
Pubblicato per la prima volta nel 1972, e vincitore nello stesso anno del Premio Campiello, "Randagio è l'eroe" è un romanzo picaresco, il cui protagonista, Giuan, è un artista ribelle ossessionato dall'Ultima Cena di Leonardo, che di notte percorre in bicicletta le strade di Milano per correggere i graffiti sui muri e trasformarli in messaggi d'amore. Giuan, infatti, diventa "randagio" per insegnare agli uomini l'eroismo della bontà, sacrifica la propria vita per regalare un miracolo al mondo. Quella che Arpino racconta è una storia di surreale poesia, che, a distanza di oltre quarant'anni dalla prima uscita, ci appare straordinariamente fresca e attuale. Così Guido Piovene presentava il romanzo sulla Stampa: "In questo romanzo, Arpino ha voluto portarci in una condizione di verità e nudità totali. Nuda la parola profetica, nuda la parola scurrile, morte le inibizioni che possono vivere solo accanto ai sentimenti medi. Abbiamo così un altro segno che il pendolo oscilla di nuovo verso l'emotivo, il fantastico, il surreale, il favoloso, il sentimento cosmico e metastorico, e anche un misticismo di tendenza randagia, fuori di qualsiasi chiesa. Non senza fastidio per quanto ormai sa di dogmatico, apodittico, unidimensionale, freddo, rigoristico, arcigno nel genere di cultura scientifico-razionalista in cui siamo cresciuti".
Con due interventi di Giovanni De Luna e Mariarosa Masoero.
Pubblicato per la prima volta nel 1960 in occasione del centenario dell’Unità, Le mille e una Italia è un racconto fantastico dedicato al nostro Paese, alla sua storia, alle sue tradizioni e ai suoi eroi.
Riccio Tumarrano, un ragazzo siciliano, parte per raggiungere il padre, minatore al traforo del Monte Bianco. Nel suo viaggio da Sud a Nord, lungo un percorso in cui gli spazi geografici si intrecciano con i tempi della storia, Riccio incontra figure e uomini illustri di ogni epoca (da Annibale a Garibaldi, da Savonarola a Machiavelli, a Galileo, da Cavour a Mussolini, ai Fratelli Cervi e al Beato Cottolengo), che lo aiutano a comprendere i tratti, spesso irrisolti e contraddittori, della nostra nazione. «Ma è un’Italia diversa da quella dei libri di scuola – scrive Arpino in una nota al testo – un’Italia imprevedibile e piena di speranza.»
La felicità di un’invenzione che si rinnova a ogni pagina, la leggerezza poetica e lo stile chiaro, sciolto e disinvolto, fanno di Le mille e una Italia un libro per tutti, godibilissimo e di grande attualità.
L'AUTORE
Giovanni Arpino (1927-1987) esordì nella narrativa con il romanzo Sei stato felice, Giovanni (Einaudi, 1952). Autore di romanzi, racconti, poesie, commedie e libri per ragazzi, si dedicò anche al giornalismo sportivo per i quotidiani «La Stampa» e «Il Giornale», contribuendo insieme con Gianni Brera a conferire al genere dignità letteraria. Ha vinto il premio Strega nel 1964 con L’ombra delle colline, il premio Moretti d’Oro nel 1969 con Il buio e il miele, il premio Campiello nel 1972 con Randagio è l’eroe e il Super Campiello nel 1980 con Il fratello italiano.
Pubblicato per la prima volta nel 1974, "Racconti di vent'anni" raccoglie le opere brevi di Arpino apparse in "La babbuina e altre storie" e in "27 racconti", più venticinque inediti. Snodandosi lungo un percorso che va dai racconti realistici a quelli che si potrebbero definire "dell'assurdo", dalle narrazioni "del sabato sera" - in cui alcune figure della letteratura mondiale, come Don Chisciotte, Faust e Sandokan, rivivono in chiave moderna fino a quelle dell'ultima sezione, dove si getta una luce sulle manifestazioni del paranormale, l'intera raccolta è una giostra di caratteri, volti, casi, in cui la forma breve del racconto contiene il respiro ampio del romanzo. Attraverso la descrizione delle dinamiche di coppia, dei rapporti tra genitori e figli, della trama di relazioni che compongono la società italiana del suo tempo, Arpino ci restituisce l'immagine di un'umanità stretta tra le ineludibili necessità del reale e la fuga nella dimensione della favola: una situazione nella quale anche il lettore contemporaneo può facilmente riconoscersi.
È notte, su una stradina di montagna in Svizzera. Un’auto procede veloce, diretta a Marsiglia. A bordo un uomo, Pietro Leone, funzionario dell’Onu a Ginevra. Accanto a lui dorme il figlio Nico, una console stretta fra le mani, i jeans a vita bassissima come ogni adolescente che si rispetti. I due sono in fuga, anche se nemmeno Pietro sa da cosa sta fuggendo. La sola certezza è che da giorni qualcuno tiene sotto controllo i suoi movimenti e che la moglie Emilia Viñas, spagnola, ricercatrice al Cern, la sera precedente non è tornata a casa. La donna è la responsabile di uno degli esperimenti con il Large Hadron Collider, l’Lhc, il più potente acceleratore di particelle mai costruito al mondo. Emilia ama il suo lavoro, al quale spesso, necessariamente, sacrifica la famiglia e soprattutto il rapporto con Pietro, che sembra giunto a un punto morto. Del resto, quella della fisica, da Einstein alla teoria delle stringhe, è un’avventura troppo affascinante.
Lo scopre anche Nuria Moreno, giornalista di Madrid giunta al Cern per realizzare un servizio per il suo giornale e conquistata da quel mondo all’inizio tanto lontano da lei. E proprio grazie alle sue domande, che si fanno via via più puntuali, veniamo coinvolti in un universo che a molti appare misterioso e incomprensibile, ma che in queste pagine si racconta e si manifesta con l’immaginazione e la passione che lo animano, rivelandosi intessuto della stessa sostanza, dello stesso desiderio di conoscenza, degli interrogativi sul futuro e sulla vita che agitano tutti noi... Da chi stanno scappando Pietro e Nico? Dov’è finita Emilia?
È notte, su un'autostrada svizzera. Una macchina procede a velocità sostenuta, diretta a Marsiglia. A bordo un uomo, Pietro Leone, funzionario dell'Onu a Ginevra. Accanto a lui dorme il figlio Pietro, una console stretta tra le mani, i jeans a vita bassissima come ogni adolescente che si rispetti. I due sono in fuga, da non si sa bene cosa. La sola cosa che Pietro sa è che da giorni qualcuno sta tenendo sotto controllo i movimenti suoi e della sua famiglia e che la moglie Emilia, ricercatore al Cern, è scomparsa da casa da qualche giorno. La donna stava lavorando, con un gruppo di fisici spagnoli, a un rivoluzionario calorimetro per decifrare le energie di fotoni ed elettroni...
In Messico un giovane storico vuole ricostruire gli ultimi giorni di Walter Benjamin, morto suicida nel 1940; ha trovato un testimone diretto di quel suicidio e si reca fin laggiù per intervistarlo. Ma Laureano, il vecchio esule che ha vissuto quegli anni, lo travolge con il fiume della sua memoria, quasi che la storia non aspettasse che l'occasione per essere raccontata. L'uomo ha quasi ottant'anni ma dentro di lui vive ancora il ragazzo asturiano che nell'ottobre del 1934 è diventato uomo in una battaglia combattuta dal popolo spagnolo due anni prima della Guerra Civile.
Don Luca, un semplice prete di campagna si racconta. Nel borgo ai margini della città, partecipa alla vita della sua gente come se in ciascuno dei suoi parrocchiani il grande mistero della vita trovasse una vera e propria consacrazione. La sua storia è al tempo stesso la storia di tutti.
Il romanzo prende spunto da un'antica tradizione cristiana, secondo cui l'apostolo Giovanni avrebbe vissuto i suoi ultimi giorni nell'isola greca di Patmos. Nelle memorie di Ermogene, un contadino del posto, la vita di Giovanni si fonde con quella di Gesù, degli altri discepoli e del tempo in cui essi vissero, in una narrazione di ispirazione biblica che riporta in vita alcuni personaggi chiave della cristianità. "Il vegliardo di Patmos" è un'opera dal respiro antico, ma che mantiene il soffio di vitalità e attualità proprio di certi eventi che oltrepassano gli anni e i secoli, proiettati negli orizzonti infiniti.
"Almeno un quarto dei paesi italiani è gravemente malato. È una malattia nuovissima. Di cosa si tratta? Di desolazione. Per secoli o forse millenni i paesi sono stati poveri ma, anche se modesta, la vita che si svolgeva un tempo era piena. Ogni persona stava nel suo paese come un pesce dentro al lago. Adesso pare che tutti stiano in un secchio rotto. Si vive con poca acqua e con la sensazione che nessuno sappia come conservare la poca che rimane. Chi visita i paesi d'estate o la domenica ne cattura un'impressione del tutto illusoria: il piacere del silenzio, del buon cibo, aria buona. Tutto questo è solo una facciata, una realtà apparente che nasconde un'inerzia acida, un tempo vissuto senza letizia. D'altra parte, "uno arriva e ferma la macchina in piazza. Guarda qualcuno vicino al bar o sulle panchine. Guarda una vecchia che va a fare la spesa, un cane disteso al sole, guarda porte chiuse, guarda la propria macchina e capisce che lo strumento per la fuga è a portata di mano. Basta una mezz'oretta di curve e si torna al mondo gremito, il mondo che si muove." Se i sani scappano lontano, nel paese restano i malati. Può essere depressione, può essere disagio, può essere la smania velleitaria fai nulla e di non poter arrivare da nessuna parte.
"Temo che mi si spacchi il cuore. Come se ogni giorno si gonfiasse di amarezza. Ogni mattina mi sveglio con l'amarezza del giorno prima che mi pesa addosso e quella di trentasei anni passati in questo deserto dei tartari. Questo però è il primo autunno dove la sensazione è tanto forte, onnipresente. Qualunque cosa faccio mi accorgo della mia inesistenza. Vorrei incontrare delle persone inesistenti come me. E invece la vasca è asciutta. Oltre a quel poco d'acqua torbida dove abbiamo sempre vissuto, il mulinello si è portato via pure i pesci. Qui c'è una cattiveria senza fine. Tutti frustrati, pronti a disprezzare tutto e tutti. Come si fa respirare in queste condizioni? Come si fa a pensare di salvarsi?" Franco Arminio torna a raccontare i paesi italiani e questa volta dalla sua penna non nascono luoghi, ma persone. Con prosa limpida e insieme concitata, scorrono sulla pagina gli sgangherati pensieri esistenziali di un io narrante che somiglia in modo sospetto al suo autore, rincorsi da un controcanto affollato di personaggi sbadatamente vivi.
La prosa di Arminio è perfetta. Non, o non solo, in senso letterario: immagini e idee sono il suo respiro. Arminio è uno scrittore talmente originale che di questa originalità ha finito per fare una malattia. Quella malattia che pensa se stessa: perché consiste proprio nel terrore di ammalarsi. Il miracolo del libro, allora, consiste nella sua salute: una splendida salute precaria. Tra il corpo di Arminio e la sua terra, l'Irpinia terremotata e malricostruita, sussiste una profonda relazione. L'uno è il sintomo dei mali dell'altra. Così, alla prosa ruminante e insieme limpida degli aforismi e dei brevi saggi di Circo dell'ipocondria, si associano con naturalezza le immagini di Terra dei paesi, uno dei singolarissimi documentari che Arminio da qualche tempo ha preso a realizzare. (Andrea Cortellessa)
Mara è nata nel 1920 e ha 13 anni quando comincia questa storia. Vive vicino a largo di Torre Argentina. Il papà è bottegaio, la mamma casalinga. Ha un'amica del cuore, Nadia, fascista convinta, che la porta a sentire il Duce a piazza Venezia. Le piace leggere e da grande vorrebbe fare la scrittrice o la giornalista. Tanti sogni e tante speranze la attraversano: studiare letteratura latina, diventare bella e indipendente come l'elegante zia Luisa, coi suoi cappellini e il passo deciso e veloce. Il futuro le sembra a portata di mano, sicuro sotto il ritratto del Duce che campeggia nel suo salotto tra le due poltrone. Questo è quello che pensa Mara, e come lei molti altri italiani che accorrono sotto il Suo balcone in piazza Venezia. Fino a che il dubbio comincia a lavorare, a disegnare piccole crepe, ad aprire ferite. Tra il pubblico e il privato la Storia compone tragedie che riscrivono i destini individuali e collettivi, senza eccezioni. Quello che resta è obbedire ai propri desideri: nelle tempeste tengono a galla, e nei cieli azzurri sanno disegnare le strade del domani.