
"Ma chi sono questi uomini, chi sono i 'demoni'? I demoni sono anzitutto 'uomini d'idea', come li definisce Bachtìn, cioè uomini posseduti, tormentati, divorati da un'idea, cioè da una concezione onnicomprensiva, onniesplicativa e onnirisolutiva della realtà, uomini che si credono in possesso della 'Verità', ma ognuno dei quali si è costruito una sua Verità' in una forma aberrante, distruttiva, catastrofica. In questi uomini - secondo Dostoevskij - si ritrova una caratteristica specifica ed esclusiva dello spirito russo: il russo è divorato da un'inesausta sete di verità ed è in grado di dedicarsi appassionatamente, fanaticamente al perseguimento dell'ideale da lui concepito, fino ad arrivare a ogni eccesso e a ogni estremo, compreso il sacrificio totale di sé." (Gianlorenzo Pacini)
Fratello minore del più celebre Abu Hamid, il grande teologo sistematico dell'islam medievale, Ahmad Ghazali si distingue come originale cantore della "santità" di Satana, inopinatamente eretto a modello dell'amante mistico, e scrive con questo breve trattato una densa, originale riflessione sui fondamenti e la "fisiologia" dell'amore. Sequela dal ritmo travolgente di aforismi e stringate argomentazioni, intervallati da aneddoti e versi, questo testo ha sedotto e affascinato nei secoli innumerevoli sufi e poeti dalla Persia all'India musulmana. Scandagliando il tema dell'eros, Ahmad Ghazali porge una sottile, profonda "teologia della bellezza e dell'amore", sicché la sua analisi dell'amore umano si rivela essere in realtà una ineguagliata, raffinatissima meditazione sull'amore divino e sulle leggi misteriose che lo regolano.
Aiace, Edipo, Bidone, Spartaco, Antigone, Seneca, Petronio, Demostene. Greci e latini, personaggi d'invenzione e autori letterari. Ciò che li tiene insieme, il denominatore comune, è il concetto, e la pratica, di "bella morte". Aderendo cioè a un'idea fortissima, etica ed estetica insieme, di conclusione della vita nella quale all'inevitabilità del gesto corrispondesse anche e soprattutto una grande dignità, ognuna di queste figure ha deciso, nella finzione o nella realtà, di concludere la propria vita con il suicidio. Con un'azione, dunque, che nella sua drammaticità ha voluto di volta in volta avere un significato civile o sentimentale, valere da protesta o da sacrificio estremo. Anacleto Postiglione ha selezionato e raccolto una serie di pagine che raccontano la percezione tragica che gli antichi hanno avuto di una scelta estrema come il suicidio.
Opera lentamente cresciuta negli anni dell'esilio, Dell'Aurora è una straordinaria opera di pensiero, esorbitante dagli schemi del discorso filosofico; una trama poetica in cui si riannodano, riconoscibili ma trasfigurate, le domande, le riflessioni, le ricerche che occuparono la scrittura di tutta una vita. Ciascun brano è completo, compiuto in sé come il pezzo di una partitura musicale, e ciascuno sembra occupare esattamente lo spazio di una notte seguita dall'alba, tuttavia non c'è frammentazione, poiché comune è la tensione verso la luce, l'attesa della rivelazione portata dall'Aurora. «Come tutte le rivelazioni, l'Aurora mi è apparsa in molti modi. Nella Spagna del 1937, quando vi tornai a guerra ormai persa, fu un'Aurora di sangue. All'Avana, per sorprendere l'alba mi sdraiavo sulla riva del mare. Ho sempre camminato verso l'alba, non verso l'occaso; e ho sempre sofferto per tante albe precipitate nell'occaso».
Da un'antica tomba nel convento delle clarisse di Cartagena emerge una lunghissima chioma rossa. Dal singolare evento, cui il giovane Garcia Màrquez, allora cronista alle prime armi, si trovò ad assistere, scaturisce questo affascinante racconto pubblicato nel 1994, con il quale Gabo torna alle atmosfere di "Cent'anni di solitudine" e ai temi dell'"Amore ai tempi del colera", la passione erotica che diventa malattia, metafora della letteratura e della vita. Al centro della vicenda, ambientata in una Cartagena de Indias perduta in un vago e oscuro passato coloniale, sospeso tra il possibile e il misterioso, c'è la passione innaturale e distruttiva che vede protagonisti una bellissima bambina morsa da un cane rabbioso, un medico negromante e un giovane esorcista posseduto dal mal d'amore. Costruito con la logica di Calderón de la Barca e l'ironia di Cervantes, "Dell'amore e di altri demoni" vive di una prosa insolitamente scarna ed essenziale. Una scrittura decantata e limpida che dà vita a pagine di struggente poesia e di emozionato pudore con cui Gabriel Garcia Márquez riesce ad avvincere il lettore, trascinandolo in un enigmatico universo capace di travolgere i sensi e i sentimenti.
"E' il rendiconto psicologico di un delitto. Un giovane, che è stato espulso dall'Università e vive in condizioni di estrema indigenza, suggestionato, per leggerezza e instabilità di concezioni, da alcune strane idee non concrete che sono nell'aria, si è improvvisamente risolto a uscire dalla brutta situazione. Ha deciso di uccidere una vecchia che presta denaro a usura..." (Dostoevskij).
"Delitto e castigo", per molti il capolavoro di Dostoevskij, nasce nel 1865, uno degli anni più critici dell'esistenza sempre travagliata del suo autore. Colpito da gravi lutti (la morte della prima moglie e del fratello), travolto dal fallimento della rivista "Epocha" e sommerso dai debiti, Dostoevskij fugge all'estero, dove perde nuovamente al gioco. Ma intanto concepisce un nuovo progetto letterario, "il resoconto psicologico di un delitto", che sottopone all'editore Katkov per la rivista "Russkij Vestnik". Qui il romanzo uscirà, a puntate, dal gennaio al dicembre del 1866. Il progetto iniziale di una "confessione" in prima persona, secondo il modello delle Memorie del sottosuolo, si trasforma accogliendo altre voci, si articola e si amplia inglobando un'idea precedente, quella di un romanzo sociale sulla piaga dell'alcolismo che doveva intitolarsi "Gli ubriaconi". Così la storia dell'alcolizzato Marmeladov e della sua sventurata famiglia s'intreccia con la vicenda di Raskol'nikov, il giovane che uccide per un'idea, per affermare la propria libertà e la propria superiorità sugli uomini comuni e la loro morale. Perché se può servire a salvare la vita propria e altrui, se il gesto può andare a beneficio di tutta l'umanità, è davvero un delitto eliminare una vecchia strozzina, stupida e cattiva, non un essere umano ma un insetto dannoso, un pidocchio? Edizione in nuova traduzione.
"Ci sono romanzi che non avrebbero bisogno di introduzioni. Appena iniziamo a leggerli, sin dalle prime pagine ci proiettano in una vita per noi impensabile pochi istanti prima, nella quale tuttavia ci orientiamo a meraviglia. [...] Delitto e castigo è uno di questi romanzi, un'opera di bruciante attualità, nella quale Dostoevskij ha saputo cogliere a partire dalla sua epoca l'eco di voci remote nella nostra cultura e oggi più che mai vibranti. Leggendo questo romanzo ti viene subito in mente lo sguardo vuoto e spento di tanti 'eroi' della nostra cronaca nera, ti risuona nella testa la voce minacciosa del Dio della Genesi che grida a Caino: Caino, che hai fatto? Ora tu sei maledetto dalla terra, sarai errante e vagabondo. E ti chiedi: e se fossi stato io?" (dalla prefazione di Damiano Rebecchini). Un romanzo decisivo per la successiva narrativa novecentesca, per lo scavo psicologico dei personaggi e la ferocia dell'analisi emotiva. In una nuova traduzione, l'immortale storia di sofferenza e salvazione diventata uno dei classici più amati e influenti di tutti i tempi (e di tutte le letterature).
"E' il rendiconto psicologico di un delitto. Un giovane, che è stato espulso dall'Università e vive in condizioni di estrema indigenza, suggestionato, per leggerezza e instabilità di concezioni, da alcune strane idee non concrete che sono nell'aria, si è improvvisamente risolto a uscire dalla brutta situazione. Ha deciso di uccidere una vecchia che presta denaro a usura..." (Dostoevskij).
Mentre Stoccolma si prepara a celebrare le Olimpiadi, una bomba esplode nello stadio principale della città, simbolo stesso dei Giochi. Dopo pochi giorni, un'altra bomba fa saltare un impianto sportivo, seminando il terrore. La polizia parla di atto terroristico, ma dalle pagine della Stampa della Sera, Annika Bengtzon conduce la sua personale indagine e scava nel mondo del comitato olimpico e della sua direttrice, donna potente e famosa, ma con molti lati oscuri nella vita privata. Appena promossa caposervizio di nera, Annika insegue una difficile carriera in una grande città: osteggiata da parte della redazione, deve dimostrare ogni giorno che anche una donna madre di due bambini è in grado di fare bene il suo lavoro e di battere la concorrenza.