
L'"amico di Kafka" che dà il titolo a questo volume di racconti è un ex attore del teatro yiddish di Varsavia, disoccupato e vanesio, che si atteggia a dongiovanni e si vanta di aver conosciuto il famoso scrittore praghese. Una facciata pretestuosa che nasconde, in realtà, la contrapposizione di due diverse visioni dello stesso mondo. La prima è assillante nella ricerca di una via di scampo che si sa impossibile; la seconda recupera invece la speranza attraverso un'esplosione di espedienti magici che offrono ogni libertà alla fantasia umana. Accanto a "Un amico di Kafka", giustamente considerato un capolavoro nonché una tra le prose più limpide ed enigmatiche della maturità di Singer, appaiono altri venti racconti, tra i più significativi dell'ultima produzione del Premio Nobel, che spaziano dall'Est europeo al Nuovo Mondo e attraversano le varie epoche del nostro secolo, nel tentativo costante di recuperare i valori della tradizione e di sondare le pieghe più riposte dell'animo umano.
Quando, nel 1859, Dostoevskij ottenne il permesso di rientrare dalla deportazione nella Russia europea, aveva bisogno di qualcosa di clamoroso per riaffermare la propria posizione nel panorama letterario dell'epoca. Fu così che nella primavera del 1860 si dedicò alla stesura di un roman-feuilleton pieno di situazioni estreme, spregiudicate, delle quali si parlava con relativa disinvoltura, incentrate sul tema della fanciulla offesa e vittima di individui senza scrupoli. Sedotte e abbandonate: questo è il destino delle donne in "Umiliati e offesi". Ma anche maledette dai propri padri. L'occhio di Dostoevskij si sofferma ad analizzare la relazione padre/figlia, e lo fa tramutandola nel nucleo portante della narrazione: sono ben tre le coppie di padri e figlie che si avvicendano nelle pagine del romanzo, portando avanti ciascuna una linea narrativa e una modalità esistenziale che conducono a una conclusione differente. Le vicende sono tenute assieme dalla presenza del narratore Ivan Petrovic, che per tutto il romanzo si sposta frenetico da una casa all'altra, fungendo da testimone oculare e, alla fine, da vero e proprio deus ex machina. In questa figura si manifesta il tormento di Dostoevskij, giunto al punto di svolta della propria creatività e alla ricerca di un nuovo modello di narratore.
Nuovo Galles del Sud, 1870: Alexander Kinross, scozzese, ha fatto fortuna in Australia, scoprendo la più importante miniera d'oro del continente e fondando una città che porta il suo nome. Così, scrive ai parenti in Scozia per chiedere in moglie una cugina. Al suo arrivo a Sydney, la sedicenne Elizabeth scopre che il promesso sposo è attraente, sfrenato, ricchissimo, ma lei non lo ama e non lo amerà mai. Un giorno Alexander accoglie in casa, e adotta come erede, il giovane mezzosangue Lee, figlio dell'unica donna che abbia mai amato, l'ex maitresse Ruby. Tra Lee ed Elizabeth divamperà una passione che sconvolgerà tutto il loro mondo. Una saga familiare che si estende per quattro decenni, un amore più forte delle convenzioni e dei tabù.
Nel 1984 Márai ha ottantaquattro anni, e vive negli Stati Uniti da più di trenta. Fra il gennaio del 1984 e il febbraio del 1989 scompaiono i due fratelli e la sorella, e anche il figlio adottivo, appena quarantaseienne. Ma soprattutto muore Lola, la donna che è stata la sua compagna per sessantadue anni: Márai, che ha coltivato il sogno impossibile di morire insieme a lei, è costretto a vederla spegnersi lentamente e, dopo averne disperso le ceneri nell'Oceano, a proseguire un'esistenza che ormai non ha più senso. "Scrivevo per lei, ogni singola riga. Non ho più per chi scrivere" annota; il pensiero della "letteratura", dirà più volte, gli provoca ormai solo nausea e disgusto. Eppure - e fin quasi alla vigilia della morte - il vecchio "scrittore ungherese" continua, in questo monologo ininterrotto che è il suo diario, a registrare annotazioni di ogni genere: aforismi perfetti; lucide riflessioni sulla letteratura, sul mondo contemporaneo, sul tema dell'esilio e sulla condizione di esule - e naturalmente sulla prossimità della morte. Sándor Márai scrive l'ultima frase il 15 gennaio del 1989: "Aspetto la chiamata alle armi. Non la sollecito, ma neppure la rinvio. È arrivato il momento". Esattamente un anno prima si era comprato una rivoltella ed era andato più volte in un poligono di tiro per imparare a usarla. Il 21 febbraio, tredici mesi dopo la morte di Lola, si uccide.
I racconti più belli del grande scrittore yiddish raccolti a cura di Claudio Magris
«La sua poesia era un miracolo che egli non controllava, e fluiva inattesa dalla sua mano che scriveva e dalla sua persona che viveva.»
Claudio Magris
Introducendo alla lettura di questi 23 racconti tra i più belli di Singer, Claudio Magris scrive: «Il Narratore che regge le file delle novelle di Singer si dissimula nelle voci più varie dell’esperienza collettiva: parla per bocca dei demoni della tradizione, dipana le vicende dai proverbi popolari e dai detti sapienziali, afferra al volo le confidenze dei vagabondi sul ciglio della strada e dei vecchi ricoverati all’ospizio, raccoglie le chiacchiere mormorate nel tempio e nella bottega. Per questo Narratore, le storie e la vita non finiscono mai; è grazie alla sua voce che a Singer riesce l’imperturbabile rappresentazione della totalità: egli ritrae il caos e l’ordine, la tenerezza e la perversione, la luminosa presenza del senso e l’acre putredine del nulla».
André Schwarz-Bart nello scrivere questo romanzo, romanzo che sfocia nell'immane tragedia dell'Olocausto, con l'intento di ricostruire il lungo percorso dell'essere ebraico e di una continuità storica che era innanzitutto continuità spirituale. Il legame tra passato e presente, il filo unico di questa continuità è affidato alla Leggenda dei Giusti, uomini che assumono su di sé la sofferenza degli altri, rendendone possibile la sopravvivenza in un mondo carico di dolore.
L'esercitazione di un plotone di riservisti sperduto nel deserto, nelle mani di un comandante paralizzato dal ricordo di una vecchia battaglia. Un padre a cui viene data la notizia della morte del figlio al fronte. Un professore universitario chiamato a tenere una conferenza in una base missilistica. La vita militare descritta in questi tre racconti ha qualcosa di banale, di burocratico, di inefficiente. È del tutto anti-eroica. Il tempo sembra immobile, bloccato da qualcosa che ha a che fare con un'angoscia non definita, forse indefinibile. Pur nelle circostanze realistiche degli avvenimenti, c'è qualcosa di onirico in queste vicende, qualcosa di sospeso e di sfuggente.
Le storie che si trovano in questo libro raccontano il disequilibrio e i malintesi tra l'uomo e la donna arabi. Come scrive l'autore "il primo amore è sempre l'ultimo. Nel mio paese c'è qualcosa di spezzato nelle relazioni tra l'uomo e la donna." Ben Jelloun è nato a Fès (Marocco) nel 1944 ma da molti anni vive in Francia, a Parigi. In Italia è conosciuto da tempo per il suo forte impegno personale, sociale e politico che si esprime anche nell'opera narrativa.
È la storia di due amici, Ali e Mamed. Hanno condiviso molte cose, hanno amato, studiato, si sono abbandonati al sogno di un'utopia rivoluzionaria insieme, ma poi, all'improvviso, una lettera di Mamed, fatta di "poche frasi, brutali, secche, definitive", annuncia la rottura del loro sodalizio. Solo alla fine, dopo la rievocazione delle loro vicende personali emergeranno la verità e il senso di quella lettera drammatica. Si scoprirà che l'amicizia è finita per volere di Mamed, che ha preferito risparmiare all'amico un dolore troppo grande.
Apparso in russo a puntate nel 1930 sulla rivista "Annali contemporanei", "Gli ultimi e i primi" è il romanzo d'esordio di Nina Berberova. Il romanzo, benché opera prima, ha però un suo fascino tutto particolare, a cominciare dai protagonisti - russi immigrati in Provenza all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre - gli "ultimi" di un mondo che non vuole morire e i "primi" di un'epoca ancora da scrivere.
"Jesús del Campo si affaccia al panorama della letteratura europea del secolo XXI con una voce autenticamente originale e una fedeltà alla narrazione d'avventura, che pongono in evidenza tradizione ed eredità letteraria. L'avventura parte ancora una volta dalla locanda dell'Ammiraglio Benbow, ma i protagonisti, che vengono dalle loro Itache personali, realizzano uno straordinario viaggio sedentario e, al calore del focolare, dispiegano le loro consumate candele per andare a caccia del buon vento del racconto, dell'oralità, della migliore letteratura." Dalla prefazione di Luis Sepúlveda.