiato discese temerarie con gli sci dal Nanga Parbat e dall'Everest. Non di rado si è trovato a mettere alla prova i suoi stessi limiti, quando sopravvivere è questione di pura fortuna. In questo volume racconta i suoi cinque tentativi al K2, la "montagna delle montagne", che conquista finalmente il 22 luglio del 2001. La descrizione del lungo percorso che porta al K2 è intervallata da molti episodi che lo hanno condotto in situazioni apparentemente senza via d'uscita, sia a causa di errori commessi, che a causa di problemi dovuti ai materiali, al cattivo tempo o semplicemente al caso. Kammerlander racconta il modo in cui ha affrontato e superato queste situazioni.
Un uomo che ha passato i quaranta viene accolto in una "casa assistita" nel centro di una grande città: dice di chiamarsi Antonio Cane. Le sue cartelle cliniche, false ed esagerate, lo ritraggono come uno psicopatico, ma vero è il suo tormento amoroso per una donna sposata che ricambia il suo amore in modo ambiguo e sfumato. In realtà in questa casa assistita si nasconde un uomo dal passato inquietante e Cane ha il compito di intercettarlo. Orsini, l'uomo che cerca, è una spia come lui, ha un passato feroce che coincide con il passato più oscuro del nostro paese.
Più di tutti gli scrittori e i poeti di prima e dopo di lui, Agnon è riuscito a stabilire una complessa dialettica fra l'antica cultura ebraica e le tensioni della modernità. La sua opera attinge tanto alla tradizione ebraica quanto ai modelli europei di scrittura nelle sue varie forme, e si dispiega lungo ben sessant'anni. La sua lingua tutta particolare, tanto da essere definita come «agnonica», non è solo un tramite, piuttosto una forma espressiva unica carica di mistero, ricca di voci, humour e ironia, causticità, di frasi composte da un'affermazione e dal suo contrario, di relativismo e uso «sovversivo» delle fonti. Per questo Agnon si rivela sempre un'esperienza eccitante e una sfida per i lettori, gli studiosi e i creativi, e continua a essere una fonte di ispirazione per chiunque.
dalla prefazione di Abraham B. Yehoshua
L'epos dell'immigrazione ebraica in Terra Promessa, la Palestina nei primi anni del Novecento. Grandi illusioni, poco lavoro, molta miseria. E più di settanta lingue che si incrociano in un territorio ancora governato dall'impero ottomano. Tra Giaffa (l'odierna Tel Aviv) e Gerusalemme si snodano le vicende di Isacco Kumer, giovane di belle speranze arrivato dalla Galizia, quelle dei suoi amici e dei suoi amori: la russa Sonia, colta ed emancipata, la splendida Shifra, figlia di un rabbino ultraortodosso. E poi c'è Balac: un cane randagio che pensa e sogna come un uomo, uno dei personaggi più belli e originali nella storia della letteratura.
Il tutto raccontato in una lingua sempre inventiva e straordinariamente ironica.
1967: a Greenville, una cittadina come tante nel profondo sud americano, una bomba fa esplodere gli uffici di un avvocato impegnato nella difesa dei diritti civili, uccidendo i suoi due figli. Nessuno sembra dubitare della colpevolezza di Sam Cayhall, noto membro del locale Ku-klux-klan. 1988: sono passati vent'anni e l'azione si sposta a Chicago. Cayhall è ancora chiuso nel raggio della morte e ha esaurito tutte le possibilità di appello. Ma un giovane avvocato di un grande studio chiede esplicitamente di essere assegnato al suo caso. Vuole tirar fuori di cella l'uomo del Klan. Perché?
Con profondità psicologica e descrizioni cristalline, come un caleidoscopio dell'animo umano, i racconti di Kenaz dipingono affreschi potenti di una società fatta di uomini comuni, personaggi della strada, legati uno all'altro da una rete invisibile di paure, invidie, aspirazioni e vizi, alienati dalla realtà e dipendenti, come burattini, dai fili di un destino imperscrutabile eppure sempre presente con la sua ombra minacciosa, pronto a manifestarsi nelle sue forme più imprevedibili e tragiche.
Nel 1942, ad Atene, un appartamento viene requisito per ospitare un ufficiale tedesco. Nell'appartamento vivono gli Helianos, una coppia di mezza età un tempo agiata. Lui è un intellettuale, spiritoso e paziente. Lei una donna di casa, ansiosa e malaticcia. Hanno un ragazzo di dodici anni animato da melodrammatiche fantasie di vendetta, e una bambina di dieci, una pesante bambola di carne forse ritardata. Con l'arrivo del capitano Kalter, tutto è cancellato. Metodico, ascetico, crudele Kalter è un dio-soldato che impone il terrore.

