
"Scrivendo "La Vita eterna" volevo vendicare i partigiani contadini, il loro destino oscuro, senza gloria. Poiché il capo delle SS di questa zona dell'Italia di cui parlo nel libro fu scoperto quando "La vita eterna" fu tradotta in tedesco, e fu citato in processo, e morì la notte della prima udienza, mi piace pensare "La vita eterna" come un colpo di fucile sparato dall'Italia alla Germania per colpire un nemico della mia gente. La procura di Verona aveva incluso "La vita eterna" tra i documenti a suo carico". (Ferdinando Camon)
Il libro racconta l'invenzione di un dolcissimo rito di salvezza: in una famiglia contadina muore la madre, e tutta la famiglia lavora a richiamarla in vita per sempre. Traducendo questo libro in francese, l'editore Gallimard lo dedicò a Roland Barthes, scomparso da poco. La traduttrice rumena a sua figlia, vittima di un incidente. Un lettore americano, ebreo, ne lesse tre pagine per dare l'addio al padre. L'editore islamico di Istanbul ne fece leggere alcuni capitoli in una madrassa della Moschea Blu. In America Raymond Carver lo definì "a sublime work of art". In Francia "Express" avvertì i suoi lettori: "Attention: chef-d'oeuvre".
È la storia, forse per la prima volta raccontata dall'interno, di un'analisi: quindi il rapporto tra psichiatra e paziente, le tappe della lunga "via crucis" dell'analisi con i suoi rituali (i lunghi silenzi, i concitati sfoghi, le dolorose rivelazioni, i trucchi punitivi e autopunitivi), i sogni e gli incubi ricorrenti, le malattie psicosomatiche, i traumi privati e sessuali. Ma i mali che punteggiano la vita del protagonista sono conseguenti a una crisi generale, alla dissoluzione della famiglia, alla scomparsa delle chiese-madri e dei partiti-padri, e alla sconfitta del maschio. Con questa "confessione totale" l'autore ha fornito un'opera di stimolante suggestione e di forte originalità nel panorama della letteratura contemporanea.
A Lido di Magra, un paesino di poche anime e una manciata di case a qualche chilometro dalla Versilia, il mare c'è, ma solo d'estate. Perché la vita da queste parti dura il tempo di una stagione. Fabio Arricò, figlio di un cavatore appena licenziato dalle derive della crisi, è un ragazzo normale. Ma a diciassette anni, essere normali significa fare quello che fanno gli altri, adeguarsi alle scelte del gruppo anche se capisci che sono sbagliate. Il gruppo, però, ha un punto debole e si chiama Caterina Valenti. Lei è tormentata, agguerrita e irriverente. Troppo bella e irriguardosa per non innescare un ambiguo corto circuito. Sorda al sentimento che Fabio si rifiuta di confessarle, ma che neppure riesce a nascondere. Di più. C'è qualcosa nel suo sguardo che svela uno strano piacere nell'umiliarlo e farlo soffrire. Come se avesse qualcosa da fargli pagare. Gli adulti, un campionario di figure umane comiche e inconcludenti, arrivano sempre tardi. In questo piccolo mondo nel quale sonnecchiano esistenze comuni, si soffre, si ama, si lotta ma sempre nel modo sbagliato. Prima ferendo, poi nascondendo la faccia. E il risultato, un congegno a orologeria che si carica con la frustrazione, è l'odio più incontrollato, quello che trascina a fondo. Quello che ti obbliga a ideare una notte di violenza inaudita ai danni di chi non può difendersi.
È l’alba quando la giovane Yumiko viene prelevata dalle guardie dello Shogun e torturata pubblicamente. La sua unica colpa è essere figlia di Kayata, samurai cattolico che non ha potuto pagare le tasse alle autorità, i cui uomini ormai da anni umiliano i cristiani di Shimabara con una violenza cieca e annientatrice. Ma nonostante la miseria e il sangue fatto scorrere per fiaccare la loro volontà, gli abitanti del villaggio si raccolgono attorno al simbolo di cui nessuno può privarli: il crocifisso di Cristo. Lo stesso al quale i primi cristiani giapponesi venivano inchiodati dalle guardie dello Shogun. La violenza su Yumiko è la scintilla che spinge uomini e donne alla ribellione estrema: rifugiati nel castello di Hara si oppongono al giogo persecutorio e a un destino ineluttabile. L’assedio da parte degli uomini dello Shogun dura cinque interminabili mesi, senza cibo e possibilità di scampo, ma quel “branco di contadini”, guidati dall’Inviato del Cielo, da Kayata e dal suo discepolo Kato, resistono, aggrappandosi alla speranza incrollabile nella resurrezione. Perché solo la fede può superare ogni sopraffazione e dare linfa vitale a un popolo in lotta.
Il crocifisso del samurai, l’opera forse più ambiziosa di un autore che ha trascorso la vita a indagare la storia della cristianità, è uno struggente romanzo storico capace di toccare le corde più profonde dell’anima esplorando le radici del concetto stesso di fede. L’epica ribellione dei samurai cristiani di Shimabara nel 1637 - dopo la quale per due secoli il Giappone si chiuse a ogni contatto con l’esterno - rivive in un affresco crudo e realistico, denso di azione e di colpi di scena, che testimonia l’eroismo di chi è morto per non rinnegare il proprio credo.
Perché Giuda consegna Gesù al Sinedrio dopo averlo seguito per tre anni? Uno degli interrogativi più appassionanti del Nuovo Testamento è al cuore di questo romanzo che racconta le vicende di Gesù dal punto di vista e con la voce dell'apostolo il cui nome è diventato sinonimo di tradimento e falsità. La storia parte da Giovanni il Battista, di cui Giuda è discepolo. Unico apostolo giudeo (tutti gli altri sono galilei), è anche il solo ad aver studiato e a non essere stato «chiamato» (almeno inizialmente): per tutta la vita Giuda non ha fatto altro che aspettare il Messia per mettersi al suo servizio. Di falsi profeti ne ha incontrati tanti, ma Gesù sembra quello autentico. Giuda, così, lo segue con un entusiasmo che però, via via, va scemando: ai suoi occhi Gesù non si comporta come il Messia sperato, anche se compie miracoli inauditi. Giuda è spiazzato da ciò che vede e sente intorno a sé. Osserva, rimugina, tentenna, è diviso tra ansie e incertezze, dubbi e tormenti, tanto comprensibili in un uomo quanto inammissibili in uno in cui Gesù ha riposto una fiducia così grande. "Il mio nome è Giuda" fa dimenticare il rigore documentale che ne è alla base, catturando il lettore con una ricostruzione storica e psicologica moderna e ricca di sfumature.
Perché Dio il più delle volte non esaudisce? Perché pregando, chiedendo, supplicando, non si ottiene quasi mai? Perché andare a Lourdes è come giocare alla lotteria, anzi peggio, perché alla lotteria almeno uno vince a ogni estrazione? Non si può amare quel che non si conosce, ma come si fa a conoscere Dio? Eppure, Dio vuole essere amato e lo comanda pure. I Vangeli sono libri stranissimi, che suscitano più domande di quante risposte forniscano. L'autore li scruta centimetro per centimetro, ma non con l'occhio dell'esperto, bensì con quello dell'uomo della strada, dal momento che la Buona Novella non è per pochi ma per tutti. E constata che «creati per la felicità, non sopportiamo il suo contrario e chiediamo conto a Dio del perché della condizione umana (naturalmente, quando non è di nostro gusto)». Infatti, «l'uomo è l'unico essere che viene al mondo piangendo».
"Il Kattolico 2" raccoglie le puntate della rubrica omonima che l'autore tiene sul mensile di apologetica "Il Timone". Ogni puntata è a sé stante (perciò il libro può venire aperto anche a caso) e praticamente non esiste argomento che non sia trattato. Sì, perché tutto può essere osservato e letto con sguardo cattolico (la kappa è una reminiscenza dei trascorsi sessantottardi dell'autore, trascorsi che gli hanno lasciato il gusto dell'ironia e, quando serve, del sarcasmo), dalla storia all'attualità, ai fatti minimi. Soprattutto questi, perché di solito sfuggono all'attenzione, sommersi come sono dall'alluvione di informazioni che ogni giorno ci si riversa addosso.
Roma, 1881: un gruppo di fanatici anticlericali attaccano di notte il corteo funebre di papa Pio IX cercando di buttare la salma nel Tevere. Assolti dalla magistratura, vengono addirittura premiati dalla massoneria con una medaglia la cui incisione evoca l"'immortale odium" per il papato. Poi, tutti ben sistemati nella società liberale, cominciano a venire uccisi uno dopo l'altro da un misterioso gruppo, "I sette Maccabei", e partono due inchieste: una da parte del Ministero degli Interni (il ministro è direttamente interessato in (pianto è stato uno dei partecipanti all'assalto) e una dalla Santa Sede, che vede indagare un ex poliziotto ora prete, don Gaetano Alicante. Verrà alla luce un mistero scandaloso, legato alle vicende della Repubblica Romana di Mazzini, tra inseguimenti e società segrete, cunicoli sotterranei e ville esoteriche, esorcismi e antiche sette.
Secondo un'antica leggenda, molto popolare a Damasco, la fine dei tempi segnerà anche la riconciliazione tra cristiani, ebrei e musulmani. Quel giorno, annunciato da eventi prodigiosi, Gesù scenderà sulla terra e comparirà sul minareto bianco della grande moschea degli Omoyyadi, che per questo è chiamato "il minareto di Gesù". Metafora della fine di un lungo conflitto, la leggenda fa da sfondo a dodici storie di vita, raccolte in Siria e poi rielaborate in questo volume da Stefano Cammelli. Ne emerge un affresco della società siriana che rivela un mondo ancora sospeso tra passato e presente, un singolare miscuglio di etnie e professioni religiose, tormentato dai conflitti eppur capace di inimmaginabili ricomposizioni.
Il diario di una madre in viaggio con il figlio perduto
«Quando, verso la fine di agosto del 2005, fui improvvisamente attraversata dal desiderio e dal bisogno urgente e inderogabile di essere sul luogo dove mio figlio si era suicidato un anno prima, non sapevo che avrei scritto un diario del lento viaggio che mi ha poi portato da Lucca a Otranto. Invece, subito la prima sera, sola, in una piccola camera di un piccolo albergo sui Monti Sibillini, mi sono ritrovata a dialogare per iscritto con lui, ad annotare pensieri, cose viste, sensazioni. E così è stato per ogni sera dei diciassette giorni che il viaggio è durato. Forse un modo per fissare i pensieri, per non lasciarli pericolosamente liberi, non so. Al ritorno ho trascritto tutto sul computer. Non avevo intenzione di pubblicare questo diario. È dovuto passare del tempo prima che prendessi questa decisione. Che ho preso innanzitutto per ricordare e onorare mio figlio, ma anche perché ho pensato che forse la condivisione di un lutto può essere di conforto ad altri oltre che a se stessi, ed infine perché non si dimentichi che nel mondo di oggi, dove ormai si è schiavi di un apparire sempre belli, giovani, sani ed efficienti, dove la morte è diventata quasi un tabù di cui non parlare, c’è anche questo. E fa parte della nostra vita».
Il 17 giugno del 1944 l'Isola d'Elba fu liberata da uno sbarco alleato a comando francese. I primi a sbarcare sulla spiaggia di Marina di Campo furono i tirailleurs senegalesi. La spiaggia era minata e moltissimi soldati coloniali morirono. Partendo da questo fatto storico, l'autrice costruisce un romanzo in cui si intrecciano le vite di tre protagonisti. Boubacar il nonno, strappato dal suo villaggio, addestrato a Dakar e a Casablanca, imbarcato su una nave insieme a tanti compagni, testimone di quello che dagli storici fu considerato lo sbarco più sanguinoso del Mediterraneo nella seconda guerra mondiale. Boubacar il nipote, che come il nonno rischia la vita per mare non per liberare l'Italia, ma per trovare un lavoro e anche per conoscere la spiaggia di cui lui gli aveva parlato. Gustavine, ragazza francese precaria come tanti suoi coetanei, che, in un momento di incertezze, decide anche lei di andare a conoscere la spiaggia di cui le raccontava suo nonno, il sergente Flaubert, superiore di Boubacar. Un romanzo che dà voce agli "altri" che hanno combattuto per la libertà dell'Italia e dell'Europa più di sessant'anni fa, agli "altri" che oggi contribuiscono al nostro benessere mettendo in pericolo la propria vita, agli "altri" che vivono con difficoltà la spregiudicata corsa all'arricchimento della società occidentale di cui fanno parte.