
Gli ultimi mesi erano stati un vero schifo per Nic Morgan. Sua moglie Lucy, la donna di cui si era innamorato a prima vista in un giorno di pioggia, era morta in un incidente d'auto a soli ventotto anni. E, quel che era peggio, non era sola; alla guida, infatti, c'era il suo amante e Nic aveva saputo di quella maledetta tresca solo quando non c'era più nulla da fare. Per non parlare poi del lavoro: da quando era rimasto solo, concentrarsi gli era quasi impossibile e quelle due iene che miravano da tempo al suo posto di vicepresidente di un'importante multinazionale petrolifera ne avevano approfittato mettendolo in cattiva luce con il capo. Di un uomo annebbiato dal dolore non ci si può fidare, perciò Nic viene mandato via da San Francisco e spedito nel Corno d'Africa. La situazione che si trova di fronte è bollente, inglesi da una parte, francesi dall'altra e Islam dovunque. I paesi confinanti che tramano per far diventare la zona una polveriera. I guerriglieri che trucidano i nemici indiscriminatamente. Ma quella è anche una terra incontaminata, piena di ricchezze naturali di cui, però, la popolazione non può disporre in alcun modo. Così Nic, grazie ai consigli di Thomas, un collega del posto, e di Theresa, dirigente di una società che fa ricerche geotermiche, comprende che in quel luogo può spegnere la rabbia che lo sta consumando: con dei progetti di cooperazione internazionale si può riportare l'acqua a coloro a cui appartiene di diritto, un modo per sentirsi di nuovo utile.
Una piccola isola vulcanica ai margini estremi del Mediterraneo meridionale, Tari. Uno squisito resort di lusso arrampicato sulle rocce, Villa Metaphora. Pochi ospiti internazionali, ricchi e famosi, in cerca di qualche giorno di tregua dalle pressioni del mondo. Quattordici personaggi che si passano il testimone di capitolo in capitolo: un architetto e imprenditore milanese, la sua assistente e amante tarese, un marinaio nato sull'isola, un falegname dall'animo artistico, un raffinato chef spagnolo, una ragazza italo-irlandese alla ricerca delle sue origini, un giornalista francese in incognito, un potentissimo banchiere tedesco e sua moglie, due anziani coniugi italiani dediti al gioco della deduzione, una giovane star americana e suo marito, inventore di un metodo per risolvere problemi altrui, un politico italiano che cerca il sostegno dei "poteri forti". Quattordici punti di vista, ognuno con la sua voce, il suo mondo, i suoi riferimenti. Ognuno credibile, coerente, e del tutto inconciliabile con gli altri. Una trama serrata, piena di coincidenze, complicazioni, colpi di scena . Un tour de force stilistico, sfaccettato in una quantità di prospettive e di modi di raccontare. Con Villa Metaphora Andrea De Carlo scrive il suo romanzo più ambizioso, ironico, cattivo, avventuroso, polemico, raccogliendo la sfida di raccontare il mondo di oggi, con le sue virtù e i suoi difetti peggiori, i suoi vizi, le sue paure e le sue insostenibili contraddizioni.
“Donne. Soltanto donne.
Donne con cui deve essere stato difficile convivere.
Donne assenti, lontane.
Donne che non sono mai riuscite a vivere nel presente.
Incapaci di fermare l’attimo perché sempre protese verso l’altro sfuggente…
Donne che desiderano mondi lontani, mai reali.
Donne bambine, che detestano le loro madri e finiscono per assomigliarle.
Che non vogliono crescere e vivono di ricordi di amori inventati o mai vissuti.
Innamorate di fantasmi e ormai spettri anch’esse…
Adesso resto solo io, l’ultima semina, e questa pianta deve spuntare.
Fiorire. Dare un senso al passato.
Perché i fantasmi possano finalmente dormire in pace.”
“Partiri? E dove avemu a jiri?” domandai.
“A la Merica”, rispose seria Nanna.
La Merica?! Ma io la Merica non sapevo manco dove stava!
Rosalia è una bambina di 10 anni quando, all’inizio del Novecento, abbandona la sua amata isola di Stromboli per la “Merica”, la terra promessa. E nel “Paese Nuovo” continua la sua vita, tanto simile a quella di milioni di emigranti che sperano di lasciarsi alle spalle stenti e povertà. Questa è la sua storia. Ma è anche la saga di due continenti, l’Italia e l’America a cavallo di due secoli, e di una famiglia che viene seguita con meticoloso amore da una scrittrice che in America ha vissuto, lavorato e condiviso con la propria famiglia, quella vera – la famiglia Barzini –, un tempo che in quel Paese sembra scorrere più in fretta. È la storia di una ricetta, la parmigiana di melanzane, che unisce o divide come un sottile filo rosso le protagoniste. È un intreccio di affetti, di separazioni, di rimpianti e di rimorsi, di gioie e di dolori, di risa e di pianti, di quattro generazioni che si incontrano, si scontrano, si rincorrono.
Sono molti gli scrittori e i libri che hanno descritto quel mondo. Sono molte le sollecitazioni che nel Novecento e non solo hanno portato l’America a conoscenza del pubblico europeo, snodo mai risolto fra Vecchio e Nuovo Continente, basterebbe ricordare con una vena di ironia America di Kafka. Eppure Stefania Barzini riesce a cogliere in questa sequenza un suono dolce e drammatico. L’ingrediente perduto parrebbe un racconto fra donne, di donne ma è molto di più. Perché Rosalia, Connie, Sandy, Sarah incarnano la storia del nostro passato, delle nostre origini, della nostra emigrazione, delle miserie, delle speranze, delle delusioni e dei successi, e anche delle loro ricette che le hanno aiutate, nel bene e nel male, a sopravvivere.
Un romanzo che è la storia di un'autoeducazione selvaggia, attraverso una folta sequenza di avventure, incontri, fagocitazioni, seduzioni e soprattutto fughe, perché la vocazione del protagonista è quella di evadere da ogni esperienza che tenda a chiudersi su se stessa. E ogni fuga lascia in dono al lettore un personaggio, una storia, avvolti da quella dolorosità peculiare della gioventù. Di questo libro iniziale di Busi possiamo dire oggi che offre un esempio di lucentezza che non si offusca con il tempo. E si accende ora di nuovi riflessi in questa stesura "interamente riscritta, e interamente per davvero", nonché sigillata, come da una sorta di epilogo, dall'inesorabile Seminario sulla vecchiaia.
È un incidente di macchina del tutto casuale a mettere in contatto Pietro Rodano, boss mafioso, con il professor Alvise Prosdocimi, docente di Storia delle Religioni, ed è la ricerca di Chiara, la giovane figlia di Rodano a unirli in un'avventura mozzafiato che si snoda in Europa e in Medio Oriente. Impossibile trovare due persone più diverse, ma il professore è terrorizzato ed è disposto a tutto pur di sparire dalla circolazione. Qualche giorno prima, mentre era a cena da un collega, tre uomini incappucciati erano entrati nell'appartamento e avevano rapito il padrone di casa che era stato poi trovato inchiodato alla porta con un pugnale cruciforme. L'incontro con un amico archeologo svela il significato di quel pugnale: è quello con cui i franchi-giudici, all'epoca di Carlo Magno, colpivano nell'ombra, eliminando chiunque fosse sospettato di eresia. La caccia alla ragazza scomparsa li porta sulle tracce di una setta che risale agli inizi del diciottesimo secolo. La setta, fondata da un certo Jacob Frank, sosteneva che solo attraverso il peccato l'uomo avrebbe avuto la rivelazione del vero Dio, ma i suoi scopi attuali hanno perso qualsiasi intendimento mistico e mirano soltanto al controllo dell'ordine mondiale. I due amici sono in pericolo di vita ma, paradossalmente, sarà proprio l'intervento dei mafiosi colleghi di Rodano a toglierli dai guai.
Britannia, 61 d.C. Da qualche anno l'isola è sotto il giogo romano, ma le popolazioni locali sono lungi dall'essere domate, anche se l'odio tra le tribù prevale su quello per Roma. Quando però lo stolto governatore Svetonio umilia la regina degli Iceni, Boudicca, facendola frustare e violando le sue due figlie, l'insurrezione divampa. L'orda dei ribelli incede al comando della regina dai capelli di fuoco, distruggendo edifici, amicizie e amori, mentre le quattro legioni di stanza in Britannia si preparano a un'incerta battaglia contro il più temibile dei nemici: la sete di libertà.
La paura è un respiro trattenuto, le parole diventano un sussurro e cedono al silenzio. Quando riceve la telefonata, la voce femminile che lo strappa al sonno è spaventata e gli dà appuntamento per il giorno successivo, in un’aula di tribunale. Un incontro che non avverrà, perché in quell’aula, davanti ai suoi occhi, un uomo uccide la ragazza e si toglie la vita. Da lei, fa in tempo a udire solo poche sillabe. Solara.
Basta quel nome. Un nome che lo riporta al pomeriggio in cui sua moglie muore in un incidente stradale, lasciandolo solo a crescere Giulia. E ancora più indietro, all’estate in cui una bomba fa esplodere in una strada di Palermo la vita di un magistrato. Solo un episodio di una lunga stagione di stragi che, ancora una volta, getta l’Italia nel terrore. La verità di quei giorni è sepolta sotto un cumulo di macerie che in troppi hanno interesse a non rimuovere.
Forse, l’uomo avrebbe dovuto lasciar perdere, il giorno in cui ha sentito quel nome. Fingere di non sapere che l’inchiesta su cui si erano inutilmente accaniti suo padre e sua moglie, entrambi giornalisti, aveva lasciato nervi scoperti.
Perché in un Paese che si regge sui silenzi e le menzogne, la verità può diventare inafferrabile.
Avice, orfana di un ricchissimo mercante, ha solo sei anni quando il suo tutore la dà in sposa al proprio figlio di quattordici. Quell'unione si tramuterà per Avice in una lunga attesa, perché subito dopo le nozze Philip scompare, trattenuto a Londra da misteriosi impegni. A dare sue notizie sono solo le lettere che invia regolarmente. Il giorno del suo sedicesimo compleanno, delusa e sconfortata dal mancato ritorno dello sposo tante volte annunciato, la giovane decide di andare a Londra per cercare la spiegazione di quell'assenza e di un fatto che l'ha incuriosita e affascinata: il tono delle ultime missive, dapprima piuttosto scarne e fredde, si è fatto a un tratto più appassionato e seducente. Mossa dal sospetto di essere vittima di un inganno, Avice approfitta dell'occasione per uscire dal villaggio in cui ha trascorso tutta la vita e avventurarsi nella grande città. Ma le strade della capitale non sono un luogo sicuro, soprattutto ora che in molti tramano contro Enrico VII Tudor, asceso al trono al termine della Guerra delle due Rose e considerato da tanti un usurpatore. Coinvolta in prima persona in un complotto ai danni del re, incrocerà presto la strada di Aylmer Harcourt, personaggio dal fascino ambiguo con il quale Avice avverte da subito una strana affinità. Proprio grazie a lui otterrà le risposte a lungo cercate sulla sorte di Philip, di cui nel frattempo non ha più avuto notizie, e potrà fare chiarezza sugli intrighi e i segreti che hanno accompagnato tutta la sua vita.
A volte il grande amore cammina sotto il nostro sguardo disattento per anni, prima che lo riconosciamo. Altre, invece, basta un solo istante: una parola, uno sguardo, e la vita cambia il suo corso per sempre. Così accade a Lo, che dei suoi diciott'anni porta addosso tutta la vitalità e la sfrontatezza, nel gelido gennaio milanese del 1973, un momento caldo della contestazione studentesca. Nell'attimo in cui il suo sguardo si posa su Berto, giovane professore nel suo stesso liceo, che lo ricambia, tra loro nasce qualcosa di unico. Lo piace a troppi: è una "cattiva ragazza" e frequenta con spensieratezza per denaro, assieme a Vicki, l'amica del cuore, una lussuosa casa d'appuntamenti nel centro di Milano. Ma l'incontro con Berto le fa scoprire l'amore. Il sentimento che li travolge è forte, intenso, e però come trattenuto dalle troppe differenze e da oscuri segreti che si insinuano tra loro ogni giorno, allontanandoli sempre più. Perché capita di incontrare la persona giusta nel momento più sbagliato. Costretti a separarsi o, piuttosto, incapaci di combattere nel nome di quell'amore così vero, ma così fragile, le loro strade si dividono. Altre storie, matrimoni, città, altre stagioni li vedranno protagonisti, ma entrambi porteranno nel cuore una nota di rimpianto per quell'amore abbandonato agli albori, mai vissuto davvero. E solo dopo vent'anni troveranno il coraggio di provare a essere felici.
1046, Mantova. Tutto ebbe inizio con un sogno: un campo di battaglia, il fuoco, centinaia di morti. E poi una donna, i capelli rossi, l'armatura bianca, la spada in pugno, a ottenere la vittoria, riprendersi la sua terra. Questo sognò Beatrice di Canossa poco prima di dare alla luce la sua terza figlia, Matilde. Sapeva che la bambina avrebbe avuto un grande avvenire, ma mai avrebbe immaginato che potesse diventare un simbolo, la donna più temuta e rispettata del suo tempo, una combattente. Il suo destino, secondo la tradizione, era al fianco di un guerriero di nobili natali scelto dal padre. Solo una moglie, quindi, anche se blasonata, o una badessa di un importante convento. Ma le cose andarono diversamente. Dopo la morte prematura del padre, la cui posizione era considerata scomoda dall'imperatore Enrico III, e del fratello, avvelenato, Matilde si trovò costretta a governare, Grancontessa di tutte le terre italiche a nord dello Stato Pontificio, a combattere per difendere i suoi sudditi, al fianco del papa durante la Lotta per le investiture, a trattare per la pace tra Gregorio VII ed Enrico IV. Mai un giorno della sua vita venne speso per se stessa, ma la Storia la vede ancora oggi protagonista.
Cosa unisce l'on. Angelo M. Predieri, fondatore e leader dell'estremo centro, e il dott. Saverio Dioguardi, procuratore della Repubblica di un'oscura provincia? Cosa lega il potente cardinale Terenzio Magliano e Lavinia Salvi, nota giornalista di lungo corso? Forse un disperato bisogno di apparire in un mondo nel quale, se non appari, semplicemente non sei. O forse una prepotente vocazione al comando, una voglia mai appagata di piegare le vite degli altri ai propri disegni. Li accomuna, sicuramente, una certezza: in un'Italia che si è fatta angusta, più povera, dove la coperta è più corta per tutti, solo i lupi con i denti affilati possono farcela. E solo il più feroce fra i lupi potrà vincere il gioco. Il gioco delle caste.
"La sera precedente Ricciardi aveva avuto la sorpresa di ritrovarsi di fronte, all'uscita della questura, nientemeno che Bruno Modo, lo scanzonato dottore che alla cura dei tantissimi malati che confluivano ogni giorno all'ospedale dei Pellegrini, nel vicino quartiere della Pignasecca, affiancava la competenza del miglior medico legale della città. Se lo ritrovò appoggiato al muro che fumava, il cappello all'indietro, il colletto sbottonato dietro il nodo allentato della cravatta. Al suo fianco, come sempre a poco più di un metro, senza corda né guinzaglio, il cane pezzato che da circa un anno gli faceva compagnia. La sera era dolce e l'aria serena; settembre era avanzato, ma sembrava non aver la minima intenzione di mollare il ricordo della rovente estate che l'aveva preceduto..." All'indomani di "Anime di vetro", in una domenica di settembre del 1932, il talento narrativo di Maurizio de Giovanni "fotografa" il commissario Ricciardi e gli altri personaggi della serie, e intrecciando le loro voci, i loro ricordi e i loro sogni guida il lettore attraverso una Napoli resa ancora più viva e reale dalle immagini d'epoca che accompagnano i suoi racconti.

